martedì 26 novembre 2013
Cavarsi un dente
È successa una strana
cosa, pochi minuti fa. Talmente comune che ho voglia di raccontarla.
Ieri sera mi sono levato
un dente. Non metaforicamente (“via, leviamoci 'sto dente”): mi è
toccato proprio andare dal dentista a farmi cavare l'ennesimo
merdamolare, o come accidenti si chiama. Da un paio di giorni mi
stava facendo vedere i sorci verdi. Inutile starci tanto a pensare,
ballava che sembrava Fred Astaire e, perdipiù, accanto non aveva
oramai nessuna Ginger Rogers. Nel senso che, in alto a sinistra, era
l'ultimo rimasto. Dai denti si ha la percezione esatta del tempo che
è passato; si comincia inesorabilmente a sdentarsi, ed è bene
pigliarne atto senza mettere in campo tante filosofie a bischero.
Così, dopo quattro
punture di anestesia, la cavatina non propriamente rossiniana, i
punti e i regolari scaracchi di sangue, eccomi con le consuete
raccomandazioni dell'odontojatra: l'antibiotico, l'antidolorifico e
mangiare roba fredda. Raccomandazioni particolarmente solenni,
stavolta: il fatto è che c'era pure mia madre. Siccome il dentista è
a cinquanta metri da casa sua, e anche lei doveva farsi fare o dire
delle cose, è stata lì con me a vedermi cavare il dente. Come
quando avevo sei anni e mi toccò andare a farmi levare un dente
di latte che, sembra, ci aveva
di già le barbe e che mi fu cavato senza anestesia perché a
quell'età, dicevano, faceva male. Non lo so se faceva male
l'anestesia; però di quel che ho patito me ne ricordo ancora a 44
anni di distanza.
Forse,
fino a qualche tempo fa, avrei detto a mia madre di restarsene in
sala d'aspetto per un quarto d'ora. Dal dentista si è piuttosto
nudi, c'è un signore che ti mette mani e arnesi in bocca e ti leva
pur sempre una parte di te. Una parte che ha masticato, che ha
digrignato, che si è beccata germi e baci, che infine è mezza
marcita per tutta una serie di cose che vanno dall'incuria all'usura
del tempo. Alla fine, zàc, una pinza e finisce nella spazzatura. In
fondo, è un anticipo di quel che accadrà prima o poi con tutto te
stesso. Niente di straordinario.
Ieri
sera, invece, niente di tutto questo. Non ho chiesto niente a mia
madre. E' restata là a guardarmi mentre il dentista mi cavava il
dente, e mi ha fatto persino piacere. Come se fosse, chissà,
l'ultima volta o qualcosa del genere. Un figlio di cinquant'anni e
una madre di ottanta; due vite, una quasi alla fine e un'altra che ha
scollinato. E così, dopo una mezz'ora, eccomi per la strada coperto
con una sciarpa per non prendere freddo, ma con la prospettiva di
dover mangiare roba fredda. Stranezze dei denti cavati.
Poi
me ne sono andato in un dato posto; ma, dopo un po', l'effetto
dell'anestesia è passato e i punti hanno cominciato a tirare. In
breve, sono dovuto tornare a casa e affidarmi a babbo Nimesulide; ho
preso l'antidolorifico, mi sono cacciato in testa il “collo” a
mo' di berrettone, e mi sono messo a fare non so cosa. Nemmeno alle
dieci ero già a letto, imbacuccato come un novantenne e con una
bella grammatica swahili da leggere. Le grammatiche swahili in
italiano sono state tutte scritte da missionari, non si scampa;
bisogna passarci sopra per godere appieno della fantastica struttura
delle lingue bantu. Nelle lingue bantu si procede cambiando non la
fine, ma l'inizio delle parole. I sostantivi sono divisi in “classi”
a seconda del prefisso con cui iniziano; per fare il plurale, ad
esempio, si cambia il prefisso iniziale. Mtu
“uomo” diventa watu
“uomini”; oppure kitu
“cosa” diventa vitu
“cose”. Gli stessi prefissi si applicano poi a aggettivi e verbi:
così mtu mzuri “bell'uomo”,
watu wazuri “begli
uomini”, vitu vizuri
“belle cose”, watu wazuri wanapenda
vitu vizuri “gli
uomini belli amano le cose belle”, e così via. Ed è arrivato il
sonno, presto, il telefonino e la confezione del Carvasin sublinguale
accanto e la storiella di Abunuwas in swahili, che si ripete in tutte
le grammatiche.
C'era
un povero che passava mentre un ricco arrostiva una capra; avendo
solo un pezzo di pane, se lo era mangiato annusando il profumo della
capra che veniva arrostita. Il ricco, che aveva mangiato una capra
insipida, lo aveva accusato davanti a Harun Rashid di avergli rubato
il sapore della capra, e il sultano aveva condannato il povero a
pagare dodici rupie. Il povero, disperato, aveva incontrato Abunuwas,
che gli aveva regalato le dodici rupie dicendo di andare a pagare, ma
di aspettare che arrivasse prima di farlo. Così era andata: il
povero era andato da Harun Rashid assieme al ricco, ed era arrivato
Abunuwas.
Costui,
prima che il povero pagasse, si era fatto ridare le rupie e le aveva
gettate per terra; aveva detto poi al ricco: “Visto che quest'uomo
ti ha preso il profumo della capra senza mangiarla, tu prenditi il
suono delle rupie”; e Harun Rashid, che pure era noto per il
favoritismo nei confronti dei ricchi, aveva dato ragione al povero.
La storia finisce con Abunuwas che dona definitivamente il denaro al
povero. La conosco da trent'anni, questa storia. Era già nella
grammatica swahili di Vittorio Merlo Pick, altro missionario; il
bello è che, a un certo punto della mia vita, ho conosciuto un
Vittorio Merlo. Senza Pick. Sta in Lussemburgo, ha una caterva di
figlioli e scrive canzoni. E' arrivato il buio di una notte fredda, e
senza nessuna solitudine artificiale. La grammatica swahili lì
accanto, con le sue classi e i suoi prefissi.
Come
sempre quando mi addormento troppo presto, alle tre di notte ero
sveglio; e lo sono tuttora, a più delle sette, e con una pallida
luce che comincia a filtrare.
Il
letto è disfatto, la grammatica swahili la ho rimessa
meticolosamente al suo posto e chissà quando la ritirerò fuori. Mi
potrebbe venire la voglia, chissà, di tirare fuori il mio dizionario
swahili-russo pubblicato a Mosca nel 1961. O quello swahili-francese
regalatomi da un prete congolese. O quello, in due volumi,
swahili-inglese e inglese-swahili fregato non mi ricordo quando e non
mi ricordo dove. Mi sono avviato verso la porta senza fumare. Col
dente appena cavato non si può fumare, e stranamente mi sono
attenuto alla regola.
Faceva
un freddo cane, là fuori. E non mi dava noia.
Chissà
che doveva essere successo. Di solito, quando comincia a fare freddo
sul serio, non sto bene. Non lo sopporto, il freddo; se ripenso a
tutte le fregole sul “grande Nord” che avevo da ragazzo, mi sento
morire. Prima, per due minuti, ho accettato il freddo e mi sono
ritrovato pure a respirarlo, nel mezzo della notte, guardando un
punto che non c'era e ringraziando, prosaicamente, il Nimesulide che
funzionava. Contentandomi di questo con delle classi swahili in
testa, Abunuwas e la capra, e l'impercettibile bellezza di essere
vivo a dispetto di tutto.
Avevo
detto all'inizio che era una strana cosa; ma, forse, non è strana
per nulla. Si piglia il tempo come viene, persino col suo freddo. Si
getta un ponte a quel che sia, e si prova a vedere nel buio di una
notte di novembre; con addosso un berrettone di lana, senza un dente
e facendo, senza nemmeno accorgersene, un sorriso a metà tra la
beffa e l'incoscienza.
venerdì 22 novembre 2013
La rivendicazione per l'eliminazione dei due nazisti di Alba Dorata da parte delle Forze Combattenti Popolari Rivoluzionarie. 2° Capitolo (2a parte).
La memoria di classe: l' "attrezzo ginnico per la rivoluzione sociale (2/2)
Come ha dimostrato
la recente storia greca, l'esistenza di meccanismi parastatali e l'
“amabile” collaborazione con lo Stato e con la polizia è un
fatto appurato. Dai “Chites” a quelli del “Battaglione di
Sicurezza”, dai Manganàsi
ai Sourlis e a Papadongonas, da tutti quelli che hanno ammazzato
comunisti e combattenti della Resistenza Greca davanti agli occhi
delle forze armate e in collaborazione con le forze armate, dai
“Maydes”ii
della guerra civile che stupravano e decapitavano partigiani già
morti dietro compenso, fino agli assassini di Lambrakisiii
per arrivare ai giorni nostri, all'EPENiv
, a Voridisv
che si presentò con un'ascia alla facoltà di chimica nel 1985, ai
“Centauri & Rangers” di Nuova Democrazia, agli assassini di
Temboneras (Kalambokas, Spinos e Marangòs) a Patrasso nel 1991vi
e agli albadoristi accoltellatori e assassini come Roupakiàs, lo
Stato e specialmente la polizia ha sempre sostenuto e protetto questi
schifosi in quanto li utilizzava come riserva contro il nemico
“esterno”. Assai semplicemente, il “kypatzìs”vii
Michaloliakos si è sempre trovato a disposizione dello Stato nelle
sue componenti profonde.
