Originariamente, si tratta di un piccolo commento ad una canzone postata su Canzoni contro la guerra. Ma, poiché il banale episodiuccio che vado a raccontare anche qui mi sembra indicativello di un certo climàttolo, lo riporto fedelmente. Nell'introduzione alla canzone di cui sopra, Alessandro, un collaboratore del sito, parla di Ian Tomlinson e di Giuseppe Turrisi. Ian Tomlinson è l'edicolante londinese ufficialmente "morto per infarto" durante il recente G-Qualcosa (non mi ricordo se erano otto o venti, tanto sempre di luridi stronzi si tratta), infarto -come dire- quantomeno "aiutato" dai poliziotti britannici; Giuseppe Turrisi è il clochard ammazzato a botte dalla "Polfer" alla stazione centrale di Milano. Senza ovviamente dimenticarci dello Spaccarotella che prende la mira a due mani.
Un signore di mezza età, già. Aveva 47 anni, Ian Tomlinson, edicolante; praticamente la mia età. Un anno in più. Indi per cui, anche io sono un signore di mezza età, oramai. Il quale, un giorno, se non è a una manifestazione (quelle cose per cui, poi, arriva sempre qualcuno che dice: "Ma potevano restarsene a casa"...), può anche andarsene tranquillo per i fatti suoi. Come stanotte, verso le 3 di una delle mie notti normali, senza sonno. Ho finito le sigarette e sono uscito per andare a comprarmele alla macchinetta all'angolo. Ma siccome mi faceva fatica mettermi le scarpe e la macchinetta dista non più di 50 metri, ci sono andato in ciabatte, con le crocs blé. Non c'era nessuno.
Così non si può voler tornare a casa come Ian Tomlinson (il quale, sembra, non era affatto lì per curiosare ma per tornare a casa, visto che abitava a due passi e i poliziotti inglesi non volevano lasciarlo passare); non si può puzzare alla stazione; e non si può neanche andare a comprare le sigarette in ciabatte. E me l'hanno pure chiesta, la ragione perché Venturi Riccardo, nato a Firenze il 25/09/1963 e professione interprete e traduttore (come risulta dai documenti), a quell'ora tipicamente da sovversivi fosse uscito in ciabatte. E mi è toccato pure risponder loro: "Perché mi faceva fatica mettermi le scarpe". Guardavano. Forse impressionati dall'enormità delle mie crocs, che ci si potrebbe fare lo sci d'acqua. Stavo dicendo loro la verità, ma in cuor mio c'era una vocina incollerita che mi diceva: "Digli che sono crocs-bomba di Al Qaeda! Digli che sono crocs bulgare con il puntale avvelenato! Levatene una e comincia a tirargliela sul muso a 'sti cialtroni!"; per fortuna sono rimasto fermo e "compos mei", nonostante le tre sambuche che mi ero bevuto. "Lei dove àbbbita? Ce li ha i dogumendi?", mi ha chiesto uno dei due, proprio con quell'accento, non è uno stereotipo; e, mentre tiravo fuori il portafoglio dalla giacca (ero in giacca e ciabatte), la solita vocina di prima: "Dove vuole che àbbiti? All'Aquila! Sono scappato dal terremoto in giacca e crocs, cosa crede?" Ma ho spento la vocina, hanno controllato i dogumendi e finalmente si sono levati dai coglioni per andare a proteggere il territorio da pericolosissimi sconosciuti che, la notte, si aggirano in ciabatte.
Così, la prossima volta che finirò le sigarette alle 3 di notte, dovrei mettermi le scarpe e vincere la mia naturale e salvifica pigrizia. Dovrei; ma col cazzo. Vincere la pigrizia per vincerla, invece di mettermi le scarpe, mi levo i calzini. E ci vado scalzo. Magari coi pantaloni arrotolati fino al ginocchio. A costo anche di andarci in mutande, non l'avranno vinta. Il fascismo securitario, ora come ora, credo che bisogni combatterlo anche così.