Quant'anni gli è che sto su Internet? Dunque, era la fine del '96...cazzo, sono tredici anni. Ovvero: un bambino nato il primo giorno in cui mi sono collegato, ora è in terza media. Oppure: c'era il primo governo di sinistra (ah ah ah!), mancavano ancora tre anni al dumila (e si stava benissimo nel millennovecento), le Tuin Tauers erano ancora in piedi e Osama era ancora, per quasi tutti, una marca di matite e pennarelli, in America c'era il presidente dei pompini e noi lo pigliavamo in giro senza sapere che ci avremmo avuto, un giorno, Mara Carfagna come ministro; la Fiorentina viaggiava ancora con Battistùtta e le “ciliegine” di Cecchi Gori, e io abitavo in una casa enorme e gelida nelle campagne senesi. Ero sposato da poco più di un anno. Il collegamento, anzi il provàider, si pagava, e salato; c'era, inoltre, la TUT, o tariffa urbana a tempo. E c'erano già quelli che, in Rete, dichiaravano solenni di non aver niente da spartire con quello e con quell'altro. E questa cosa no, non è cambiata affatto.
Ci son delle frasi, in Rete, che non muoiono e non moriranno mai. La comunicazione universale, anzi, le ha ancor più amplificate. A dismisura. Nel '96 c'era roba tipo Pow Wow o ICQ, c'erano i newsgroups e le mailing list, e c'erano quelli che non avevano da spartire, quelli che non volevano essere accostati, quelli che mettevano in campo le loro solitudini, il loro passato, le loro sopravvivenze e quant'altro. E mi ci son buttato anch'io, naturalmente. L'òmo in Rete è fatto così. Anch'io ho avuto la mia buona dose di non aver niente da spartire; è ganza, fa sempre il suo bell'effettaccio cane e, a volte, attira altri -e altre- non spartenti che, nel 99,72% dei casi, sono fragili come te. Un'altra parola-chiave. Proclami roboanti e fragilità nel frullatore. Realtà e invenzioni. La propria piccola Società dello Spettacolo portatile, accessibile finalmente con due cliccate.
Il tempo, fortunatamente, non passa invano. Si cresce, almeno un po' e con juicio. Intervengono dei fatti, non di rado. Persone che vengono e che vanno, che vanno e che vengono. Alla fine, volenti o nolenti, si emerge, si ritorna a galla. Cambiati, ma senza rinnegare niente e nessuno; però con un diverso atteggiamento e una diversa mentalità. Della Rete, è chiaro, nessuno è disposto a fare a meno; puoi fare a meno di certe sue parti, anche se vanno per la maggiore, e anche se la forza compulsiva delle parti rifiutate spinge alcuni ad equazioni sommarie, tipo: Se non ti piace X, non ti piace nemmeno Internet. A me Internet piace sempre, e tanto. Sto scrivendo su un blog, mica su un quaderno a quadretti. Mi piace, e mi serve. E, oltretutto, mi permette di spartire. Con tutti.
Leggendo quest'ultima frase, forse a qualcuno verranno in mente le mie famose incoerenze, o incongruenze, o quant'altro. Ma come: l'Asociale, quello che si è barricato nel Network senza commenti esterni, l'odiatore di Facebook, dei Social Networks, dei Messengers eccetera, che parla di spartire? Eppure è proprio così. In Rete si spartisce comunque con tutti, e senza bisogno di troppi ammennicoli. In Rete, e nella vita intera. Per forza di cose. Il non spartire non esiste. Ti tocca, anche se non lo desideri. Ti tocca, e lo sai benissimo. Si è cambiati definitivamente, quando davanti a tutte le dichiarazioni, a tutti i proclami, a tutte le coerenze e, in generale, a tutto ciò che leggi in giro, si fanno al tempo stesso la dovuta attenzione e l'altrettanto dovuta sogghignante ironia. Attenzione, perché ogni cosa, ogni storia, ogni punto di vista meritano di essere conosciuti; ironia perché siamo tutti quanti una massa di poveri bischeri senza remissione. Ed è esattamente con quest'animo che, ogni giorno o quasi, spartisco con tutti dalle pagine di questo blog volutamente silenzioso.
Esco di casa, e spartisco anche con il primo sconosciuto che incontro. Con lui spartisco decine di cose: il marciapiede, l'aria, il sole, la primavera, i gas di scarico delle macchine, e forse anche qualche opinione. Anche se non lo so. Potrei saperlo, però: basterebbe mettersi a parlare. Ehi, ma tu che ne pensi della mazzata a Berlusconi? Si sta zitti nella quasi totalità dei casi, ma nulla ce lo impedirebbe. Ovunque vado, spartisco. L'Asociale è sempre più pienamente convinto che l'uomo sia un animale sociale. Vedere il mio nome accostato a qualsiasi altro nome non solo non mi dà il minimo fastidio, ma mi interessa e mi rende abbastanza contento. Anche se il nome è quello di qualcuno che non sopporto. C'è qualcosa di male nel non sopportarsi? È una cosa del tutto normale, ovvia, umana. Ho imparato a dichiarare al tempo stesso di stare bene solo con poca gente, in pochi posti e con poche cose, e ad accettare di spartire tutto con tutti. La meravigliosa casualità degli eventi, che ti mette accanto a chi proprio non avresti mai pensato di averci; e la Rete, in questo, è formidabile. Lavora da sola, senza nessun bisogno di forzarla. Mi sono ritrovato, a un certo punto, accostato nientepopodimeno che a Marlene Dietrich, come presupposto autore della canzone In den Kasernen. In realtà ne avevo fatto una piccola traduzione italiana, ma un sito si è sbagliato e ha pensato che ne fossi l'autore. La cosa è stata ripresa da altri siti, e anche da YouTube:
E dovrei rinunciare ad una cosa del genere, anche se il mio nome lo ritrovo a volte accostato quello dello sconosciuto, dell'ex “amico”, del nemico, dell'indifferente o dell'imbecille? Ma figuriamoci. Spartisco volentieri con tutti quanti, vale a dire sono ridiventato quel che ero. Alla fine, quel che si è davvero ha sempre il sopravvento sulle costruzioni; e intanto mi preparo alla mia spartizione quotidiana. A cuor leggero, perché non esistono alternative, e se ci fossero non mi piacerebbero. Quando si muore, si muore soli, e sarà anche vero; ma, almeno, non anticipiamola la morte. Non mi piace più giocherellare a colpi di solitudine. La cosa gioca dei pessimi scherzi, tipo quello di ritrovarsi solo per davvero. E allora ho tutto da spartire, in ogni momento, con tutto il mondo. Tutto è aperto e senza limiti.