mercoledì 25 marzo 2009

Facebucchi & Sofribucchi, Inc.


Cliccate sull'immagine per ingrandire e vi apparirà una sorpresa.

Tra un paio di mesi, questo blog compie due anni di vita. Quando è nato, dopo due tentativi andati a vuoto, si era in pieno « blogghismo »: tutti ce lo avevano, il blog; sui giornali (cartacei e online) le notizie sulla « bloggosfera » erano quotidiane, si parlava di qualcosa come sessanta milioni di blog aperti in tutto il mondo. Nasceva persino un motore di ricerca, Technorati, dedicato appositamente ai blog; insomma, il blog era la New Frontier « à la page ».

Ripensavo a volte alle tante new frontiers che mi era stato dato di conoscere da quando frequento la Rete; ripensavo ai primi « instant messengers », al vecchio ICQ (chi se ne ricorda?), alle chat, ai newsgroup Usenet, alle mailing list, a tutti gli antesignani della « socialità » internettara; poi, ad un certo punto, venne sua maestà il Blog. Il blog « d'autore », Beppe Grillo, i finti blog ospitati dai quotidianoni e tenuti dai loro giornalaj, il blogghino della ragazzina con le foto degli scamarci, il bloggone del post-rivoluzionario, tutto quanto. Sembrava d'essere arrivati alla fine di un percorso, e di potersi finalmente accomodare a scrivere in santa pace di tutte le coglionate che s'avevano in testa; macché.

Ci sono ancora, certo, i blog; ma non fanno più nessuna notizia. Sono nella fase della normalità acquisita, qualcosa che c'è perché c'è, come la televisione, come la lavatrice. Più nessuna « spinta propulsiva », tanto per riprendere una vecchia definizione data da uno che conoscevo a proposito di una mailing list. Se ne aprono ancora, ma se ne chiudono a migliaia; oppure vengono lasciati lì a dormire un sonno eterno senza più essere aggiornati. Poveri blog, anche a loro toccherà la fine di ICQ e dei newsgroups; un giorno saranno coltivati e frequentati solo da pochi & fedeli appassionati, decisi a non far morire la fiaccola della blogghìa.

Penso che sarò fra quelli; come forma di espressione in Rete, mi è consona, del tutto dimensionata. Da quando ho deciso di far sparire i commenti, poi, mi ci trovo ancor meglio: ho eliminato ogni pretesto. Scrivo soltanto per il gusto di farlo e perché mi sento qualcosa da dire, in modo ragionato, senza preoccuparmi più di nient'altro. Se « piaccia » o « non piaccia ». Se sia « originale » o « banale ». Se sia « intelligente » o « idiota ». Forse, tra non molto, verrò considerato come quegli irriducibili che nell'anno di grazia 2009 ancora si ostinano a non volere usare il telefonino; addirittura, un giorno, come un altro curioso tizio che conosco, il presidente di un'associazione del volontariato di cui faccio parte, che sempre nel 2009 non ha manco il computer e usa ancora la macchina per scrivere. Erano rimasti in due: lui e Bernardo Provenzano, che scriveva a macchina i « pizzini »; ora mi dicono però che Provenzano ha cambiato macchina, dalla Lettera 32 alla 41 bis. Un bel casino, per lui.

Come tutti sanno, l'attuale New Frontier retajola è Facebook. Ovviamente si sta ripetendo quel che a suo tempo è avvenuto per i blog e, ancor più indietro, per le chat e per i forum: la convivenza mondiale sembra regolata dall'invenzione del sig. Zuckerberg (« monte di zucchero », in tedesco o meglio in yiddish). L'edizione online di « Repubblica » la si potrebbe oramai definire « Facepùbblica »: ogni giorno che Manitù mette in terra ci sono quattro, cinque, dieci notizie su quel che accade su Facebook. Va da sé che, mettiamo fra due o tre anni, qualcun altro inventerà un'altra cosa per perdere tempo a far finta di « socializzare » in rete, e che pure Facebook sarà via via dimenticata; nel frattempo, però, il qui presente che ha deciso di fermarsi coscientemente ad un dato stadio evolutivo, rimanendo nel suo blogghino sotterraneo a osservare il mondo come e quando può, scopre ogni giorno nuove perle facebucchiane.

L'ultima, ed eclatante, porta nientepopodimeno che la firma di Adriano Sofri; se ne ha notizia, come dubitarne, su questa pagina (proveniente nominalmente da un finto "blog d'autore", scritto ovviamente a comando da una giornalista retribuita) dell'edizione fiorentina online di « Repubblica ». E mi viene da pensare: come poteva mancare Adriano Sofri su Facebook? A parte il fatto che, con buona probabilità, desiderio inconfessabile di Sofri sarebbe che il « social network » si chiamasse « Facesofri » o « Sofribook », la sua presenza con la regolare paginona la davo per scontata e attendevo soltanto che qualche giornale ne desse nuova. Così, senza minimamente farne parte e schifando oltremodo la cosa, do per scontate altrettante paginone di tutta l'intellighènzia « generazionosa », i bifiberardi e compagnia cantante. Tutti quelli che, naturalmente, si tengono strettamente all'avanguardia delle « nuove forme di comunicazione » riuscendo peraltro magicamente a fare quel che hanno sempre fatto, vale a dire non comunicare assolutamente un cazzo e risultando sovente incomprensibili persino a se stessi. Ma forse sono io ad essere troppo poco intellighènte; pazienza.