Sbirri e fascisti
sono i mastini del capitale. La repubblica parlamentare borghese e il
fascismo sono due facce della stessa medaglia, vale a dire forme
diverse di influenza del sistema capitalista. Lo Stato e il capitale
generano il fascismo, come recita un vecchio slogan anarchico greco.
Lo dimostrano tutti i riferimenti storici a partire dal periodo tra
le due guerre fino alle rovine lasciate dalla 2a guerra mondiale, e
tutte le analisi storiche sul nazismo hitleriano, sul fascismo
mussoliniano in Italia e sul franchismo in Spagna, ed anche sulla
nostra storia, quella del fascismo greco. Per questo motivo, anche
l'approccio rivoluzionario alla Storia è un patrimonio importante
per il movimento rivoluzionario.
La memoria di classe
è un'arma nelle mani degli strati popolari. È il patrimonio che si
irride della falsificazione storica, la caratteristica che non
permette che si infiltrino sempre più profondamente l'errore, i
dubbi creati ad arte e la propaganda ideologica. E si tratta,
d'altronde, del punto fermo che questo mondo contrappone agli orrori
dello strangolamento economico e della repressione da parte dello
Stato. La memoria di classe non è la memoria di un pesciolino rosso
in una palla di vetro trasparente, per fargli mangiare quel che gli
danno e riprodurre la retorica del potere. La memoria di classe è
quella che ci insegna che il capitalismo si è sempre servito di quel
che voleva per soddisfare i suoi appetiti, ora la democrazia e ora il
fascismo. La memoria di classe ci dice che ogniqualvolta i fascisti
sono stati colpiti “con i mezzi e negli ambiti della democrazia”,
si sono ripresi in breve tempo. Dai nazisti nella Repubblica Federale
di Germania del dopoguerra fino alla Grecia, dal picchiatore
Gontzamanisviii
fino al torturatore-capo della Giunta, Malliosix,
ogni tipo di potere ha fornito loro non soltanto immunità, ma anche
cariche statali.
D'altra parte,
bisognerà mettere l'accento anche sulla palude teorica di coloro che
possiedono sì la memoria di classe, ma che si distanziano
stabilmente dalla guerra di classe. La conoscenza storica si
trasforma molte volte in un'àncora. Chi si opponex
trasforma la memoria di classe in un peso, si riferisce
eccessivamente al passato facendo rotta verso l'ieri e senza
attualizzare la lotta al presente. Anche per questo, la sinistra
opportunistica (e non solo essa) rimane attaccata a sterili denunce.
La teoria senza pratica sono parole al vento. La coscienza di classe
esiste, acquisisce la consistenza che le si confà e si incarna
nell'agire di propria iniziativa, nella complicità e nel
coinvolgimento attivo nel redigere su carta un programma di
cambiamentoxi
fino alla sua realizzazione pratica. Altrimenti puoi restare
stoicamente a osservare mentre ti annientano.
Dunque, se bisogna
ridirlo, che lo si ridica. Gli sbirri e i fascisti sono i mastini del
capitale. La repubblica parlamentare borghese e il fascismo sono due
facce della stessa medaglia, ovvero del sistema capitalista.
I fascisti, sia come
tali, sia come nazionalsocialisti, sia come nazionalisti greci, non
sono mai andati via dalla Grecia. A partire dalla “dittatura del 4
agosto” di Metaxàs, dai collaborazionisti coi nazisti, dai
“Chites”, dalle milizie al servizio dei tedeschi e dagli
informatori durante l'Occupazione e la Resistenza dell'EAM-ELAS, dal
napalm americano usato per reprimere e annientare l'epopea
dell'Esercito Democratico, dal plotone di esecuzione, dalle
persecuzioni alle isole desertexii,
fino a arrivare ai Gontzamanis che godevano di impunità anche prima
della giunta dei Colonnelli e che ricevettero durante essa cariche
ufficiali; dalle “mele marce” della Giuntaxiii
fino al “cambio di guardia” del regimexiv,
fino ad arrivare alla Metapolitefsixv;
dall'EPEN fino al suo uso come “forza di riserva” e fino
all'attuale Alba Dorata in questo periodo di crisi economica, i
fascisti sono stati sempre qui. Non si tratta di un fenomeno
passeggero, non è un illusorio fuoco d'artificio; e la memoria di
classe è illuminante per capire quali tattiche debbano essere
adottate, quali opportunità debbano essere colte e quali riflessioni
debbano essere fatte sulla natura profonda del fascismo.
Al tempo stesso, a
mo' di aggiunta e di fronte all'attuale politica di destabilizzazione
da parte del sistema, la propaganda -degna di un Goebbels- del
Ministero dell'Interno rigurgita regolarmente di informazioni sul
pericolo di un colpo di stato. Dal generale Frangos Frangoulisxvi
e dalle oscure e sotterranee conventicole di cospiratori fino alla
presa diretta del potere da parte di Alba Dorata, tutta
quest'abbondanza di notizie sul golpe rafforza il potere e ne
ripulisce la faccia. La memoria di classe ci dice invece che la
messa in opera di uno stato totalitario non si ottiene sempre
mediante una presa di potere immediata o un'azione improvvisa, come
sappiamo dalla scelta che il potere compie tra la restaurazione e il
colpo di stato militare.
La memoria di classe
del movimento radicalexvii,
e lo diciamo seppure in forma condensata o solo accennata, è uno dei
fondamenti della formazione politico-militare, dell'organizzazione e
della controffensiva del proletariato rivoluzionarioxviii.
Attualizzata all'oggi, contribuisce come “attrezzo ginnico”xix
per gli esercizi di rivoluzione che anticiperanno opportunamente la
realistica guerra di classe per il completo rovesciamento del sistema
capitalista in Grecia. Per la controffensiva di classe nel Paese e in
tutti gli altri paesi europei. Per l'attacco decisivo da sferrare al
capitale straniero e interno, allo Stato e al suo parastato fascista.
Per l'abbattimento della repubblica borghese e della dittatura
economica dei mercati di cui è al servizio.
Note al 2° Capitolo (2a parte)
i Vangelis
Manganàs guidò nel 1946 nel Peloponneso un colpo di mano
monarchico nella regione controllata in gran parte dalle forze
comuniste dell'EAM-ELAS, durante la guerra civile greca. (ndt)
ii
Ovvero i membri delle MAY, Monades Asfalias Ypaithrou “Unità
di Sicurezza Rurale”, altra milizia parafascista durante la guerra
civile greca. (ndt)
iii
Il deputato pacifista che fu assassinato nel 1962 a Salonicco dalla
destra fascista. Vicenda narrata nel film di Costa-Gavras “Z –
L'orgia del potere”. (ndt)
iv
L'EPEN (Ethniki Politiki Enosis
“Unione Politica Nazionale”) è il partito nazionalista di
estrema destra fondato nel 1984 dall'ex dittatore Georgios
Papadopoulos. Si considerava il corrispondente greco del “Front
National” di Le Pen, e ne aveva adottato il simbolo a sua volta
ripreso dal MSI italiano (la “fiamma che arde” coi colori
nazionali). Si sciolse nel 1996 dopo avere ottenuto un misero 0,24%
alle elezioni politiche, ma era arrivato al 2,3% e a un deputato al
parlamento europeo. I suoi membri sono confluiti generalmente in
Alba Dorata. (ndt)
v
Mavroudis (Makis) Voridis, avvocato, nato nel 1964, è stato leader
studentesco fascista prima di fondare, nel 1994, il “Fronte
Ellenico” con il quale si è candidato (con scarso successo) alla
poltrona di sindaco di Atene; il suo slogan elettorale era
“cartellino rosso agli immigrati”. Il Fronte Ellenico si è
sciolto nel 2005 confluendo nell'allora in voga LAOS (vedi nota xiii
nella versione complessiva / nota ii di 2/1 nella versione su blog);
Voridis è stato eletto deputato nel 2007. Nel novembre 2011 Voridis
è stato nominato ministro per le infrastrutture e trasporti nel
governo “tecnico” di Loukas Papadimos (nei media europei
chiamato “Lucas Papademos”); a seguito di ciò, è stato espulso
dal LAOS ed è entrato in Nuova Democrazia. Si definisce attualmente
un “liberaldemocratico nazionalista”. (ndt)
vi
Temboneras era un insegnante di matematica ucciso nel 1991 a
Patrasso da esponenti fascisti locali durante uno sciopero. Dei tre
assassini, Kalambokas è ora un esponente di spicco di Alba Dorata
(ndt)
vii
Con questo termine si indica in Grecia chiunque lavori a vario
titolo coi servizi segreti (KYP = Kratikì Ypiresia Pliroforiòn
“Servizio Statale di
Informazioni”). (ndt)
viii
Non sono qui riuscito a reperire notizie certe su questa figura.
