La promozione della delazione non è del resto cosa nuova; non bisognerebbe dimenticare che, ad esempio, nella Torino degli anni '70 venivano distribuiti nei quartieri dei moduli per segnalare "comportamenti strani" a cura del PCI e della CGIL; per non parlare di ciò che avveniva nelle fabbriche (l'esempio del delatore Guido Rossa è anche fin troppo ovvio). Le campagne di delazione, insomma, sono una prerogativa storica di certa "sinistra" che non ha mai avuto nessun dubbio dove situarsi, a partire proprio dal PCI; e la storia si ripete oggi. Non deve stupire certamente che il "Giornale" abbia avviato una campagna del genere, ma ancor meno che la abbia avviata "Repubblica". Che un questurino nazista come Di Pietro, quello che invoca a gran voce le leggi speciali riscuotendo il plauso di Maroni, si situi nel "centrosinistra" non è stupefacente: è soltanto logico, se si pensa al fatto che la legge Reale fu sostenuta pienamente dal PCI di Berlinguer.
Gli stupori, a mio parere, non sono quindi giustificati dato che rientrano in una tendenza storica. Altrimenti non si spiegherebbe perché dei "manifestanti" consegnino altri manifestanti nelle mani della Polizia, che è la stessa di Genova. Le organizzazioni (partiti, sindacati, comitati) che comunque si situano nel campo dello Stato e della sua "legalità" non hanno nessuna difficoltà nel rimuovere ciò che è accaduto in passato, ma è una rimozione che sottintende un humus culturale e politico che non si cancella, e che torna regolarmente a galla. Le realtà che promuovono la delazione organizzata (effettuata perdipiù servendosi dei mezzi tecnologici e informatici attuali, come Facebook e YouTube) e che applaudono gli sbirri sono esattamente le stesse che, dieci anni fa, avevano provato sulla loro pelle la repressione indiscriminata scatenata a Genova; da qui l'ennesimo e ridicolo ricorso ai soliti "infiltrati", ai "black bloc" e a complotti vari. Nessun complotto, invece: semplicemente mettersi, come sempre, al riparo dell'ordine costituito anche se, dieci anni prima, aveva avuto qualche piccola intemperanza. I "pacifisti nonviolenti" di sabato sono magari quelli che si sono indignati tanto (indignarsi, per loro, dev'essere un mestiere) per Bolzaneto e per la scuola Diaz, invocando "giustizia", per poi preparare tranquillamente (anzi, gioiosamente e festosamente) altri bolzaneti e tutto un apparato repressivo che si esplica nelle forme consuete. Dietro le loro grida di "no violenza, no violenza!" c'è tutta la loro violenza di servi. La delazione è il loro approdo naturale.
Alla fine, però, il loro comizio non lo hanno fatto. È andata buca, e quando va buca in questo modo, vale a dire con il consumarsi di una rottura definitiva e irrevocabile, ne guadagna perlomeno la chiarezza. O di là, o di qua. O con lo Stato (e con la sua polizia e la sua "legalità"), o con l'azione diretta antisistema. Sabato erano in realtà gli "incappucciati" a non avere nessuna maschera e ad agire come richiederebbe davvero la situazione attuale, in maniera generalizzata; la mascherina la avevano tutti quei presupposti "indignati" il cui "volto scoperto" è ben più cappuccio di quello di una felpa, di un passamontagna o di una keffiah. Gliela hanno fatta gettare, e sono apparsi i volti di violentissimi collaborazionisti e di sostenitori della stretta repressiva. E i loro "black bloc" somigliano terribilmente agli "untorelli" del gran compagno Berlinguer; intanto, però, il fuoco della rabbia ha smesso di covare e sta esplodendo. Lo si potrebbe chiamare il fuoco della realtà, ed a questi damerini è stato dato un crudele benvenuto che li ha spinti finalmente nelle usuali e calde braccia di mamma Polizia, nei "figli del popolo" di sua eminenza Pasolini, idolo e riferimento naturale di siffatti imbecilli servili.