Ho un freddo tremendo, e non è per l'ondata di gelo siberiano.
Ho freddo dentro, perché sono un essere umano. Fatto male come lo siamo tutti. Un essere umano che ha seminato la sua dose di bellezze e di orrori, di amore e di odio, di intelligenza e di idiozia. Ho smesso da un po' di giocherellare a fare il diverso, specialmente da quando mi sono ritrovato a dover considerare che quello che stavo vivendo poteva essere il mio ultimo momento. Toglie parecchi grilli dal capo farsi pigliare un colpo secco; non sei più quello di prima, e non lo sarai mai più. Se ti viene dato di proseguire, prosegui con la coscienza che esiste, che c'è. E che potrebbe tornare a bussare anche fra un minuto. Che potresti non terminare quel che stai scrivendo, col gatto che dorme sul letto, con le arance sul tavolo, coi piatti ancora da lavare nell'acquaio, col libro aperto sul comodino, senza aver rivisto per un'ultima volta le persone che ami.
E ti accompagna, questa cosa, in ogni momento. Così come la coscienza della propria umanità. Hai imparato che non è una cosa astratta, un concetto filosofico, un argomento di conversazione o di scrittura. Hai imparato che è una cosa reale, che si può toccare, respirare e annusare. Hai imparato cos'è sentirsi di perdere la vita, e in quel momento rialzarti con chissà quale forza residua e andare a un telefono, e dire “aiutami” ad un'altra persona umana. Quale che sia. Tutto il coraggio e tutta la vigliaccheria che si concentrano in un solo istante; e allora l'umanità cessa di essere vaga. Diventa tua compagna, come la morte. Diventa qualcosa con cui misurarti in ogni atto della tua vita, anche il più banale. Diventa la pietra di paragone e di fratellanza. Diventa accettazione degli errori propri e altrui, e, al tempo stesso, comprensione definitiva della necessità di combattere la morte in ogni suo aspetto, pur accettandola come ombra che ti porti costantemente al fianco.
Ho un freddo terribile, perché adesso ho la certezza di avere vissuto e di vivere in un paese che, invece, rivendica e persegue la propria disumanità. Non ho più da pensare alla Germania hitleriana, all'URSS di Stalin, al Cile di Pinochet, alla Spagna di Franco; ho, anzi, l'immagine esatta di ciò che ci hanno gabellato per democrazia. Ho la sicurezza di uno Stato che ha organizzato e coperto stragi orribili in nome di ragioni stupide e disumane. Ho la sicurezza di una finzione che ci viene ancor oggi propagandata come fossimo pecore o amebe. Ho il freddo della barbarie che mi circonda, e ancor di più se penso che la cosa sta passando nella quasi generale indifferenza, lontana, immonda, giustificata. In questo paese si è praticata la tortura, e nulla mi lascia pensare che non la si pratichi tuttora. Ho appreso del professor De Tormentis, ora che anche i mass media se ne stanno accorgendo; e l'ho appreso non da una sollevazione generale, come sarebbe stato lecito attendersi in un paese cosiddetto civile, ma dagli scritti di poche persone che ne hanno dato conto fin dagli inizi, mentre l'Europa intera è alle prese con il suo imputridimento. Non che non si sapesse o si sospettasse, anzi. Chi aveva denunciato torture c'era stato, ovviamente smentito e inascoltato. Chi le aveva commesse, con tanto di squadretta, era stato ovviamente protetto con cura. Solerte servitore dello stato. Nulla di cui stupirsi in un paese che ha concepito e applicato il 41bis, che è uno strumento di tortura in piena regola; ma qui si sta parlando di waterboarding, di corrente elettrica, di schiacciamenti, di mettere un essere umano alla mercé dello Stato. Di una cosa che ognuno s'immaginerebbe propria delle peggiori dittature, e che invece è stata praticata copiosamente anche in questa cosiddetta democrazia. Ma quali colonnelli greci, ma quale Franco, ma quale PIDE; la squadretta del professor De Tormentis agiva sotto il governo presieduto da Giovanni Spadolini. Il repubblicano mazziniano con la gran villa al Pian dei Giullari e la biblioteca di cinquantamila volumi. L'ex direttore del Corriere della Sera. Il fine letterato e lo storico del Risorgimento. La squadra speciale UCIGOS per la tortura dei BR agli ordini diretti del ministero dell'interno. E sta venendo fuori, tutto quanto, e con nomi e cognomi, a trent'anni di distanza. Bisogna leggere, allora. Ad esempio, come si svolgevano le torture in questo nostro paese; perché, che lo vogliamo o meno, che ci piaccia o no, questo è. E' il luogo dove siamo venuti al mondo e dove, almeno in parte, continuiamo a vivere e a morire.