Ma, tornando al Sofri Adriano, mi sono autenticamente gustato il suo panegirico di Facebook. Lo voglio riportare per intero, come denso campionario delle più acrobatiche cazzate che mi sia stato dato di leggere ultimamente a proposito del « social network ». Eccolo in tutto il suo splendore:

La scrittura di Facebook è la più vicina alle cose scritte sull’acqua, come il nome di Keats sulla sua tomba alla Piramide, o almeno sulla sabbia che l’acqua viene a cancellare: naturalmente, la velocità non depone sempre per la solidità del pensiero, ma è un buon allenamento, e la prontezza di riflessi quando non diventa un espediente serve a tenersi al passo, e per ripensarci su c’è ancora tempo”.

Autenticamente grandioso. Dunque, analizziamo un pochino queste parole di Sofri, perché senz'altro lo meritano; anzi, invece di una noiosa anàlisi, facciamone una traduzione dal sofrese in italiano, ché mi riesce meglio:

« La scrittura di Facebook, lo ammetto, è una collezione di stronzate insignificanti e inutili, anche se tirare in ballo Keats aggiunge un tocco di classe (ed io, accidenti, ne ho da vendere di classe, ivi compresa la lotta). Quel che vi si scrive sono praticamente scoreggine che vengono portate via da un soffio di vento, più o meno come i miei articoli sul 'Foglio' di Ferrara (a proposito: mi hanno detto che, date le dimensioni, Ferrara su Facebook si è fatto dodici pagine); naturalmente so bene che, a causa della velocità, scrivo delle puttanate demenziali che non depongono manco un uovo marcio, altro che pensiero; però così mi alleno a scriverne di altre, ché tanto, oh, io sono Adriano Sofri e quindi posso permettermelo certo di essere notato, pubblicizzato come 'fenomeno interessante' e 'appuntamento fisso'; mi tengo al passo dei tempi, cioè del nulla sottovuoto spinto, e per ripensarci ho tutto il tempo che voglio perché tanto non faccio un cazzo dalla mattina alla sera. »

Piaciuta la traduzione? Non lo saprò mai, perché, pappappero, se volete dirmelo dovete darmi un colpettino di telefono o, tutt'al più, mandarmi un messaggino SMS. In questo mondo di « socialità » il telefono sembra tornato ad essere una barriera insormontabile; in più mi chiamo Riccardo Venturi e potrei anche essere il famoso capitano dei RIS, no?

Nel frattempo, non posso che concludere ancora che con le parole di Adriano Sofri. Sì, perché nell'articolo riportato sulla « Facepùbblica Online » fiorentina ve ne sono altre. Sulla pagina Facebook di Sofri « si diàloga » (o bella! o quando mai Sofri avrebbe « dialogato » con qualcuno?) a proposito di « politica e attualità », ma anche di stagioni. E che cavolo! Proprio da un ragionamento sofriano sulla primavera traiamo questa considerazione:

« Oggi, se fossi ricco e libero, comprerei il piccolo ippopotamo svizzero, finché pesa solo cento chili, e andrei a vivere con lui a Comacchio. »

Per favore, per favore. Togliete Sofri da quel cazzo di arresti domiciliari o che roba è. Li-be-ra-te-lo, ché non se ne pòle più. Mi assumo volentieri anche l'onere di organizzargli un collettone per renderlo ricco e comprargli l'ippopotamo svizzero (santo cielo, eppure in Svizzera ci sono stato tre anni e di ippopotami non ne ho mai visti, a parte qualche contadino friburghese...), a condizione che si trasferisca immediatamente a Comacchio rigorosamente privo di qualsiasi connessione Internet; ché tutti 'sti cialtroni son sempre a ragionare di ritirarsi da questo mondo di merda, a Comacchio in primavera, sull'isoletta greca, a Sant'Albano in Val Mignotta o su Marte, e invece, alla sera, eccoli tutti quanti a spippolàr spippolè spippolero, tastierina e via, "esprimi approvazione" e diàloga tu che diàlogo io.

Magari, oltre all'ippopotamo svizzero, l'Adriano conoscerà pure un'anguilla ferrarese o gli si presenterà in sogno Valeria Marini, che proprio a Comacchio ebbe a girare il suo indimenticabile Bàmbola. Ché in fondo questo son diventati i Sofri & compagni: cretineria modaiola allo stato brado. Ci fu una generazione che dovette rispondere di tutto, e ad un certo punto emise alfine la risposta: Oh yeah, very cool!