giovedì 30 agosto 2012

Insorgenze, nomi, classi


"Le note mortuarie che sogliono pubblicarsi dalla municipalità di Milano, portano pei gloriosi giorni di marzo tutto il pregio d'un monumento istorico.
I giornali della congrega patrizia arrogarono immodestamente e ingiustamente poco men che tutto a lei il merito di quella battaglia di cinque giorni che mandò rotto al Mincio l'esercito austriaco. - Ebbene qui ci sta innanzi il registro funereo. Udiamo la testimonianza che sorge dai sepolcri, sincera come la morte. Fino al 31 marzo si registrarono morti di ferite più di trecento.
Attribuiti all'ordine dei possidenti ne riscontriamo tre soli, e tutti popolani; un Ettore Zanaboni di Lodi, giovane d'anni 25; e due vecchi: Antonio Costa della Curia di Sant'Eufemia, e Antonio Grassi del suburbio di Porta Ticinese. Qui non v'era orma di patriziato.
Non vogliamo per ciò dire che nessuno di nobil famiglia offrisse il capo ai colpi nemici; e ben ci ricorda d'averne ammirato alcuno sempre fra i primi al pericolo; ma non sono codesti generosi che negano al popolo il suo diritto. Ed è forza pur dirlo, erano ben pochi; e se così non fosse stato, i casi della morte che colpirono li altri, non li avrebbero potuti così perfettamente risparmiare. Bene in grandissima maggioranza erano i signori là dove si proponevano frattanto li armistizii colla casa d'Austria, e poi tosto e nello stesso giorno le dedizioni senza patti alla casa Savoia; che per quel primo tentativo però non riescirono.
Ma, tornando a rimestare il cumulo dei cadaveri, vi ravvisiamo fra i più segnalati un Augusto Anfossi già mercatante e militare in Oriente e audacissimo condottiero alli assalti. Vi troviamo tre giovani ingegneri, Luigi Stelzi, Carlo Carones e Andrea Cassanini; l'istitutore Boselli e il prete Marco Lazzarini trucidato nel presbiterio di S. Bartolomeo. Troviamo l'ispettore alla strada ferrata di Monza Gerolamo Borgazzi, venuto con una squadra a soccorso della città; troviamo il giovine ragioniere Tomaso Barzanò; tre studenti, Perimoli, Chiapponi e Campato; due impiegati Giacomo Caccia e Carlo De Ceppi; tre scrivani; il cavallerizzo Foscati e il suggeritore teatrale Misdari. Il commercio è rappresentato da due mercanti, due mediatori e tre o quattro commessi, fra i quali un Petrolini ticinese. Fra cotesti Ticinesi -che furono anche i primi a rompere il confine per soccorrerci,- fu lodato e compianto in quei giorni l'intrepido feritore Giuseppe Broggi.
Soffersero gran numero di morti i commercianti di cose bisognevoli alla vita, anco perché più mescolati nei trivj col popolo combattente. Contammo non meno di 26 venditori di vino, d'olio, di latte, di droghe, di salumi, di frutta, di pane.
Ma la maggior turba degli uccisi doveva ben essere tra li operai; le barricate e li operai vanno insieme ormai come il cavallo e il cavaliere. Il sacro mestiere delli stampatori ebbe cinque morti, e troviamo fra i morti anche un legatore. Vi sono tre macchinisti, un incisore, un cesellatore, un orefice. Dei lavoratori di ferro e di bronzo morirono non meno di quindici; onde pare che questa forte razza fosse tutta sulle barricate. Ed è pur glorioso all'arte dei calzolaj il numero di tredici uccisi. Dei sarti caddero quattro; tre cappellai; e venti tra verniciatori, doratori, sellai, tessitori, filatori, guantai e anche un parrucchiere. V'ha una decina di muratori, scarpellini e altre arti edilizie. L'agricoltura ebbe le sue vittime nel fittuario Molteni, in un giardiniere, un ortolano e sei contadini. Un cadavere diedero le guardie di finanza e due i valorosi pompieri. Abbiamo infine parecchi facchini e giornalieri, e altri ignoti di mestiere e di nome; sine nomine vulgus. L'unica relazione che forse potrebbero avere codesti registi col patriziato è una lista di circa diciotto tra servitori, cocchieri, cuochi e portinai, alcuno dei quali sarà forse morto per procura de' suoi padroni. Gloria e potenza a loro; e requie a lui!
Quei feriti che soggiacquero a morte più lenta, saranno nei registri d'aprile e maggio, che ancora non avemmo.
Grande più che non si crederebbe è il numero delle donne uccise; alcune lo saranno state per caso, ma molte per coraggio e per amore; e alcune per ferocia dei nemici, che non solo imperversarono nelle parti indifese della città, ma nascosti sopra le aguglie del Duomo, si piacevano ad avventare insidiosi colpi ai balconi interni e alle finestre mai chiuse. Vediamo indicata una levatrice, una ricamatrice, una modista e tra quelle che si dicono alla rinfusa cucitrici, alcune giovinette. Quante storie di semplice affetto, e d'inosservato dolore vi stanno riposte! O poeti, interrogate questi sepolcri, e siate poeti della vostra gente.
Noi, raccogliendo solo il sommario significato di questi aridi ruoli, ripetiamo che il sangue dei cinque giorni fu veramente versato dal popolo e al popolo se ne deve gratitudine e gloria. Fu questa la prima vittoria dell'Italia contro l'oppressore, e diciamolo pure, fin qui, è l'unica vittoria vera; li altri sono fatti d'arme, onorevoli quanto si vuole, ma senza valevole acquisto di terreno; anzi con perdita dolorosa, assidua, vasta, di provincie e di città.
Dio la cessi! Dio ne conceda capitani che ci conducano una volta alle promesse Alpi!
Alle Alpi, alle Alpi chi vuol la pace! I patrizi si rammentino che le paci di Campoformio non furono altro mai che fugaci e perfide tregue, e che il tributo dei milioni richiesti dal nemico gli darebbe solo lena e nervo a fare a buon tempo più tremenda vendetta.
Il prezzo della vittoria fu pagato dai poveri.
La vendetta del nemico cadrebbe sui ricchi!"

Carlo Cattaneo, "L'insurrezione di Milano", pubblicata nel 1849.