Il freddo. Inorridisco. Ho davanti questo signor Nicola Ciocia, di Bitonto (Bari). Me ne ricordo per un episodio strano, di Bitonto; l'unica volta che ci abbia mai messo piede. Era il 1972 e ero un bambino di 9 anni; mio padre aveva caricato tutta la famiglia su una 850 special e ci aveva portati a fare un giro del Sud. Da Firenze a Salerno, da Salerno in Basilicata e in Puglia; quella volta che incontrammo in un posto sperduto un carabiniere fiorentino che ci fermò soltanto per sentirci parlare; quella volta che, ai primi caldi, volevo fare il bagno nel Mar Piccolo a Taranto non sospettando che era una inquietante pozza maleodorante. A Bitonto ci capitammo notando un'atmosfera strana in giro; non sapevamo che da poco avevano ritrovato i cadaveri di alcuni bambini in dei pozzi, o in sotterranei; un fatto che avrebbe ispirato anche un film, Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci. L'unico ricordo che ho di un luogo dove non ho mai più messo piede. Sbiadito, vago, perso nella lontananza. Vive a Napoli, ora, il signor Ciocia Nicola da Bitonto. Ha settantotto anni e si definisce fascista mussoliniano per la legalità. Ha il busto del Duce sulla libreria. Non ammette nulla e schiva le domande dirette. Afferma che per ottenere risultati da un interrogatorio bisogna far sentire l'interrogato sotto il tuo assoluto dominio. Infine, il signor Ciocia Nicola, riesce a dare un quadro perfetto della situazione: lo Stato si attivò per difendere la democrazia. Affidando la difesa, tra gli altri, a un “fascista mussoliniano per la legalità”. A un torturatore che non ha nemmeno oggi il coraggio di ammettere chiaramente che cosa gli è stato ordinato di fare, e come lo ha eseguito. Vivrà la sua vecchiaia in santa pace, e senza rimorsi.
A questo punto sarà bene che mi fermi. Non ce la faccio a andare oltre. E' quel miscuglio insolvibile di schifo e di gelo che mi fa riconsiderare tutto. Quanti anni avevo? Quindici, sedici. Vivevo la mia adolescenza mentre il professor De Tormentis “difendeva la democrazia”; naturalmente la difendeva esclusivamente da brigatisti rossi e affini, perché, ne sono assolutamente certo, i signorini delle bombe sui treni e nelle piazze bresciane godevano di un trattamento molto meno fermo; in alcuni casi, con tutta probabilità, sarebbe stato impossibile perché si sarebbe trattato di auto-tortura. C'erano gli stessi fascisti mussoliniani tra loro. Ci sono sempre stati. Non se ne sono mai andati via. Piace tanto anche a quelli del terzo millennio. E allora, chi legge queste cose vada ai link di questo post, a Insorgenze, a Polvere da Sparo. Si premuri di avere un gran freddo, un gelo che gli scende nelle ossa. Metta in conto di perdere ogni residua fiducia che potrebbe avere nella democrazia, nelle istituzioni e in ogni altra cosa del genere. Si figuri Napolitano che ciancia di legalità e di costituzione, e magari anche il PCI che queste cose le sapeva benissimo, promuovendo la legislazione speciale e partecipandovi attivamente.
Ora mi alzerò e andrò a aprire la porta. Non me ne importa niente, se fuori ci sono tre o dieci gradi sottozero. Non me ne importa niente del febbraio. Gli inverni, quelli veri, sono altrove. Questo paese è tutto un inverno, e la primavera non s'è mai vista. Continuerò e continueremo, coscienti o meno della morte che ci accompagna, a fare appello all'umanità ed alle sue risorse; ma siamo sconfitti in partenza. Finché esisterà uno Stato coi suoi servitori. Finché non ci ritroveremo nel dominio di un signor Ciocia Nicola; e non importa nemmeno essere “brigatisti”. Basta passare per Bolzaneto, da ragazzi e ragazze qualsiasi. Ci sarà qualcun altro, in questo preciso momento, sottoposto agli stessi metodi? Lo si saprà tra venti o trent'anni? Sei tu, umile servo dello stato comandato e istruito, cui hanno demandato la difesa della democrazia sfogando il tuo sadismo sul lanciatore di uova, sul NO TAV, sull'anarchico, sull'ultras? Come ti senti, con tutta la tua legalità? E come si sente chi ostenta nonviolenza a tutto andare? Domande senza risposta, chiaro. La risposta la sa il gelo, e forse neanche lui.