(ndt)
ix
Evangelos Mallios era un poliziotto accusato di avere torturato
numerosissimi prigionieri durante gli anni della dittatura. Ai suoi
funerali partecipò vistosamente Michaloliakos, il leader di Alba
Dorata. (ndt)
x
Il termine qui usato nell'originale (οι
αντιστεκóμενοι) significa
genericamente “gli oppositori” e può riferirsi agli oppositori
parlamentari ma anche genericamente a quelli che da noi si chiamano,
e spesso si autodefiniscono, “resistenti”. (ndt)
xi
Qui si ha un tipico caso di traduzione forzatamente controversa, di
cui il traduttore deve rendere conto prendendo una posizione. Il
termine ανατρεπτικός dell'originale
significa “sovversivo”, “eversivo”; nella prima sfumatura è
usato anche da chi si ritiene un sovversivo, nella seconda -come in
italiano- ha un uso più amato dalla magistratura e dalla polizia
(si vedano le “trame eversive” ecc.). Poiché ritengo questo
documento una rivendicazione di un atto politico, niente più e
niente meno, mi astengo dal tradurre con aggettivi che sembrano
fatti apposta per “far pensare” e mi attengo alla sua
etimologia (ανα-τρέπω
“rovesciare; rivoltare”).
Traduco “cambiamento” anche se
ugualmente accettabili potrebbero essere “rovesciamento” e,
soprattutto, “rivolta”. (ndt)
xii
Il riferimento, automatico per i greci, è alle isole disabitate e
aride dell'Egeo (come le tristemente note Makronissos e Leros) dove
erano impiantati i lager sin dalla fine degli anni '40, ripristinati
dalla giunta dei Colonnelli. (ndt)
xiii
Forzato adattamento della traduzione: quelle che in italiano sono le
“mele marce” in greco sono “goccioline” (σταγονίδια),
in riferimento alle goccioline di umido
che fuoriescono dal formaggio andato a male. In italiano,
ovviamente, tradurre alla lettera non avrebbe avuto senso. (ndt)
xiv
La “svolta liberale” di Papadopoulos che alleggerì il regime
nel 1970/71 anche per l'attività di protesta internazionale e
l'isolamento in cui era stata messa la Grecia. Tale “svolta”
ebbe fine agli inizi del 1973 quando Papadopoulos fu deposto e
incarcerato, e sostituito dai “duri” del regime (Ioannidis e
Makarezos in primis) che procedettero nel novembre del '73 alla
sanguinosa repressione della rivolta del Politecnico e, poi, alla
disastrosa impresa cipriota che segnò la fine della Giunta. (ndt)
xv
Con tale termine (μεταπολιτεύση,
alla lettera “trasformazione politica”)
si indica il periodo immediatamente
successivo alla caduta della Giunta, quello del governo Karamanlìs;
in italiano è variamente reso (“degiuntizzazione”, “cambio di
regime”, “intervallo democratico”, “periodo di adattamento
democratico” eccetera, ma ne ho trovate di tutte e ho preferito
lasciare in greco). (ndt)
xvi
Il generale Frangos Frangoulis (anche la Grecia sembra avere il suo
“generale Franco”: Frangos corrisponde
esattamente a “Franco”), nato nel 1951, è Generale di Stato
Maggiore dell'esercito Ellenico nonché attuale Ministro della
Difesa nel governo Samaràs (si confronti, in Italia, il generale Di
Paola che è stato ministro nella difesa nel governo “tecnico”
di Mario Monti) (ndt)
xvii
Il termine qui usato, ριζοσπαστικός,
non ha in realtà nulla a che vedere con
quello italiano, né con la cosiddetta “sinistra radicale” né,
ovviamente, coi “radicali” liberalborghesi di Pannella & co.
“Radicale”, in greco, è reso alla lettera con “strappatore di
radici” (rizo-spastikos)
e indica un cambiamento totale del tipo di società. Si avvicina
quindi molto a “rivoluzionario”, termine con cui sarei stato
tentato di tradurre ma che ho evitato per non confonderlo con il
termine “rivoluzionario” proprio (epanastatikòs).
L'avvertenza
è però doverosa e attiene alla celebre kyriolexìa
(“proprietà
di linguaggio”, o “letteralità concreta”) della lingua greca.
(ndt)
xviii
Qui viene usato il termine “rivoluzionario” in senso proprio
(epanastatikòs) (v. nota
precedente) (ndt).
xix
Lo sviluppo concettuale del documento mi ha fatto qui modificare il
titolo di questo capitolo già pubblicato su blog. Avevo tradotto
alla lettera “cavallina” (l' εφαλτήριο
è propriamente il “cavallo con
maniglie”) ma poi ho preferito tradurre con “attrezzo ginnico”.
(ndt)
La rivendicazione per l'eliminazione dei due nazisti di Alba Dorata da parte delle Forze Combattenti Popolari Rivoluzionarie. 2° Capitolo (1a parte).
La Memoria di classe: l' “attrezzo ginnico” per la rivoluzione sociale (2/1)
Nel settembre del 2013 i sondaggi fatti a domande preparate e a risposte predefinite
mostrano Alba Dorata in costante ascesa fino a raggiungere la terza posizione.
Il dibattito televisivo riporta le operazioni in corso e preannuncia una
eventuale sinergia per un governo di coalizione tra N.D. e Alba Dorata.
Anche se lo desidererebbe, Alba Dorata non può “mettere
la testa a posto”. Ha i cattivi modelli del fascismo militarista
tradizionale nel proprio DNA, inalterati. Per loro, la violenza non è
un metodo di lavoro, ma è fine a se stessa. Vedendo crescere la sua
influenza “antisistema”, Alba Dorata è diventata sempre più
sfacciata e ha scelto di cambiare strada. Agli inizi di settembre, a
Perama, [A.D.] aggredisce i sindacalisti del PAMEi
mentre questi ultimi stanno negoziando il contratto di lavoro coi
“suoi” armatori. La polizia resta in disparte, cosa alquanto
strana se si considera che il 50% di loro li vota e, come è stato
più tardi dimostrato, ne sono pure membri. Già dal giorno
successivo, gli Albadoristi vengono ingaggiati sui posti di lavoro
del distretto cantieristico. Pochi giorni dopo, l'aggressione di
Perama sembra come preannunciare lo show militarista che
realizzeranno su un terreno puramente loro appartenente, vale a dire
al cimitero dei loro progenitori e camerati politici delle SS. A
Pigada di Meligalàs si ritrova tutta la razzumaglia dello stato e
del parastato fascista (sarebbe stata un'occasione meravigliosa per
riempire di nuovo il cimitero!). Eccitato dalla rabbia, il can
pastore addomesticato morde allora la mano al padrone: si mette a
pestare i suoi simili monarchici e nostalgici della Giunta, i
nipotini dei Colonnelli e anche i presenti che votano Nuova
Democrazia e LAOS.ii
Non esiste quindi più alcun argine visibile alla realizzazione della
loro tattica politica, vale a dire annientareiii
l'avversario politico o il nemico razziale.
Nell'ultimo periodo,
cioè da quando Alba Dorata è entrata in Consiglio Comunale [a
Atene] alle elezioni del 2012, sono aumentati esponenzialmente gli
episodi di violenza razzista da parte di suoi membri. Sono aumentati
anche i pestaggi e gli omicidi, accompagnati anche da furti e rapine
nei confronti di poveri immigrati lavoratori. In moltissimi casi si
sono presentati come agenti di polizia per controllare i documenti e
i permessi di soggiorno degli immigrati. In alcuni casi hanno agito
sostituendosi alla polizia, da questa pienamente tollerati, per
controllare i documenti di piccoli commercianti e venditori stranieri
o per fare indagini su eventuale lavoro nero, come all'ospedale di
Kalamata dove hanno controllato lavoratori stranieri.
Ecco i principali
episodi della loro attività “patriottica” e “di spirito
ellenico” avvenuti negli ultimi tempi: Pestaggio di un egiziano al
Pireo il 3 gennaio 2013 da parte di 3 persone con distintivi di A.D.
Irruzione, il 25 gennaio, di 7 fascisti muniti di bastoni, manganelli
e coltelli in casa di un immigrato pakistano a Peristeri, dove hanno
rubato un computer portatile, un telefono cellulare e 40 euro.
