Dopo un bel po' di tempo, torno a inserire qui dentro un vecchio post, a dire il vero "imbeccato" decisamente da un amico che se ne ricordava. Il post in questione risale al 25 ottobre 2003, quando mi venne la balzana idea di metterlo sul newsgroup italia.firenze.discussioni, che allora frequentavo regolarmente (ora ci capito una volta ogni tanto). In effetti, l'imbeccata del mio amico è quanto mai opportuna, in questi giorni di "trentennale", di napolitanate, di làgrime e di fìcscion televisive dedicate al fu Aldo Moro e alla sua tragica dipartita da questo mondo.
Nel post si narra in forma compiuta il mio coinvolgimento -mio malgrado!- in quello storico fatto; un capitolo francamente ignoto ai più, e che merita di essere approfondito. Ma come vi ero stato coinvolto? Lo scoprirete solo leggendo, parafrasando un verso di una nota canzonetta. Per ora vi basti sapere che ho un po' "coperto" alcuni nomi e cognomi, data l'estrema delicatezza dell'argomento; sono già, come sapete, sotto procedimento penale per il gravissimo reato di lavavetrismo e non vorrei aggravare la mia posizione. Quel che garantisco è che i fatti narrati in questo post, pur oramai lontani, sono rigorosamente veri. Vale a dire: quando la realtà supera la fantasia. Un caso tipico!
L'anno è il terribile 1978.
Un Venturi non ancora sedicenne, ma già con tutte le sue caratteristiche ben formate (comprese un accenno di barbaccia rossa e le sigarette) vaga chissà come per le aule di un liceo classico fiorentino, il bieco Dante di Piazza della Vittoria (da dove, poi, emigrerà verso il Michelangelo), uno dei templi della borghesia "bene" dove i suoi, in un accesso di furbizia, hanno voluto iscriverlo.
Naturalmente, il giovinetto si fa già notare per certe sue, diciamo, piccole e veniali intemperanze (tipo affiggere tazebao sulla sacra lapide contenente il bollettino della vittoria del 1918 o fare lo sgambetto con relativa musata in terra ad un notissimo fascione di una terza liceo); sta già assieme a una pischellina considerata -vox populi- "una brutta autonoma", peraltro conosciuta durante un'infuocata assemblea, ed incassa anche la minaccia, formulata dal babbo di un ragazzino di un'altra classe, di una denuncia per "plagio" (tutto perché avevo sobillato il fanciullo a non entrare in classe durante le lezioni di religione di don G., arcinoto fascistone in tonaca e titolare di una parrocchia da ricchi). Gli unici con cui lega, a parte la pischellina, sono tre suoi compagni di classe (che hanno poi fatto tutti una discreta carriera, al pari della pischellina) di cui non si faranno i nomi; insieme sono noti nell'augusta scuola come Il quartetto rosso o I compagni della IV A; e, disgraziatamente per gli altri, s'era tutti anche belli grossi.
A questo punto entra in scena la protagonista principale di questa storia. Una professoressa di matematica, siciliana di Favara (AG), che rispondeva al nome, un tempo tristemente noto nei licei fiorentini, di F.B.; e, a partire da adesso, bisognerà che tenti di riprodurre sommariamente la sua caratteristica parlata per la quale, ad esempio, io cesso di chiamarmi "Venturi" e divento "Fendòri".
Era costei una trista tambòcchiola d'una cinquantacinquina d'anni, butterata e pesantemente truccata, non si sa bene se più autenticamente fascista o mistico-religioseggiante, la quale terrorizzava da anni classi intere a base di polinomi misti a tirate a metà tra Achille Starace e Fra' Ginepro della banda Carità; isperimentato aveva -si dice- pure una cacciata a calci nel culo in tempi in cui la fantasia doveva andare al potere (poi al potere, come ben si sa, c'è andato qualcos'altro), sviluppandone un odio feroce per gli studenti in genere, e per quelli comunisti in particolare. E' bene specificare che, per la professoressa B., il "comunismo" iniziava dove per una persona normale s'era ancora al liberalismo storico di stampo cavurriano; un Piero Gobetti, per lei, sarebbe stato già ampiamente un comunista.
Inutile dire che tra il sottoscritto e la prof. B. ebbe a crearsi, e fin da subito, un certo qual piccolo attrito; anche perché voci di corridoio (del tutto esatte) dicevano che tale "Venturi" fosse l'autore del testo di una simpatica canzoncina che girava per tutta la Firenze liceale, nella quale detta insegnante veniva qualificata con epiteti chiarissimi e non edificanti; nonché di un altrettanto celebre manifesto illustrato in cui si invitava la popolazione scolastica ad impiccarla pe' piedi, eccetera eccetera; si aggiunga a questo che il Fendòri, allora come adesso, non capiva assolutamente una sega nelle cosiddette scienze esatte. Questo il beggràunde storico-politico-matematico; torniamo quindi alla narrazione, ed alla terribile vendetta della professoressa B. sul suo persecutore, che aveva persino osato propalare ai quattro venti che, un giorno, le avrebbe toccato il culo violando la sua mistica pudicizia.
Il 16 marzo 1978, fu rapito in via Mario Fani, a Roma, l'onorevole Aldo Moro. Dalle Brigate Rosse, che, nell'azione, uccisero i cinque uomini della scorta dello statista democristiano autore di fatto del Compromesso storico. PCI al governo con la celeberrima formula della "non sfiducia", governo di "unità nazionale", e via discorrendo. Passano cinquantacinque giorni d'inferno per tutto questo paese di merda, finché, il 9 maggio 1978, in una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, sempre a Roma ed a mezza strada fra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, non viene ritrovato il cadavere di Moro, nel bagagliaio, crivellato di colpi. Questo, naturalmente, in estrema sintesi.
