martedì 29 aprile 2014

Nudo e morto


La fotografia sopra ti mostra, caro lettore di questo blog, nudo e morto. Con alcune misteriose chiazze sul corpo. Dico “lettore” perché dalla foto si evince piuttosto chiaramente che eri di sesso maschile; nulla, però, impedirebbe che tu fossi stata una donna. Eri un essere umano, e un giorno, una sera, una notte qualsiasi li hai incontrati. Avevi, magari, una serata un po' così; ti giravano i coglioni (e di motivi per farseli girare, ce ne sono non pochi sotto questi chiardiluna), ci avevi il magone, oppure ci avevi paura, chissà; ci avevi tutta la tua vita che, in quel preciso momento, aveva deciso di esplodere in qualche modo, in mezzo a una strada. E allora hanno chiamato mezzo mondo, perché scoppiare, in questo mondo di scoppiati, è severamente proibito; ci vogliono le lucine blé che lampeggiano. Quando arrivano, tutti si sentono più al sicuro; e tu, caro lettore, vieni finalmente messo fuori causa per il bene comune ed il pubblico decoro. Stavi arrecando disturbo.

Io non ti conoscevo, caro lettore. In realtà non so minimamente chi eri, sebbene mi abbiano detto che eri nato e abitavi nella mia stessa città. E, poi, non so nemmeno se davvero leggevi questo blog; ma non ha una grande importanza. Il problema è che potresti essere chiunque, e credo che tu te ne renda terribilmente conto anche da nudo e da morto; eri una persona qualsiasi con la tua vita, come tutti coloro che, ad esempio, leggono questo blog. Oppure ne leggono altri. Oppure non ne leggono assolutamente nessuno. Come dirti: può toccare veramente a tutti. Tocca al geometra romano magrissimo e al diciottenne ferrarese; che cosa avranno fatto di così tremendo per meritare di morire? E tutti quegli altri, quali terribili misfatti avranno compiuto per essere spediti tra i più a forza di calci, di botte, di compressioni, di torsioni? Per questo, caro lettore, ti dico che in quella foto ci sei tu; e ci sono anche io. Quando vedo una foto del genere, ultimamente ho preso a immedesimarmi e a dirmi: ehi, Riccardo, guarda un po' come ti hanno conciato. Basta una serata; ma che dico, bastano mezz'ora, dieci minuti per essere cancellato. Spazzato via. Schiacciato. Mi rivedo allora tanti e tanti anni fa, in quella stessa città, vagare per le strade in preda alla disperazione per un motivo qualunque. Mi rivedo in una strada antica, mentre puzzavo agitato e non mi ricordavo quasi neppure come mi chiamavo. E mi ricordo di quando qualcuno mi depose di peso su una barella. E allora sono costretto a dire: soltanto il caso ha impedito che, quel lontano giorno, non arrivassero anche loro, in vena di garantire l'ordine pubblico e di proteggere la cittadinanza. Forse mi è andata bene perché erano le sei del pomeriggio di un giorno di luglio, e non le una e mezzo di una notte di marzo. E così, caro lettore, cara lettrice, può andare bene o può andare male anche a te. Dovremo stare tutti tranquilli, ma in fondo non è neppure detto; quindi guardati, guardiamoci in quella fotografia. Abituiamoci e pensare che siamo noialtri, quel corpo nudo, morto e pieno di chiazze. Avvezziamoci a pensarci mentre guardiamo il telefilmino dove sono tutti buoni, bravi, pieni di premure e salvano il cucciolo abbandonato.

Sono passati quasi due mesi da quando, caro lettore, caro me stesso, ti hanno ridotto in quel modo. Qualcuno mi ha persino chiesto come mai non ne avessi mai parlato, nonostante il fatto sia avvenuto nella mia città e addirittura di fronte all'uscio di casa di una persona che conosco parecchio bene. È perché è un film già visto troppe volte. Non sono passati neppure un paio di giorni, che tutto era già stato escluso; ci sono stati i funerali, poi sono saltate fuori le testimonianze, le telefonate, la famiglia ci ha visto sempre meno chiaro. Ad un certo punto, grazie allo sviluppo tecnologico, abbiamo potuto persino sentire la tua voce, caro lettore, mentre stavi morendo; dicevi di “avere un figlio”, affidando proprio a quel piccolo essere umano la tua estrema speranza di salvezza da chi ti stava rubando la vita. Del tutto inutile, come hai potuto constatare; in quel momento tu sei un problema di ordine pubblico, e quindi devi morire. Ficcatelo quindi nella testa e risparmia il fiato, che è l'ultimo. Invece di nominare tuo figlio, inventati una frase celebre ché è meglio. Toccasse a me? A parte il fatto che di figli non ne ho, comincerò a pensare a qualcosa di adeguato, di solenne, di filosofico da riservare all'istante estremo, mentre mi stanno pigliando a calci e schiacciando inesorabilmente; che so io, “Ehi, sbirro di merda, ti puzzano i piedi!”