Aggressione avvenuta il 14 febbraio a Ierapetra (Creta) da parte di 7
membri di A.D. nei confronti di 3 pakistani. Assassinio
dell'immigrato pakistano Shehzad Luqman a Petralonaiv
mentre andava al lavoro. Il 31 marzo, aggressione da parte di 6
fascisti nei confronti di 3 immigrati a Atene. Il 10 maggio a Chanià,
dei neonazisti incendiano alcune case dove vivono Rom – Kasidiarisv
aveva definito i Rom “spazzatura umana”. Il 12 maggio, ancora a
Chanià, 3 marocchini vengono bastonati al Porto Vecchio. Il 13
maggio, a Atene, un 15enne afghano viene aggredito da neonazisti che
lo feriscono al volto con una bottiglia rotta. Il 25 maggio, a
Salonicco, un immigrato del Rwanda viene accoltellato da due persone
sopraggiunte in macchina, mentre lo stesso giorno un iracheno viene
aggredito da una squadraccia fascista all' Università Aristotelica
di Salonicco. Il 1° giugno, a Pangrati, due persone salgono
sull'autobus linea 732 e iniziano a pestare immigrati africani
urlando “O prendetevele ora!”vi
Il 2 giugno a Egaleo, una squadraccia di 12-13 fascisti assalta
alcune case di immigrati. Il 12 luglio, 4 pakistani ricevono la
“visita” di 4 persone che si presentano come agenti di polizia;
quando i pakistani cominciano a protestare dato che hanno documenti
legali, quelli che sono entrati cominciano a pestarli gridando di
essere di Alba Dorata. Lo stesso avviene a Tavros il 21 luglio,
quando 6 persone, fingendo di essere poliziotti, entrano in casa di
alcuni immigrati per controllare i loro documenti per poi cominciare
a pestarli gridando di essere di Alba Dorata e, contemporaneamente,
rubando loro i portafogli, i documenti di identità, i permessi di
soggiorno e di lavoro e oggetti domestici. In molti casi, la polizia
cerca di impedire agli immigrati di presentare denuncia, in altri
arresta addirittura gli immigrati privi di permesso di soggiorno
(perché glielo hanno rubato) e copre i fascisti. Nel 2012 sono
avvenuti 154 episodi di violenza razzista da parte di membri di Alba
Dorata ed altri fascisti. Non dimentichiamo il grave pestaggio ai
danni di alcuni lavoratori egiziani avvenuto al porto peschereccio di
Keratsini, così come il pogrom e l'assassinio di un immigrato a
Patisia nel 2011, dopo l'uccisione di Kandaris da parte di un
afghano:vii
per gli schifosi di Alba Dorata, gli immigrati sono responsabili
collettivamente degli episodi di delinquenza. Delinquenza che,
naturalmente, in ogni parte del mondo non ha alcuna connotazione
razziale ma che è nutrita dal capitalismo, che ne è un suo
prodotto, conseguenza dell'emarginazione e della povertà. Non
dobbiamo misconoscere che diversi immigrati sono stati implicati in
crimini, ma le canaglie razziste di Alba Dorata girano gli occhi
dall'altra parte davanti ai crimini commessi da greci, come nel caso
dell'assassino di Xanthi, che ha ammazzato una giovane donna già
recidivo per stupro, oppure il “Supergreco” di Rethymnon che,
sfruttando il fatto di essere allenatore di calcio, ha approfittato
di alcuni ragazzini sul terreno di gioco. Non hanno mancato di
sostenere in tribunale il padre e il figlio che, assieme a un loro
amico, avevano sequestrato un dipendente egiziano che lavorava alla
loro panetteria di Salamina, e che era venuto a reclamare il salario
dovuto. Lo hanno legato e torturato per ore, non tralasciando di
sodomizzarlo con un oggetto. Ecco l'attività “patriottica” delle
canaglie di Alba Dorata, della quale le due “vittime innocenti”
di Neo Iraklio “non sapevano nulla”, come ha detto il genitore di
uno dei due. “Non era fascista”!! Il “ragazzo” non sapeva a
quale organizzazione apparteneva! Nella zona Nord di Atene, dove
stavano le vittime “innocenti”, i “Greci di spirito” di Alba
Dorata avevano, tra gli altri, aggredito (a Metamorfosi) un barbiere
pakistano nel suo negozio, accoltellando lui e un cliente greco, e
dando in seguito fuoco al locale. In un altro caso, avevano aggredito
un pakistano vicino allo stabilimento FAGEviii,
sempre a Metamorfosi e mentre venivano aggrediti altri immigrati a
Lykovrisi. Niente sapevano di tutto ciò le vittime “innocenti”
di Neo Iraklio! Chiunque faccia parte di un'organizzazione criminale
come Alba Dorata è automaticamente complice anche se non è
fisicamente l'autore del crimine.
Subito dopo
l'assassinio di Pavlos Fyssas, Il Ministero degli Interni, il
governo, la “giustizia” e il PASOK hanno “scoperto”
all'unisono l'attività criminale e assassina di Alba Dorata.
All'improvviso, quelli che per anni li avevano blanditi e se ne erano
serviti come forze di riserva in numerose occasioni (come ha fatto la
polizia sotto i governi sia di ND che del PASOK), hanno dichiarato
“guerra al fascismo e ai neonazisti”. Quelli che, a partire dal
maggio 2010, col voto del “memorandum”, hanno dato luogo a una
politica di completa conformazione alle esigenze dei creditori del
Paese, derubando il popolo, abolendo totalmente le vecchie conquiste
del movimento dei lavoratori e il diritto di sciopero a colpi di
precettazioni, scagliando i mastini della polizia, le Forze
Antisommossa, le Squadre Motociclistiche e i Nuclei Delta contro i
manifestanti, e riducendo lo stesso parlamento nazionale a un
burattino tirato dai creditori, quelli la cui politica sarebbe stata
invidiata non solo da Hitler e Mussolini, ma anche dai fascisti
nostrali come Metaxàs e i Colonnelli, beh, sono quelli che ora
dichiarano “guerra al fascismo”.
Note al 2° Capitolo (1a parte)
i Il
PAME, sigla-acronimo di Panergatiko Agonistiko Metopo
(Fronte Militante di Tutti i lavoratori) è un fronte sindacale
unitario di orientamento comunista e controllato dal Partito
Comunista Greco (KKE). L'acronimo significa anche, in greco,
“Andiamo!”. (ndt)
ii
Il LAOS è un partito di estrema destra “precursore” di Alba
Dorata, che ebbe un certo successo nelle passate elezioni greche.
Aveva connotazione più “religioso-tradizionalista”, essendo
sigla di Laikos Orthodoxos Synagermòs
“Raggruppamento Popolare Ortodosso”. Però, in greco, “LAOS”
significa anche “POPOLO”. Si noti ancora una volta la prassi
comune in Grecia di far corrispondere sigle e acronimi a comuni
parole evocative. (ndt)
iii
Traduco così, ma il termine significa “scannare, sgozzare”.
(ndt)
ivSobborgo
del Pireo (ndt)
v
Kasidiaris, “delfino” di Michaloliakos, è il deputato
albadorista noto anche per aver picchiato in diretta TV una deputata
di Syriza, l'attuale principale partito della sinistra greca. (ndt)
vi
Molòn labè, alla lettera:
“Essendo entrato, prènditele” in greco antico, è la famosa
frase che Leonida gridò ai persiani alle Termopili (fu riportata da
Plutarco). Fu gridata anche dagli studenti del Politecnico di Atene
in occasione della rivolta antifascista del novembre 1973 alle forze
armate che irruppero compiendo una strage. (ndt)
vii
Nel maggio 2011 il 44enne ateniese Manolis Kandaris era stato ucciso
da un afghano per rapina. (ndt)
viii
Si tratta del noto stabilimento di latticini e prodotti caseari che
produce lo yogurt greco venduto anche nei supermercati italiani.
FAGE significa: “Mangia!” (ndt)
giovedì 21 novembre 2013
Statysti
" Un dildo è un giocattolo sessuale, spesso a forma di pene, utilizzato in genere per la masturbazione, nei giochi erotici e nei preliminari. I dildo sono usati da individui di ogni sesso e orientamento sessuale, da soli, con un partner o in sesso di gruppo.
La parola dildo è probabilmente una storpiatura dell'italiano "diletto"; potrebbe anche derivare dall'inglese Dil Doul (pene eretto), un'espressione presente in una vecchia ballata americana del XVII secolo, intitolata The Maids Complaint for Want of a Dil Doul (Il lamento delle fanciulle per difetto di un pene eretto). " - Wikipedia.
lunedì 18 novembre 2013
La rivendicazione per l'eliminazione dei due nazisti di Alba Dorata da parte delle Forze Combattenti Popolari Rivoluzionarie. 1° Capitolo.
Questa
è la Rivendicazione per l'esecuzione dei due neonazisti di Alba
Dorata, avvenuta a Atene il 1° novembre 2013, così come pubblicata
su questa pagina (ignoro anche se su altre). Non sono a conoscenza se sia
stata già tradotta, parzialmente e/o integralmente, in italiano o in
altre lingue, ma ho deciso di non interessarmene e di procedere da
solo alla traduzione integrale, conoscendo a sufficienza il greco da
poterlo fare. La seguente traduzione è di uso totalmente libero,
vale a dire può essere riprodotta in tutto o in parte senza
chiedermene il consenso e anche senza indicare la fonte. E' stata
condotta assolutamente alla lettera, ma contiene qua e là (in nota) alcune
spiegazioni relative a termini ed espressioni particolari e/o a
personaggi o sigle nominate nel testo. Il documento originale consta
di diciotto pagine e verrà riprodotto secondo le sue varie parti,
via via che la traduzione procederà. Questa è la prima parte
(Rivendicazione materiale, esposizione dei fatti); corrisponde alle
prime tre pagine del testo originale. Al termine della traduzione
(che non è semplice), su richiesta via mail (k.riccardo@gmail.com)
fornirò a chiunque lo richieda il documento .PDF intero; uguale
richiesta potrà comunque essermi fatta anche per le singole parti.
[Riccardo Venturi]
RIVENDICAZIONE*i
DELL'ESECUZIONE DEI NEONAZISTI
“Non
combattiamo il fascismo assieme al governo, ma a dispetto del
governo. Sappiamo che nessun governo intende realmente eliminare il
fascismo, perché l'ordine borghese è costretto a ricorrere ad esso
ogni volta che vede il potere scivolargli dalle mani.”