Il 10 maggio 1978 (mattinata plumbea anche meteorologicamente), sciopero generale di due ore, manifestazioni biancorosse (mi ricordo sempre lo slogan dei democristiani in piazza: "Moro è qui / Con tutta la Diccì!"), casino immane, l' "Unità" che titola "Straordinario sussulto democratico in tutto il paese". Chi c'era se ne ricorderà; chi non c'era, non posso dir niente. Il Fendòri e i suoi tre amici, V.F. e due che, curiosamente, avevano le stesse iniziali, S.G., rècansi in piazza Signoria tutto sommato da bravi cittadini quali non erano e, terminata la manifestazione tra sventolii di bandiere rosse e bianche e discorsi del cazzo (come di prammatica), si avviano verso la scuola a piedi ragionando tra di loro.
"Chi c'è alla prim'ora?"
"La B. ..."
"Ohi, oggi so' cazzi..."
(Poi si tenta di cacciar via i brutti pensieri cercando di organizzare la resistenza al golpe fascista sicuramente prossimo).
E i cazzi amari si cominciano a vedere subito all'entrata, sentendo su di noi gli sguardi di disprezzo dei compagnucci, gli insulti, i frizzi e i lazzi. Perché è chiaro che noi eravamo, come si diceva allora, "fiancheggiatori delle Brigate Rosse". V.F. tenta di far finta di nulla, il Fendòri nasconde bene in tasca il "Manifesto" e via in classe. Tutti a posto e s'aspettano gli eventi, che non tardano ad occorrere.
Eravamo sistemati tutti e quattro nei primissimi banchi a destra (collocazione dal carattere chiaramente punitivo e simbolico); questo perché, quando s'era in fondo, ne approfittavamo per fare un casino innominabile, disturbare le lezioni, lanciare aeroplanini di carta chiamati "Ottobre Rosso" o "Vendetta del Proletariato", disegnare sul muro coi pennarelli falci e martelli misti a cazzi e a juvemerda ed altre cosine del genere; indi per cui, dopo un rapido consulto, il corpo (sciolto) insegnante aveva deciso di far fronte all'emergenza tenendoci sotto tiro diretto. Entra la B., ed in classe il silenzio è glaciale.
Aria ancora più truce del solito, il porrone sulla guancia destra che sembra dover scoppiare da un momento all'altro imbrattando tutta l'aula di pus, due quintali di rossetto color merda di piccione sicuramente acquistato da un trippajo al mercato centrale, ella s'assiede alla cattedra con studiata lentezza, finge di consultare il registro per un lunghissimo minuto e poi si rivolge verso i primi banchi di destra:
"Ogia sagiète contenti, ah."
Primi sudorini freddi. Ci guardiamo interrogativi. Poi, timidamente, il sottoscritto si azzarda a rispondere:
"Contenti di cosa, scusi, professoressa...?"
"L'avete ammazzato voi."
In un attimo capisco tutto e tento una specie di concione:
"Ma...professoressa...guardi che anche noi eravamo alla manifestazione di condanna...non siamo certo favorevoli a una cosa del ge...."
"Basta, Fendòri ! E' tutta colpa vòscia, siete gòmbligi come tutti i vòsci gombagni, ah...! Tutti dei brigaNtisti siete! Dei brigaNtisti sgiossi! Si gomingia dalla sguola, ma tando finigète tutti male, ah. Tutti male, ci vorsggièbbe la galègia a vita ancu pi' voi, ah! Ma ogia basta....bisogna andage avandi ancu pi' dimostrarvi unni sta la givildà, ah! Indersgggiogazzione. "
E si rimette a scorrere il registro. Rialza la testa.
"Fendòri, giusto lei (dava a tutti del lei), è tando che non la indèrsggiogo, ah. Venga."
S.G. n° 1 mi stringe di nascosto la mano e mi avvio alla pubblica fucilazione. Decido naturalmente di farlo con estrema dignità, mi ravvio i capelli e vado alla lavagna, dove mi sento appioppare una dimostrazione di un teorema di geometria che avrebbe messo in crisi anche Euclide in persona. Ovviamente non avevo studiato una mènghia, ma bisogna morire in piedi e comincio a tracciare col gesso triangoli a caso, lettere greche, quadratini, rombi e quant'altro; lei tace. A un certo punto mi interrompe:
"Fendòri, mi dice gosa sta disegnando, ah?"
"Il teorema..."
"Guesto è il deogema di Callo Màrchese, ah. Lei non ha sdudiado niende, gome semprsgge, ah. Mi dige gosa devo fare co' lei, ah...?"
No, non gliela do vinta. Mi piglio il mio due ma ora lo vede chi è il Fendòri. Poso il gessetto, mi pulisco le mani, mi avvicino alla cattedra e le dico con arietta a presa di culo:
"Mah, non lo so, professoressa...se non sa cosa fare con me, se vuole dopo posso venire a casa sua e s'inventa qualcosa..."
E contemporaneamente le faccio un eloquente gesto con la mano destra, spingendola avanti e indietro col pugno semichiuso.
Scoppia il putiferio più totale. Accompagnato in presidenza, telefonate a casa, tre giorni di sospensione dopo un sommario processo e automatico rimandamento a settembre senza più neanche essere interrogato.
Fu così, amici, che espiai il mio crimine di brigaNtista giòsso e che decisi di cambiare aria non appena dato un pesantissimo esame di riparazione, salvato per il rotto della cuffia dalla professoressa di lettere (dato che anche allora me la cavavo, diciamo, benino con gli aoristi e le declinazioni, pur avendo fatto scena muta all'esame di matematica e geometria).
Sappiate dunque che il sottoscritto, Venturi Riccardo, ha un oscuro passato di brigaNtista coautore dell'efferato delitto Moro.