Ora comincerà la solita scaletta; quella che tutti voi avete già visto, persino da nudi e da morti. La giustizia che tanto richiedete e richiediamo si esplicherà in anni di dibattimenti, perizie e quant'altro che porteranno al niente; mentre tu, caro lettore, caro me stesso, te ne resterai buono buono, morto e nudo. Ci sarà il non luogo a procedere oppure ci saranno condanne ridicole, che avranno perlomeno il merito di farti fare un paio di risate postume. Diventerai immediatamente una specie di icona, e il tuo nome verrà associato a quello dei tuoi compagni di sventura; avrai i tuoi cortei, le tue manifestazioni, le tue mostre fotografiche dove verrai mostrato, caro lettore, sia da vivo che da morto. La tua famiglia si batterà e cercherà solidarietà, ottenendola in nome della giustizia (sempre lei). Ad un certo punto, ovviamente, dovrai fare i conti con l'immancabile sindacato di polizia, coi fratelli d'italia, col ministro del nuovo centrodestra, centrosinistra, centrocentro, col giornale; intanto, quell'angolo di strada diventerà probabilmente un altarino. Mi spiace, caro lettore, caro me stesso, se penserai che ti sto mancando di rispetto; è tutt'altra la mia intenzione. Ho sempre pensato che la più alta forma di rispetto che si possa avere, consista nel mettere di fronte brutalmente alla realtà in modo da poter agire più efficacemente, anche da morti e da nudi. Da morti e da nudi, anzi, si potrebbe arrovesciare davvero tutto quanto; il problema, come sempre, sono i vivi.

Quei vivi, ad esempio, che non hanno generalmente ben presente il nòcciolo della questione. Il quale è il seguente, brevissimo: esistono delle persone, organizzate in corpi statali e militari bene armati e bene addestrati, che hanno il monopolio della violenza. Qualsiasi atto di violenza compiuto da te, caro lettore, caro me stesso, è illegale quale che sia la sua natura; ti può quindi portare alla galera, all'ospedale, al cimitero. La violenza dei corpi dello stato, invece, è legale. E' considerata una forma di pubblica protezione e può essere quindi esercitata in regime di esclusiva, seppure regolata dalla cosiddetta “legge”. Non so e non posso sapere come la pensi, caro lettore, caro me stesso, a tale riguardo; però sarebbe bene che tu te ne rendessi conto definitivamente, almeno prima di fare tante geremiadi se i detentori esclusivi della violenza legale ti hanno ammazzato ed anche prima che, da ancora vivo, tu ti accinga a chiamarli magari invocando più legge e più ordine, più “presenza dello stato”, più controllo, più telecamere, più ogni cosa. Può succedere che il giorno prima tu sia al bar con gli amici e che tu dica che hanno fatto bene a manganellare i manifestanti e a schiacciare la ragazzina, e che il giorno dopo ti dia di balta il cervello per cazzi tuoi, e che tu venga pestato e schiacciato a morte da quelli lì. Tutto questo, chiaramente, non proviene dal mondo della luna; fa parte di un ben preciso sistema al quale tu puoi decidere di non dare avallo da vivo per non essere poi costretto a ritrovarti, tra le altre cose, nudo e morto su un tavolo. Hai voglia di farlo, oppure preferisci vivere la tua vita (ivi compresa l'eventuale disperazione di una sera) delegando ogni cosa? Fai un po' tu, caro lettore, caro me stesso.

Per questo e per altri motivi, non intendo riservarti né “dolore”, né “compassione”, ma una lucida rabbia. Non intendo riservarti “richieste di giustizia”, ma metterti ancora di fronte alla realtà che è nuda come te su quel tavolo. Non intendo con questo farti morire due volte, perché è la cosa che regolarmente accade. La mia solidarietà te la do senza giustizie, tribunali, avvocati, galere; te la do indicando chiaramente dove risiede il problema.

Te la do, qualunque sia il tuo nome. Te la do in qualunque luogo e circostanza. Te la do guardandomi bene dall'adoperare la parola “vittima”, perché dobbiamo cessare di essere tali e di incrementare la cultura della vittima. Te la do non invocando “punizioni”, ma il superamento di uno stato di cose che uccide prendendoti anche in giro. “Freddo non ne prende, ha due carabinieri sopra”; e pensa un po', caro lettore, di sentire magari questa frase da qualcuno che ti sta guardando morire, mentre qualcun altro grida "basta, basta" come se esistesse una giusta quantità di morte, una dose che si può somministrare in mezzo ad una strada, una modica porzione di assassinio in nome dello stress statale e dei soliti 1200 euro al mese. 

Te la do con tutta la tua vita e con tutta la tua storia, che ti chiami Riccardo Magherini, o Cesare Pardini, o Franco Serantini. Morto e nudo, nudo e morto. 

Cesare Pardini. Pisa, 27 ottobre 1969. Freddo non ne prese.