Buenaventura
Durruti
Anarchico
spagnolo, membro della confederazione anarcosindacalista del lavoro
(CNT), fece parte dell'organizzazione armata Los Solidarios (I
Solidali) e della Federazione Anarchica Iberica (FAI), che organizzò
la tentata esecuzione del Re di Spagna. Partecipò all'insurrezione
armata del 1933; fondatore dell'omonima colonna che, dopo che fu
represso a Barcellona il tentativo di colpo di stato da parte di
Franco, liberò la Catalogna e la maggior parte dell'Aragona
stabilendo il comunismo anarchico. Fu ucciso nel novembre del 1936 a
Madrid durante l'assedio della città da parte dei fascisti di
Franco.
Le Forze Combattenti Popolari Rivoluzionarie [Mahómenes
Laïkés Epanastatikés Dynámeis] si assumono la responsabilità per
le esecuzioni di carattere politico dei fascisti membri del partito
neonazista Alba Dorata, i quali erano impegnati nella protezione
degli uffici del settore nord di Atene, a Neo Iraklio. L'attacco è
avvenuto come rappresaglia per l'assassinio di Pavlos Fyssas a
Keratsini da parte dell'albadorista Roupakiàs e di altre canaglie
che fanno parte del partito neonazista. L'attacco è ugualmente
dedicato al disprezzato proletariato africano e asiatico, ad ogni
immigrato oltraggiato che è continuo oggetto di razzismo allo scopo
di fornire manodopera a buon mercato. L'assassinio di Fyssas
costituisce un segnale di svolta, dato che ha rappresentato l'acme
della campagna omicida di Alba Dorata la quale, negli ultimi due anni
e particolarmente dopo il suo ingresso in parlamento, si è dedicata
sistematicamente a omicidi e pestaggi di immigrati lavoratori, a
aggressioni e pestaggi di simpatizzanti e attivisti di sinistraii
e anticapitalisti, tutto questo con la totale copertura da parte
della polizia “democratica”.
L'attacco-risposta armata agli uffici di Neo Iraklio è
il punto di partenza della campagna popolare affinché la spazzatura
neonazista di Alba Dorata sia rispedita dove le compete, vale a dire
nella pattumiera della storia. I discendenti di Efialteiii,
di Pelios Gousisiv
e di Nenekosv,
i discendenti dei fantocci dei tedeschi durante l'Occupazione, dei
“Chites”vi,
dei membri del “Battaglione di Sicurezza” e dei collaborazionisti
saranno annientati e rinfilati in nuove Pigades, come a Meligalàsvii dove nessuna polizia “democratica” potrà
proteggerli. I combattenti delle Forze Combattenti Popolari
Rivoluzionarie hanno messo in atto l'attacco dovuto al fatto che gli
uffici di Alba Dorata a Neo Iraklio si trovano a due passi dal
commissariato di polizia della zona, dato che i vigliacchi
albadoristi cercano di trovare protezione presso i cani armati dello
Stato, cioè la polizia, la quale collabora con loro. Del resto,
anche la loro sede centrale a Mesogia si trova di fronte alla scuola
di polizia nel parco Chorofylakìs.
La scelta di colpire i “beni di consumo” dei
parlamentari, e non questi ultimi, costituisce il seguente e
definitivo messaggio: Durante l'apparente “neutralizzazione” di
Alba Dorata ci sono state, sia pure in parte, “rivelazioni” sulla
vera natura degli albadoristi. Ora tutti sanno che è terminata
l'epoca della loro impunità. Ora chi si avvicina a loro, è loro
complice. Se si sceglie di essere loro compagno di strada, o di
trovarsi o nei loro pressi o nelle loro sedi. può comportare le
conseguenze che merita. Se chiunque, d'ora in poi, commetterà
violenze nei confronti di immigrati, simpatizzanti o militanti di
sinistra o anarchici, oppure qualsiasi tipo di azione di carattere
razzista o discriminatoria, la responsabilità sarà subita
esclusivamente da Alba Dorata anche se questa si trasferisse
direttamente dentro i commissariati di polizia. Chi si accosta ad
essi, d'altronde, non ha certo come alibi delle relazioni di tipo
clientelare: si tratta di nazisti, hanno fatto il giuramento del
“chitis”viii,
inneggiano alla Giunta dei Colonnelli e li affronteremo come nemici
del popolo. Gli elettori “raggirati”, questa massa di pezzenti
dalla coscienza borghese, non hanno più nessun alibi; lo stesso le
cerchie imprenditoriali che sostengono le loro “buone azioni”.
Tutti costoro hanno le loro impronte digitali sui loro pugnali
assassini. Lo stesso destino sarà condiviso in un modo o nell'altro
anche dalla Polizia greca, non soltanto perché il 50% degli agenti
votano per Alba Dorata, ma anche perché lavorano allo scoperto e
continuativamente assieme a Alba Dorata in quanto fascisti come loro
– difensori e mastini del capitale. Le pallottole da 9 mm sono
state ordinate dal loro deputato Michos, quando ha dichiarato che “ci
fermeranno solo sparandoci”.
L'assassinio a viso aperto di Pavlos Fyssas è la goccia
che ha fatto traboccare il vaso. In questa congiuntura economica,
suona come inizio della guerra civile di classe. La guerra civile
atipica e invisibile che era in atto a bassa intensità è venuta
allo scoperto e nel modo più palese. Responsabile di ciò è Alba
Dorata e, in particolare, le squadracce d'assalto di Nicea. Lo shock
provocato dalla decisione politica di Alba Dorata di assassinare per
mano di Roupakiàs ha comportato il dovere di eliminarla.
Chiunque sia dotato di un pensiero, seguendo il processo
della loro “neutralizzazione” e della loro riformazione in
futuro, potrà accorgersi che niente è finito e che, anzi, tutto
comincia.ix
L'andamento dei fatti sarebbe stato molto differente se
l'assassino, Roupakiàs, non fosse stato catturato. Se, come è
successo in tanti altri casi di uccisioni o pestaggi di immigrati,
gli autori fossero rimasti sconosciuti. Invece, si direbbe per
sfortuna, l'assassino Roupakiàs è stato arrestato; il quale non ha
esitato neanche un po' a rivelare subito alla polizia la sua identità
politica e di essere membro di Alba Dorata, sperando apertamente non
solo nella sua protezione, ma anche di quella del governo, come del
resto è accaduto in tanti altri casi di pestaggi, accoltellamenti,
uccisioni di immigrati e aggressioni. La copertura degli assassini da
parte della polizia è stata dichiarata certa dalla compagna di
Fyssas, che era presente al suo assassinio a freddo e che ha cercato
aiuto dagli sbirri che si trovavano là. La loro aperta indifferenza
alla ragazza di Fyssas che li stava avvertendo che “lo avrebbero
ammazzato” e il loro gelido infischiarsene dopo che era già stato
ammazzato dimostrano la loro mirabile collaborazione coi fascisti. La
poliziotta che ha effettuato l'arresto dicendo “no, anche i
coltelli, cazzo ragazzi!”, si trovava piuttosto al di fuori della
scena del crimine e la sola cosa che sapeva era che si trattava di un
pestaggio, con il quale era d'accordo come era avvenuto innumerevoli
altre volte per aggressioni fasciste. Ci sarebbe da chiedersi che
fine abbia fatto l'indagine sul perché la Squadra Motociclistica
della Poliziax
si sia fermata. Perché Dendiasxi
ha smentito le deposizioni dei testimoni oculari in base alle quali
soltanto una poliziotta ha effettuato l'arresto e che gli altri non
hanno fatto assolutamente nulla, e poi ha dichiarato che “solo i
poliziotti che erano là hanno effettuato l'arresto”? Dendias sa
che c'era un accordo tra i poliziotti e i fascisti per l'attacco teso
a uccidere, e tuttavia li ha coperti affinché i poliziotti non
fossero incolpati dell'assassinio -e, per estensione, anche lui
stesso.
Il colpo inferto dal governo alla “formazione”
fascista è consistito nel calmare l'imbarazzata rabbia della UE,
nella mercificazione e assimilazione del movimento antifascista e
nelle accuse di perversione sessuale rivolte al defunto Pavlos
Fyssas. E pure nel tentativo di carpire il necessario sostegno
popolare. I dirigenti politici, dunque, si sono dati alla demagogia
comunitaria, alla trasformazione dei fatti in un'occasione
meravigliosa per raccattare i voti del “popolo di destra” come
risultato della lotta di potere interna sul terreno della
controrivoluzione. Per esibire l'annuncio di guerra con la teoria dei
due estremismi, con il decisionismo e con la volontà del mondo
politico borghese di condurre una guerra spietata contro il
proletariato non sottomesso. Guerra che assicurerà la pace sociale e
la necessaria normalità politica per poter investire nello sviluppo.
La storia insegna chiaramente che il fascismo non si
spezza in parlamento con le leggi, e che il fascismo si elimina
soltanto combattendo per le strade. Che la democrazia borghese non ha
mai combattuto il fascismo e che ha voluto sempre controllarlo. Che
il fascismo è semplicemente la forma bruta del capitalismo. Che i
fascisti, nonostante tutte le loro ambizioni, non sono mai stati così
indipendenti come avrebbero voluto.
