martedì 19 giugno 2012

Non mi ruberanno l'estate



E' arrivata, finalmente; è scoppiata e brucia.

L'estate, quella vera. Percorro le strade di una città che comincia a sembrare deserta anche se non lo è. Tutto rallenta mentre sfilano, implacabili, i termometri. Sudo, certo; e alle prime gocce che mi imperlano la fronte, ripenso con orrore, per un istante, all'inverno. A quel maledetto mese di febbraio che s'è passato, e a un freddo più tremendo e discreto che mi accompagna anche ora che il sole martella senza nessuna tregua.

E si procede adagio, facendo movimenti calmi che permettono di seguire se stessi nelle particelle elementari della vita, nei gesti che normalmente non si percepiscono. Il calore estremo e la luce accecante generano attenzione. Dicono che non si dovrebbe uscire nelle ore più calde; a me è sempre piaciuto. Uscire proprio quando si soffoca, quando il caldo viene dichiarato insopportabile, quando si assaporano le vampate e il tutto si mescola al niente per rendere una mistura che muove le foglie delle piante al posto del vento.

E non me la ruberanno, l'estate. Non permetterò più che qualcuno o qualcosa se ne appropri. Prendetevi pure gli autunni, gli inverni e anche le primavere; ma l'estate la difenderò con le unghie e con i denti.

Non me la ruberanno quelli del lavoro, perché il lavoro non conosce stagioni. Una melassa fetida a base di riscaldamenti e di arie condizionate, senza passaggi, senz'animavversione dei mutamenti. Rinchiusi nelle scatole climatizzate senza mettere occhio alle variazioni, impercettibilmente graduali o improvvise, di tutto ciò che ruota attorno alla temperatura. Il lavoro è la dittatura della temperatura, che regola lo sgobbo e i suoi ritmi infernali; nessun conto è tenuto della luce, delle brezze, dei pulviscoli, dell'odore che si sgrana dal tiglio alle erbe più umili, dell'afrore di spazzatura che denota una città viva e non sanitizzata, dell'aroma delle case che, a un certo punto, sembra sempre di pesce fritto anche se sta cuocendo una fetta di carne o un misto di verdure.

Non me la ruberanno quelli dei soldi, coi loro drammi e le loro statistiche. Passo e so bene come sto, e come devo inventarmi da vivere ogni minuto; ma dura un attimo, e mi perdo nelle fiamme aeree che mi fanno benedire l'Africa e i suoi anticicloni roventi. Parto senza preoccupazioni, e deciso a godermela fino in fondo, sogghignando senza ritegno mentre penso ai sofferenti di professione, denaro e sudore, famiglie e bilanci, accumuli e vacanze che sono diventate più lavoro di una catena di montaggio. Il sogghigno si trasforma in risata se penso ai loro “futuri”, questi sciagurati che non sanno nemmeno che cosa sia un attimo, uno solo, del presente. Bella, meravigliosa una caldissima estate in questo presente orrendamente vivo; per chi sa cogliere il moto di un filo d'erba, è una ricchezza che non si calcola.

Non me la ruberanno i miserabili che ho conosciuto, e neppure quelli che devo ancora conoscere. Non me la ruberanno i professionisti della delazione, i propagandisti delle durezze e purezze a condizione che siano sempre altrui, i tromboni delle dissociazioni, gli inventori di rivoluzioni neppure buoni a crearne una nel loro ventre che sappia uscir fuori sotto forma d'una possente scoreggia. Non le ruberanno i tassatori, gli estensori di comunicati, i Barbablù della legalità, gli organizzatori di kermesse dell'assurdo e del falso, i cercatori a pagamento di contraddizioni.

Non me la ruberanno gli idioti dell'inverno, quelli che “stanno bene di gennaio”, gli ordinati nordisti, i finti sognatori di mitici passati, i cantadisgrazie, gli autoammazzanti per tenori, soprani e contralti di vita, i dispensatori di disperazioni e i gorgheggiatori della “crescita”. E perché mai si dovrebbe “crescere”, di grazia? Ma che si diminuisca, per Giove. Non me la ruberanno, l'estate, le loro “economie” di merda, che s'impari invece a cacarci sopra e a spedirle fuori dal sistema solare. Non me la ruberanno preti e religioni, coi loro dèi al tempo stesso freddolosi e scavatori di buio e gelo. Non me la ruberanno le morali e i moralismi, buoni soltanto per far raggiungere all'umanità tutta lo zero Kelvin, ma che sarebbero pure capaci di scendere ancora al di sotto se solo prevalessero senza opposizione.

Non me la ruberà nessuno, mentre passo mezzo sciolto dal calore e mentre all'abbacinamento del sole rispondo nell'unico modo possibile, vale a dire aprendo ancora di più gli occhi. Durerà pochi mesi. Si mitigherà e sfumerà. Manderà i suoi acquazzoni e le sue stranezze. Ma è esplosa e mi sento felice come un demonio saltellante. E nessuno mi ruberà questa felicità, in culo a ogni cosa. 

E si ritirano le brume, sconfitte, e con loro le oscurità che s'invocano costantemente per odio alla vita. Il gatto sa come fare ed è più vicino a te ora che se ne sta a giro per i giardini notte e giorno, che quando si rintana in casa perché fuori si gela senza ritegno. Il gatto è la libertà del calore e si deve saper seguirlo e capirlo perché vive la tua vita assieme alla sua. E dovunque si veda costrizione e pesantezza, che ci siamo creati per sacrificare al niente, è necessario rispondere con una leggerezza ai limiti dell'assenza. Svaporare nel calore e diffondersi per l'aria; e allora tutto appare nella sua vera essenza, e non c'è più confine a quel che si può fare.