domenica 3 novembre 2013

Missione di pace



Attenzione: il signore che si vede nella foto, nonostante il suo aspetto vagamente orientale, è in realtà un Valsusino.

Si tratta del sig. Armando Pelleroux, di Bussoleno (TO), NO TAV della prima ora. In Valsusa, come è noto, sono rudi montanari e amano gli abbigliamenti un po' sui generis. Nell'immagine vediamo il sig. Pelleroux assieme ad un marchingegno che si è costruito assieme ad un suo amico e sodale che ha un'officina meccanica sulla statale 25, poco prima di Susa; assemblando vari pezzi di vecchie Fiat Ritmo, la marmitta di una Lancia Ardea del '57 e altri componenti di risulta, ha ottenuto il Pecorella, arma notevolmente efficace nella sua elementarità. Del resto, mica si vorrà continuare in Valsusa a opporsi ad un esercito intero soltanto con sassi e frasche, anche se bastano a Caselli per spedirti in galera; occorrerà ingegnarsi, tanto poi ai presìdi danno fuoco lo stesso (in Valsusa mica agiscono le màfie, no mica).

La foto del sig. Pelleroux illustra alla perfezione quel che sta accadendo in Valsusa negli ultimi giorni: una missione di pace in piena regola.

Come tutti sanno, i famosi "nostri ragazzi" si stanno ritirando dall'Afghanistan, dove erano stati inviati in forze per sorvegliare la costruzione del TAV Teheran-New Delhi. Un'infrastruttura di primaria importanza eccetera eccetera e pititì e patatà. Anche da quelle parti, la costruzione del TAV ha, stando alle notizie, incontrato qualche lieve resistenza. I "nostri ragazzi", però, hanno fatto il loro dovere di italiani, tenendo conto del fatto che i NO TAV afghani non si sono limitati certo a pigliarli a sassate.

Terminata tale missione di pace, i "nostri ragazzi" (i quali, per un cospicuo stipendio, non hanno esitato a lasciar vedove tutta un'immancabile serie di giovani mogli incinte) sono stati rimessi immediatamente al lavoro. Un po' più vicino dell'Afghanistan, va detto. La pace va salvaguardata. La pace è un bene comune, almeno fin quando non sarà privatizzata. Un po' di riposo? Sia mai. Subito una nuova missione di pace, per la quale sarà senz'altro approntata anche la regolare fiction con Beppe Fiorello.

Come si apprende da notav.info, infatti, ben 400 soldati italiani sono stati inviati immediatamente, e direttamente, da Herat (Afghanistan) a Chiomonte. Dove, naturalmente, si sono trovati davanti tipini come il sig. Pelleroux e il suo Pecorella. Ne ha parlato con emozione il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito in persona, gen. Graziano.

Il generale, come se niente fosse, ha spostato le sue truppe scelte da un paese in guerra a un cantiere.

Soldati che assumono compiti di polizia e che, come ha dichiarato il gen. Graziano, “operano in perfetta sintonia con le altre istituzioni dello Stato presenti in Valsusa, con i carabinieri e la polizia. Abbiamo destinato alla tutela del cantiere quattrocento soldati. I militari hanno acquisito le funzioni della polizia giudiziaria, con la possibilità di fermare persone che abbiano tenuto un comportamento illegale. Sono tutti uomini di grande esperienza, che hanno prestato servizio all’estero, in Afghanistan, in altri scenari internazionali, alle prese con situazioni complesse e delicate. Ovviamente operano in perfetta sintonia con le altre istituzioni dello Stato presenti in Valsusa, con i carabinieri e la polizia, per tutte quelle funzioni connesse all’obiettivo da raggiungere, cioè la tutela del sito e la sicurezza di chi ci lavora .»

La provincia di Herat, in Afghanistan, dove erano di stanza i 400 soldati di grande esperienza, ha un'estensione di 54.778 km2 e 1.578.000 abitanti. Stando ai dati dello Stato Maggiore, nella suddetta provincia è esistito negli ultimi anni un rapporto di 1 soldato ogni 517 abitanti.

Il comune di Chiomonte ha una estensione di 26,66 km2 e una popolazione residente di 931 abitanti. Nel territorio di Chiomonte sono presenti attualmente 415 soldati di grande esperienza (oltre, naturalmente, a tutte le varie forze dell'ordine: polizia, carabinieri ecc.). Ogni abitante di Chiomonte ha quindi a disposizione 0,44 soldati di grande esperienza, ivi compresi i neonati. 

Si tratta quindi di una occupazione militare da parte dello Stato italiano di una porzione del suo stesso territorio. Una missione di pace, appunto, per difendere la legalità.
 
Se mai ce ne fosse ancora bisogno, legalità significa, per lo Stato italiano e per le sue truppe, difendere gli interessi economici e finanziari di una consorteria sempre più feroce, che pur servendosi di tutti i poderosi strumenti politici, militari, giudiziari e mediatici che ha a disposizione, non è riuscita ancora a piegare una popolazione. Tant'è vero che, oramai, è costretta a ricorrere agli strumenti di intimidazione mafiosa.
 
Valsusa come l'Afghanistan, quindi.
 
E chissà che qualche soldato di grande esperienza non abbia prima o poi a fare come certi suoi colleghi in Afghanistan, e tornare a casina sua in una bara e avvolto in quell'orrendo straccio che fu il primo e vero simbolo dei fascisti, intriso di sangue e di vergogna. La strada da fare sarà comunque molto minore, e si potrà risparmiare anche l'aeroplano.
 
In tempi di crisi, che tocca tutto fuorché le spese militari, non sarebbe da disprezzare.
 
Nel frattempo, l'Esercito Italiano torna ad una sua specialità riconosciuta: quella di opprimere e reprimere il suo stesso popolo.
 
Anche a quei rozzi Valsusini deve essere insegnata la democrazia. La sua esportazione vale tanto tra le montagne dell'Asia Centrale, quanto tra quelle delle Alpi. Tutto, in fondo, è un cantiere: che sia di un treno inutile e devastante,  o del nuovo ordine che non ha proprio nulla di nuovo, non importa.