I fascisti di Alba Dorata sono stati da sempre compagni
di strada e alleati di Nuova Democrazia. Hanno radici politiche
comuni, hanno partecipato assieme alle lotte interne al potere e
hanno simboli comuni. I fascisti sono stati da sempre dei bugiardi di
professione e i più grandi camaleonti politici. Per quante camicie
abbiano cambiato, non devono apparire più belli agli occhi di
nessuno. In ogni quartiere, in ogni luogo, gli antifascisti, senza
incaricare mai lo Stato o cedergli terreno, senza limitarsi soltanto
alla controinformazione o a denunce con l'errore di esercitare
pressioni politiche, devono, con le proprie energie e con forze
esigue, autonome ed agili, schiacciare i fascisti nel senso letterale
del termine. Procedere combattivamente, trovare metodi, misure e
tattiche con mezzi “casalinghi”, con ciò che è indispensabile,
con ciò che è necessario e con ciò che è richiesto. In Grecia,
senza che vada perduta la lotta antistatale, il movimento sovversivo
deve procedere alla distruzione materiale delle infrastrutture di
Alba Dorata e agire in modo coordinato contro chi ne fa fisicamente
parte. Contro i gerarchi, i capi, i quadri, i membri, la manovalanza
e i motociclisti. Le teste vanno loro aperte col martello, le mani
vanno loro tagliate con la falce. A mo' d'esempio.
Note al Primo Capitolo
iAlla
lettera: “Assunzione di responsabilità” (ndt)
iiNel
testo originale, soltanto “di persone di sinistra”, o meglio, di
“sinistri” (αριστερών). Qui
è stato compiuto un logico adattamento. (ndt)
iiiQui
il riferimento è a Efialte di Trachis, un soldato greco che nel 480
a.C. tradì gli Spartani di Leonida I. (ndt)
ivPelios
Gousis, o Peliogousis, era un suliota che, durante la guerra di
indipendenza greca del 1821, tradì la propria regione (il Soulios),
consegnandola agli ottomani. (ndt)
vDimitrios
Nenekos, ai tempi della guerra di indipendenza greca del 1821, era
comandante militare della provincia di Patrasso. Dopo aver
combattuto lealmente, nel 1825 passò improvvisamente dalla parte
dei turchi di Ibrahim Pascià. E' considerato tra i principali
traditori della Grecia. (ndt)
viVale
a dire i membri dell' “Organizzazione X” [“X” sta per la
lettera greca “chi”, da cui “Chites”, ovvero qualcosa come
“Chi-isti”], milizia paramilitare di estrema destra durante
l'Occupazione nazifascista della Grecia. (ndt)
viiA
Meligalàs, in Messenia, si svolse nel 1944 una battaglia tra le
forze della Resistenza comunista dell'EAM-ELAS di Aris Velouchiotis
e il “Battaglione di Sicurezza” collaborazionista. Prevalsero le
forze antifasciste, che massacrarono tutti i fascisti
collaborazionisti. A Pigada, nei pressi di Meligalàs, si trova il
cimitero dei membri del “Battaglione di Sicurezza”, che dopo la
sconfitta della Resistenza comunista nella guerra civile greca
(1946-1949) furono pubblicamente onorati ogni anno fino al 1974, con
la fine della dittatura dei Colonnelli. (ndt)
viii
Si veda la nota vi. “Chitis” è il singolare di “Chites”
(ndt)
ixConcetto
espresso da Raoul Vaneigem nella celebre canzone La vie s'écoule,
la vie s'enfuit: “Rien n'est fini mais tout commence et va mûrir
dans la violence.” (ndt)
xNel
testo originale: Ομάδα Δίας, laddove
“Δίας” è
acronimo di Δίκυκλης Αστυνομεύσης
(ovvero “Squadra di Pubblica Sicurezza
Motociclistica”); in pratica, però, significa anche “Squadra di
Zeus”. (ndt)
xiMinistro
dell'interno greco del “governo di larghe intese” di Samaràs.
Ufficiale e gentiluomo
La foto sopra fu scattata a Roma il 6 luglio 1960, durante le manifestazioni di piazza di quando l'Italia intera insorgeva per un governo democristiano sostenuto dai fascisti del MSI. E dovette sloggiare alla svelta, il merdoso di Tambroni! Erano i giorni dei "ragazzi con le magliette a strisce" e dei morti di Reggio Emilia (e non solo), di Genova che si ribellava. Poco dopo, a Roma, sarebbero cominciate le Olimpiadi che sancivano il "miracolo economico" italiano. A Roma, durante una manifestazione, fu ordinata una violenta carica a cavallo dei Carabinieri contro la folla che manifestava; la ordinò e guidò Raimondo D'Inzeo, che poi alle stesse Olimpiadi avrebbe vinto la medaglia d'oro nel concorso di equitazione. Poiché D'Inzeo è morto due giorni fa a ottantotto anni, con gli onori militari e accompagnato da ogni sorta di "cordoglio", vorrei ricordare quell'episodio. Sui giornali lo si definisce, con squisita originalità, "ufficiale e gentiluomo"; è bene vedere il modo in cui i Carabinieri sono "gentiluomini". Ovvero, sempre al servizio di uno stato fascista, esecutori di ordini contro gli operai e i lavoratori. Augurando al "gentiluomo" di cavalcare all'inferno, riporto qui (riprendendola da Globalist) la testimonianza di Aldo Natoli, allora deputato comunista, che partecipava alla manifestazione e che rimase ferito nella carica guidata dai gran cavalieri D'Inzeo: non solo Raimondo, ma anche il fratello Piero. Quello che in una foto di ieri si vede fare il saluto militare alla bara del fratello. Caricaaaaaaa.....!
"In schiera ordinata, avevamo fatto pochi passi e ci trovavamo proprio
in mezzo al guado, non vi era stato ancora alcun contatto con i cordoni
polizieschi, quando avvenne la sorpresa; dalla sinistra, dove era stato
ben coperto dietro l'angolo di case e muraglie, irruppe dritto su di noi
uno squadrone di carabinieri a cavallo, al galoppo, mulinando in aria
non sciabole bensì frustini.
Ignoro se sia stato lo stesso mediocre avvocato di provincia (Tambroni, presidente del Consiglio n.d.r.) che allora sedeva come capo supremo al Viminale, a escogitare questo espediente tattico nuovo per gli scontri di strada a Roma. Io mi ero trovato in una circostanza simile parecchi anni prima, nella campagna di Monterotondo, quando appoggiavo i contadini che occupavano le terre di una grande tenuta, e anche allora ero in compagnia di Lizzadri. In campagna è più facile salvarsi da simili attacchi, alberi, solchi profondi, canali, offrono ripari naturali.
A Porta S. Paolo eravamo totalmente allo scoperto e non ho dimenticato lo scroscio di nacchere degli zoccoli dei cavalli rimbalzanti sull'acciottolato di sampietrini.
Ci sbandammo e gli eroici cavalieri guidati dai D'Inzeo finirono in mezzo alla folla che li accolse con un lancio di proiettili provenienti dal vicino mercato. Ma dietro i cavalieri si erano mossi i reparti motorizzati della Celere, che rastrellavano gli sbandati.".
Così ricorda Aldo Natoli, deputato comunista, quello che avvenne a Roma, a Porta San Paolo, quel 6 luglio del 1960.
I D'Inzeo sono i due fratelli cavallerizzi, Piero e il più famoso Raimondo, entrambi ufficiali di cavalleria. L'immagine di Raimondo D'Inzeo che comanda la carica dei carabinieri a cavallo, con un lungo nerbo in mano al posto della sciabola, contro i manifestanti pacifici, mi è ritornata alla mente oggi che è morto e tutti hanno ricordato le sue grandi imprese sportive, senza fare nessun accenno a quell'episodio.
La manifestazione di Roma fu decisa dai partiti antifascisti per protestare contro il governo Tambroni che aveva permesso lo svolgimento a Genova, città Medaglia d'Oro della Resistenza, il congresso del partito neofascista. A Genova c'erano stati proteste e scontri, anche sanguinosi, con la polizia. Sandro Pertini in quella occasione dichiarò: « La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente".
A Porta San Paolo c'ero anche io. Come scrisse l'Espresso, "Per molte ore, in quelle zone, chiunque non aveva la cravatta veniva fermato interrogato, spesso bastonato". Io non avevo la cravatta ma indossavo la maglietta a strisce verticali, come andava di moda in quegli anni fra noi ragazzi. Fui arrestato e portato in Questura. Ci misero in uno stanzone. Eravamo un centinaio e cantammo per tutto il tempo Fischia il vento e Bella ciao. Ogni tanto entrava un brigadiere che si metteva a urlare smettetela, fatela finita, e poi ci incitava a continuare.
L'anno dopo un gruppo di ragazzi, reduci di Porta San Paolo, si tolsero la maglietta a strisce e, in giacca e cravatta, si recarono a Piazza di Siena dove c'era il concorso ippico. Quando apparve D'Inzeo lo presero a sassate. Io non ci andai perché non ero stato avvertito, altrimenti un sasso glielo avrei tirato volentieri. "
Ignoro se sia stato lo stesso mediocre avvocato di provincia (Tambroni, presidente del Consiglio n.d.r.) che allora sedeva come capo supremo al Viminale, a escogitare questo espediente tattico nuovo per gli scontri di strada a Roma. Io mi ero trovato in una circostanza simile parecchi anni prima, nella campagna di Monterotondo, quando appoggiavo i contadini che occupavano le terre di una grande tenuta, e anche allora ero in compagnia di Lizzadri. In campagna è più facile salvarsi da simili attacchi, alberi, solchi profondi, canali, offrono ripari naturali.
