venerdì 22 giugno 2012

Micorta per l'estate


Oggi leggevo una milonga di David Riondino, e siccome non ambisco a tanto (e sono anche, per natura, un bastian contrario), mi è venuto da scrivere una micorta. Eccola qui, anche se poi, in realtà, corta non lo è per nulla. 

Dice un mi' vecchio amico, che mi sono scordato
se faccia il cantautore o il postelegrafonico,
se faccia il dottor angelico oppure il calafato
o sbatta qualche aeroplano su un muro supersonico;

Dice che il qui presente è un orso poco ammaestrato,
qualcosa che inizia con “ciclo”, e forse anticiclonico;
che il qui presente è pazzo; però un pazzo garbato,
con spiraloidi di zolfo e un fondo malinconico.

Mi aggiro per la mia casa cercando una maglietta,
il gatto nero dorme che par quasi una salma;
dovrei mangiare qualcosa, magari una galletta
per prendere le pasticche, e con estrema calma

decido che l'estate arriva in data odierna,
ché poi, va detto, è quella che si dice canonica;
ventun giugno d'un'era sudata e postmoderna,
vorrei prendere un treno, e andarmene a Follonica.

Mi piace pigliare treni che vanno verso il mare,
mi piace anche girare per casa a cercar magliette;
mi piace che dorme il gatto, e starmelo a guardare,
mi piace quest'altra estate, detesto le gallette.

Fra un'ora e un quarto esco e manderò il furgone,
sul tavolo tengo i sigari e il dizionario greco;
gira il ventilatore, l'asfalto nel solleone
emette de' raggi gamma che ci diventi cieco,

e girano anche gli anni, giran le economie,
mi stenderei sul letto a dormì' insieme al gatto;
di tanto in tanto devo chiamare le mi' zie,
poi tanto non le chiamo, gliè che sono distratto.

Si scioglie per il caldo anche la cioccolata,
dovrei rizzammi a mèttila al fresco in frigorifero;
quella superfondente, manco un po' zuccherata,
sembra di buttà giù, più che cacao, Lucifero.

Ma va' a cacào, gli dico; oggi viene l'estate,
sogno di bagnimmàre ma negli anni settanta;
mi viene sì da tuffammi in quell'acque salate
e poi disfàmmi al sole di patatine e fanta.

Ho gran progetti in capo: scrivere una grammatica
del fiorentino parlato e una raccolta di pagine
completamente bianche, da riempir nella pratica
come qualc'anno fa s'empiva di mucillagine

da Muggia fino a Otranto la costiera Adriatica;
grandi manovre, e intanto gira il ventilatore,
l'aria condizionata mi fa venir la sciatica,
e poi mi tocca prendere, quasi a tutte le ore

un balsamo ch'è fatto d'un'essenza aromatica.
Tutto si muta in niente; nel sole si scompone
ogni frammento vigile d'un'esistenza erratica,
e io la fo così, la mia rivoluzione.

Certo che si scolora l'aria nella fornace
e la lentezza invade lesta l'atrio e il ventricolo;
vivo in questa maniera, da sbronzo di Riace
che per mangiare e leggere guida l'autoveicolo.

Qualche volta si perde nelle campagne vuote
e parla coi cipressi o con le vecchie sedute;
qualc'altra poi gli esèrcita una sua innata dote,
quella di ritrovarsi in vite già vissute.

E da quaggiù si vede un frontisterio e un platano,
e scruto domandandomi quanto al di là mi spingo.
Nell'universo fatto d'àtomi che si dilatano
ambisco anch'io ad espandermi, sennò poi mi restringo.

Ma si diceva d'estate; oggi è arrivata e il giorno
dura finché la luce non si va a bere un mojito;
c'è un gran silenzio indomito, nulla si sente attorno,
versione proletaria del respiro infinito.

Versione da cortile dell' illusione distorta
che alcuni chiaman morte, altri immortalità;
io non la chiamo niente, ora chiudo la porta,
mi bevo il sole e rutto placido per la città.

Decido che l'estate arriva in data odierna,
e fra tre mesi decido che ricomincia l'attesa;
nuoto in mezzo al parcheggio, vicino alla cisterna,
palme sono le erbacce, c'è una vicina obesa

che spazza tempo e ride mentre una bimba gioca.
E quell'istante dice: àlzati e vola via,
la vita è meraviglia, e più che altro è poca,
e d'un concerto di luce risuona la periferia.

Dice un mi' vecchio amico, che mi son calafato,
se faccia il dottor angelico oppure il supersonico,
se faccia il cantautore oppure lo scordato
o sbatta qualche aeroplano su un postelegrafonico;

Dice che il qui presente è un orso poco garbato,
qualcosa che inizia con “ciclo”, e forse malinconico;
che il qui presente è zolfo; però uno zolfo ammaestrato,
con spiraloidi di pazzo e un fondo anticiclonico.