sabato 12 aprile 2014

De Democraticis



Vedere la sala colma di persone.
Vedere le storie e le non-storie tutte assieme. Dalle lotte armate ai primi aneliti e alla protocoscienza delle adolescenze. Dai percorsi tortuosi e sotterranei alle militanze quotidiane.
Vedere il viso scavato, sentire la voce rotta e sommessa di Enrico Triaca.
Vedere il viso bello, di ragazzo, di Paolo Persichetti. Sentire il suo accento romanesco gentile.
Apprendere che no, non se lo aspettavano. Non si aspettavano le torture, i prigionieri.
Pensare a Cesare di Lenardo.
Vedere le foto appese nella sala. Ho visto, nella mia vita, esseri umani vivi e resti di esseri umani morti conciati nei modi più terrificanti; ma erano per incidenti stradali o altre disgrazie.
In quelle foto c'erano esseri umani torturati da una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Certamente. Era un lavoro, quello. Così lo chiamano: lavoro, lavoretto. Squadra, squadretta.
Sapere che lo stato democratico in questione ricorreva, col pieno assenso delle istituzioni politiche e giuridiche, a strutture non soltanto illegali, e non soltanto coscienti della loro illegalità; a strutture che rivendicavano, di fronte al prigioniero da torturare, l'illegalità. Sei nelle nostre mani, come in Argentina. Lo "stato democratico" e la dittatura militare conclamata esattamente sullo stesso piano.
Bolzaneto.
Cercava, una generazione, di tornare in piazza. A questa generazione ci ha pensato la tortura. La tortura preventiva.
Poi, quella fulgida figura di servitore dello stato. Nicola Ciocia, il professor De Tormentis.
E' una perfetta espressione latina: Professor de Tormentis, si badi bene, può essere tradotto come "Professionista a proposito delle torture". Vale a dire ciò che esattamente si vantava di essere. Un professionista dell'acqua e sale, del waterboarding
Un servitore, appunto, dello stato democratico.
Non il solo, naturalmente.
Se ne sta a godersi una tranquilla vecchiaia, senza più oramai nemmeno nascondersi.
Scherzava pure con Enrico Triaca, parlando delle comuni origini pugliesi. Poi le bende e la stanzetta. La stanzetta nel villino, o chissà dove. Lo stato ha sempre buona disponibilità di villini.
Chiaramente sto scrivendo in ordine disperatamente sparso.
Prima di ascoltare quelle cose, credevo di avere una conoscenza della cosa. Una conoscenza fatta di informazioni, di letture. Come quelle, ad esempio, raccolte e proposte proprio da Paolo Persichetti su Insorgenze.
Ascoltandole dalle voci, con quelle fotografie appese in sala, mi sono invece accorto di non saperne, e di non poterne sapere, niente.
Avere di fronte una persona che è stata torturata dallo stato. Dalle istituzioni democratiche.
Avere dentro una tensione totalmente indefinibile, o forse composita. Derivata in parte dal percepire costantemente l'impossibilità totale di comprendere appieno questa cosa; e, in parte, dagli intrecci di rabbie che tutto ciò suscita.
Cercare, allora, di interpretare non soltanto le parole, ma anche e soprattutto i silenzi, le pause di chi parlava. 
Quei silenzi e quelle pause dovevano essere popolate di immagini. Di cose viste. Di cose sofferte.
Certo, forse si tratta soltanto di una mia costruzione. Di mie impressioni. Tuttavia non penso di essere agli antipodi della verità.
Se per caso un giorno o l'altro mi leggesse, dico a Paolo Persichetti che mi ricorderò di quel breve abbraccio su una piccola rampa di scale.
E mi ricorderò della voce bassa di Enrico Triaca.
Ricordi che hanno cominciato ad essere formativi un decimo di secondo dopo essere trascorsi.
E il Professor de Democraticis, a quest'ora, starà di sicuro a dormire in una qualche abitazione. Magari, chissà, in un villino.
Con la coscienza, tranquilla, di avere servito lo stato.
1982. Avevo diciannove anni. E lo so io perché lo dico.