A Porta S. Paolo eravamo totalmente allo scoperto e non ho dimenticato lo scroscio di nacchere degli zoccoli dei cavalli rimbalzanti sull'acciottolato di sampietrini.
Ci sbandammo e gli eroici cavalieri guidati dai D'Inzeo finirono in mezzo alla folla che li accolse con un lancio di proiettili provenienti dal vicino mercato. Ma dietro i cavalieri si erano mossi i reparti motorizzati della Celere, che rastrellavano gli sbandati.".
Così ricorda Aldo Natoli, deputato comunista, quello che avvenne a Roma, a Porta San Paolo, quel 6 luglio del 1960.
I D'Inzeo sono i due fratelli cavallerizzi, Piero e il più famoso Raimondo, entrambi ufficiali di cavalleria. L'immagine di Raimondo D'Inzeo che comanda la carica dei carabinieri a cavallo, con un lungo nerbo in mano al posto della sciabola, contro i manifestanti pacifici, mi è ritornata alla mente oggi che è morto e tutti hanno ricordato le sue grandi imprese sportive, senza fare nessun accenno a quell'episodio.
La manifestazione di Roma fu decisa dai partiti antifascisti per protestare contro il governo Tambroni che aveva permesso lo svolgimento a Genova, città Medaglia d'Oro della Resistenza, il congresso del partito neofascista. A Genova c'erano stati proteste e scontri, anche sanguinosi, con la polizia. Sandro Pertini in quella occasione dichiarò: « La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente".
A Porta San Paolo c'ero anche io. Come scrisse l'Espresso, "Per molte ore, in quelle zone, chiunque non aveva la cravatta veniva fermato interrogato, spesso bastonato". Io non avevo la cravatta ma indossavo la maglietta a strisce verticali, come andava di moda in quegli anni fra noi ragazzi. Fui arrestato e portato in Questura. Ci misero in uno stanzone. Eravamo un centinaio e cantammo per tutto il tempo Fischia il vento e Bella ciao. Ogni tanto entrava un brigadiere che si metteva a urlare smettetela, fatela finita, e poi ci incitava a continuare.
L'anno dopo un gruppo di ragazzi, reduci di Porta San Paolo, si tolsero la maglietta a strisce e, in giacca e cravatta, si recarono a Piazza di Siena dove c'era il concorso ippico. Quando apparve D'Inzeo lo presero a sassate. Io non ci andai perché non ero stato avvertito, altrimenti un sasso glielo avrei tirato volentieri. "
mercoledì 13 novembre 2013
Lotto 14
La mia casa è stretta e
lunga; quando mi compare in sogno è ancora più stretta e ancora più
lunga. La disposizione della mobilia e dei libri è più o meno la
stessa, ma vi sono delle stranezze che si ripetono sempre; è, ad
esempio, leggermente inclinata verso il bagno. Come fosse in discesa
dall'entrata. Ha sempre una luce soffusa e arancione che penetra
dalle finestre, ed è molto più ombrosa di quello che è in realtà;
infine, è infinitamente più sporca e disordinata. Quando mi è
comparsa in sogno stamani, dopo una nottata arruffata, ero impegnato
a grattare dal pavimento, con una specie di grossa spatola, uno
strato quasi fangoso di sporcizia che si era accumulata; quella che
all'Elba si chiama gromma.
C'erano, fuori, dei rumori bizzarri; in casa avevo due gatti che
gironzolavano, uno grande e uno piccolo. Non mi ricordo di che colore
fossero.
Un
busso violento alla porta. Apro chiedendomi chi cazzo sia a
quell'ora; entra una comitiva di persone, alcune vestite da operai di
cantiere, un paio in giacca e cravatta con delle cartelle. Entrano di
malagrazia senza nemmeno dare il buongiorno; l'incravattato più
corpulento si siede al tavolo e tira fuori un pacco di documenti,
l'altro incravattato (magrissimo, più anziano, con la barba e i
capelli folti e grigi; mi dà un'impressione di bellezza) resta in
piedi così come gli operai che cominciano a inchiodare delle travi
di legno. L'incravattato seduto si qualifica come dirigente comunale
e mi comunica l'avvenuto esproprio della mia casa con immediato
provvedimento di demolizione. Rimango interdetto, provo a chiedere
qualcosa, ma l'incravattato in piedi, quello magro con la barba, mi
dice: “Stai zitto, mentecatto”. Provo a dire qualcosa e mi viene
fuori una specie di breve ma stranamente urbano comizio, del tipo “Ma
come si permette lei di parlarmi così in casa mia...? Ma non si
vergogna di offendere uno sconosciuto che non le ha fatto nulla...?”
Quello ride mentre il dirigente comunale dice agli operai di
sbrigarsi e a me di prendere le mie cose e di sloggiare. Si sentono
rumori più forti, la luce si fa ancora più arancione e si
percepisce, fuori, una marea di polvere.
Il
sogno si fa angosciante, un incubo in cui sono dentro fino al collo.
Mi sento disperato, prossimo a morire. Nei sogni, però, c'è sempre
l'oggetto giusto al momento giusto; metto la mano in una specie di
scaffale in legno grezzo che nel frattempo si è materializzato, e ne
tiro fuori una pistola carica. Sparo prima al dirigente seduto, che
sta scrivendo, centrandolo nella nuca; schizzi di cervello e sangue.
Poi al magro con la barba, due colpi nel torace; aveva cercato di
reagire, muore dicendo qualcosa che non capisco. Poi ammazzo gli
operai, uno ad uno; muoiono tranquillamente, quasi fosse inevitabile.
I gatti dormono sul letto. Silenzio totale. La casa è piena di
cadaveri e c'è un puzzo tremendo; mi metto uno straccio bagnato
attorno alla faccia, tengo la pistola in mano e esco a vedere che
succede fuori.
Non
c'è più nulla di quel che c'era prima. Il cortile, i giardini, i
palazzi, gli alberi, le strade; tutto cancellato. Al loro posto, un
immenso cantiere: scavatrici, gru, reticolati arancioni, buche
enormi, macchinari e una polvere impenetrabile nell'aria che si è
fatta ancor più arancione. Fa un caldo disumano. Davanti all'entrata
di casa mia è stato scavato uno scivolo in cemento armato, chiuso da
un muro altissimo; dal muro parte un tubo di metallo che va a
terminare sopra la porta, quasi a puntellare quel che resta dello
stabile. Tutto è stato demolito tranne casa mia; ero l'ultimo da
cacciare via. Non c'è nessuno in giro. Di fianco allo scivolo chiuso
è stato lasciato un passaggio strettissimo, pieno di erbacce
spinose; l'aria è irrespirabile. Uscito fuori mi trovo di fronte
alla devastazione dell'Isolotto; tutto ricorda neppur tanto vagamente
Ground Zero. Cerco di saperne qualcosa. Uscendo verso quello che era
il parcheggio leggo un grosso cartello: “RIQUALIFICAZIONE
DELL'ISOLOTTO – LOTTO 14”. Sono sconvolto e mi guardo attorno,
per quel che riesco a vedere nella polvere sempre più fitta; credo
di vedere un'ombra che mi fa cenno di andare da una parte. Ci vado.
C'è un'enorme ruspa col motore acceso.
Salgo
sulla ruspa e aziono leve a caso; non la so guidare ma nel sogno
imparo in dieci secondi. La prima cosa che faccio e tirare giù il
muro che chiude lo scivolo di fronte a casa mia; dalla porta i due
gatti annuiscono soddisfatti e faccio loro un saluto togliendomi un
cappello piumato capitatomi in testa da chissà dove. Si cominciano a
sentire grida all'intorno, prima lontane, poi sempre più vicine; una
marea di gente. Comincio a riconoscere i vicini di casa; il
pensionato del box di fronte, la signora dell'appartamento accanto,
la parrucchiera, le maestre dell'asilo nido. Vedono la ruspa e si
impauriscono; poi mi riconoscono. All'Isolotto scoppia,
all'improvviso, la rivolta. Senza dichiarazioni e senza guide. Senza
clamori e senza nessuna pietà. Una tranquilla violenza si accinge a
far pagare caro, e far pagare tutto. Senza sconti.
Vengono
abbattutti i cartelli della Riqualificazione. Con la ruspa strappo
via i reticolati da cantiere di plastica arancione; mentre lo faccio,
la polvere si dirada improvvisamente e compare, nitida, la
devastazione operata. Con gli attrezzi recuperati nel cantiere la
folla comincia a ammazzare funzionari, capimastri, architetti,
ingegneri, operai. Un vecchio prende a badilate un lavoratore urlando
orrori contro la sua famiglia di merda e contro il suo lavoro,
dandogli di rottinculo ubbidiente come una pulce ammaestrata; lo
massacra. Al centro del cantiere qualcuno nota l'avvio di una grossa
galleria; in lontananza, verso il fiume, si vedono chiaramente delle
forche già drizzate. La scena è allucinante; per non impazzire
comincio a dire dall'altoparlante della ruspa (naturalmente, nel
sogno, lo ha): “Bisogna spazzare via tutto questo orrore. Bisogna
distruggerlo. Poi si rifà tutto com'era. Anzi no: come lo vogliamo noi.” Dico chiaramente, poi, una frase in portoghese: Falemos dum passado que não tivéssemos tido. La scena cambia in due
secondi. L'Isolotto torna com'era prima; fuori di casa mia c'è il
cortile, ci sono i giardini, il parcheggio, gli alberi, l'asilo nido.
E' una tranquilla giornata qualsiasi, casa mia è sempre stretta e
lunga, dalla luce arancione soffusa e sporchissima. Sto di nuovo
tentando di raschiare la sporcizia dal pavimento, mentre non so come
mi sbarazzo dei cadaveri semplicemente buttandoli nella spazzatura.
Ad un
semplice miagolio di uno dei gatti, però, mi ricordo di una cosa. In
un secondo sono trasportato nell'antica piazza del Comune, dove
staziona una Ferrari rossa fiammante. Esco fuori tirando per la
giacca il giovane sindaco, coprendolo di insulti e prendendolo a
calci nel culo; poi lo impicco a un cappio lanciatomi da un balcone,
e lo lascio a penzolare. Torno a casa...e mi sveglio. Mi ci vogliono
letteralmente minuti per convincermi che si trattava di un sogno;
poche volte mi era capitato di esserci dentro in un modo simile, non
un sogno ma una seconda vita. Come la casa fosse quella dall'altra
parte della barriera del reale, a meno che -naturalmente- il reale
non sia quell'altro, e che non sia io, in questo momento, dall'altra
parte.
Mi
guardo attorno; sono le nove del mattino. Mi prende una specie di
frenesia; faccio i piatti della sera prima in tre minuti, come una
macchina da guerra. Riattacco il manifesto antifascista bretone che
penzolava scollato, a una parete, da giorni. Rimetto in ordine il
mobiletto rosso che non vedeva interventi da due anni. Spalanco la
porta col timore, non ancora fugato, di vedere la devastazione; che,
comunque, c'è. Tendo gli orecchi putacaso si captasse qualche
lontano grido; tendo gli occhi putacaso si scorgesse qualche lontano
capestro che vi aspetta, sì che vi aspetta.
martedì 5 novembre 2013
'U Sìnnacu e 'u Ministru
L'uomo che si vede al centro della foto, con un teleoperatore a sinistra e, a destra, il militare impettito con tanto di sciabola (ma icché vorrà sciabolare, qui' bischero?!?) e medaglie e il vigile urbano in alta uniforme, si chiama Renato Accorinti ed è il sindaco di Messina.
Renato Accorinti è stato eletto ed è in carica dal 25 giugno 2013, alla guida di una lista civica dal nome chilometrico: Renato Accorinti sindaco - Cambiare Messina dal basso. Le ultime elezioni municipali messinesi sono state quantomeno curiose: al primo turno, infatti, il candidato del Partito "Democratico", tale Felice Calabrò, non è passato per cinquatanove voti (ha ottenuto il 49,93% in totale). Al ballottaggio, i messinesi hanno ribaltato tutto e eletto Accorinti e il cambio dal basso, con il 52,67% dei voti.
E così i messinesi hanno eletto sindaco questo simpatico personaggio, ferreo nonviolento, attivista contro la costruzione del ponte sullo Stretto, obiettore di coscienza al servizio militare e oppositore alle installazioni NATO in Sicilia. Il 15 gennaio 1991 è stato imputato di istigazione a delinquere perché, in occasione della prima "guerra del Golfo" aveva invitato i militari italiani a disertare. E' anche un noto attivista antimafia.
Il pilone di Torre Faro (Messina) |
Il 25 giugno 2002, casualmente undici anni esatti prima di diventare
sindaco, ha effettuato una clamorosa protesta contro la costruzione del
ponte sullo Stretto: si è arrampicato con due striscioni sul pilone di
Torre Faro, che sovrasta Messina, a 220 metri di altezza, restandoci per un giorno e una notte. Sembra che si sia esibito anche assieme al rapper Caparezza. Insomma, mi fermo qui: non vorrei vedermi trasformato 'u Sìnnacu in un "nuovo santo" da qualche indefesso Cinguettatore a buon mercato.
Ieri, il sindaco Renato Accorinti -come molti sapranno- è salito sul palco dove si celebrava, a Messina, la "festa delle forze armate" del 4 novembre; una cosa dove, a quasi cent'anni di distanza, si "festeggiano" settecentomila morti. E ci è salito nel modo che si vede nella foto: con la "bandiera della pace" sulla quale sta scritto un articolo della "Costituzione".
Apriti cielo: in un giorno solo, un sindaco qualsiasi (sia pure di una grande e importante città) è riuscito a scatenare tutto l'apparato dello Stato italiano. Mentre sul palco pronunciava il suo discorso pacifista (o antimilitarista?) sventolando la "bandiera della pace", i carabinieri che erano presenti hanno girato il culo e se ne sono andati (forse potevano sventolare la bandiera della guerra, visto che fanno parte di un'arma fondata dai Savoia con il preciso compito di fucilare i disertori nella schiena). Riporta l'edizione siciliana della "Repubblica": "Accorinti ha preso la parola dopo la deposizione di una corona d’alloro
al monumento ai Caduti. Il sindaco ha ricordato che la Costituzione
recita che l’Italia ripudia la guerra e invece continuiamo a finanziare
la corsa agli armamenti. Oltre 20 miliardi in tre anni –ha detto
Accorinti – mentre sottraiamo risorse per le spese sociali, beni
culturali e sicurezza. Io stesso ogni giorno ho dietro la porta tanta
gente che vive sotto la soglia di povertà e non posso dare risposte per
mancanza di soldi. Questa amministrazione dice sì al disarmo e dichiara
no a tutte le guerre mentre la Sicilia rischia di diventare una
portaerei del Mediterraneo. Poi Accorinti ha estratto dalla tasca una
bandiera della pace e ha iniziato sbandierarla sotto gli occhi dei
presenti. "
Un non meglio precisato "ministro per la Pubblica Amministrazione", tale Gianpiero D'Alia, pure lui messinese, se l'è presa parecchio a male, dichiarando quanto segue: «Accorinti dovrebbe scusarsi pubblicamente con la cittadinanza messinese
per una provocazione demenziale e inopportuna, che offende le Forze
Armate e la memoria di quanti, anche nostri concittadini, sono morti per
la pace in Italia e nelle missioni internazionali». Dunque il sindaco di Messina sarebbe stato, per il suo concittadino ministro, addirittura "demenziale"; ma vediamo meglio chi è questo D'Alia ministro.
Figlio di un deputato della Democrazia Cristiana, Salvatore D'Alia, Gianpiero D'Alia è stato eletto alla camera per la prima volta nel 2001 grazie a una "lista civetta" chiamata Per l'abolizione dello scorporo (si dice "scòrporo" e non "scorpòro" come l'Orzoro, ndr). E' entrato poi nell'UDC di Pierferdinando Casini, diventando sottosegretario all'interno nel governo "Berlusconi III"; alle elezioni del 2008 viene eletto senatore e presidente del gruppo parlamentare UDC, SVP e Autonomie, del quale fanno parte anche Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Nel 2013, sempre con l'UDC, aderisce a Scelta Civica e diviene ministro nel "governo delle larghe intese".
Gianpiero D'Alia è noto soprattutto per il suo emendamento (il 50-bis, poi divenuto articolo 60) al disegno di legge n° 733, più noto come "Decreto Sihurezza" (mi spiace, ma oramai riesco a scrivere questa parola solo alla fiorentina). Con tale emendamento si sancisce la "Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet".
L'intervento del sindaco di Messina non ha, naturalmente, scatenato soltanto le ire del signor ministro; su tutte le "reti unificate" Raiset, ivi compresa "Rai News 24" da poco divenuta "Papanews 48" (visto che per 48 ore al giorno è impegnata a darci notizie su papa Francesco: finalmente il ritorno di un papa media-friendly dopo il funereo Ratzinger!), è stata una vera e propria gara di tiro al sindaco, nonché di estensione capillare di solidarietà alle forze armate. Sono queste le occasioni in cui anche un bimbominkia dei peggiori riuscirebbe a capire che cosa significa la parola regime.
Statisti a colloquio: Giorgio N. e Nicolae C. |
E' perfettamente ipotizzabile che anche l'intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio N., sia neppur tanto indirettamente riferito all'intervento del sindaco di Messina. Si tratta di un'autentica novità: un presidente della Repubblica che si getta a corpo morto, senza più nemmeno il minimo pudore, nella difesa a oltranza e nella giustificazione delle spese militari enormi sostenute da un paese che si dice in crisi. Difesa e giustificazione, oltretutto, espressa con toni offensivi e autenticamente autoritari, nonché delegittimanti di bassa lega. Ma non c'è da stupirsene.
Il tutto perché il sindaco di una città ha compiuto un atto sovversivo: ha esposto una bandiera riportandoci sopra un articolo della loro famosa "Costituzione". Quella che pure il Presidente "migliorista" ha in bocca un giorno sì e un giorno sì. L'idolo e il feticcio che serve per fare le "grandi manifestazioni in difesa" esaltate dal "Manifesto". Oggi si è visto per l'ennesima volta in che cosa consista tale "difesa": nel Ministero della Difesa, appunto. Chissà che prima o poi non ci ritroviamo anche un "Ministero per la Difesa della Costituzione"; magari lo daranno a D'Alia.
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