Tutto sembra svolgersi regolarmente; Courtois è recidivo, ha già passato parecchi anni in galera. Verso le 10,30, mentre il pubblico ministero sta pronunciando la requisitoria, dal pubblico si alza un uomo dirigendosi direttamente verso lo scranno del giudice. Si chiama Abdelkarim Khalki, è un amico di Georges Courtois ed è armato fino ai denti; talmente fino ai denti, che è riuscito facilmente a mettere fuori causa il servizio d'ordine della Corte. Proclamandosi membro del movimento di resistenza palestinese di Abu Nidal, si avvicina al giudice fumando una sigaretta e impugnando una pistola; assieme a Courtois e a Thiolet ordina ai poliziotti presenti in aula di deporre le armi, ed i tre prendono in ostaggio tutta la Corte: magistrati, giurati, giornalisti ed il pubblico, composto in massima parte di studenti della facoltà di legge.
Accade l'impensabile: all'improvviso, i giudicanti passano ad essere giudicati. Courtois si impegna in qualcosa di assolutamente nuovo ed imprevisto: intende sfruttare i mezzi di comunicazione di massa, e impone armi in pugno a una troupe di FR3 di restare in aula e di riprendere tutto quanto. Ben presto, le TV, le radio e i giornali di mezzo mondo piombano a Nantes per raccontare la presa d'ostaggi in diretta.
Comincia lo spettacolo di Georges Courtois, che pronuncia in modo assolutamente calmo, davanti alla Corte sua prigioniera, una interminabile requisitoria contro la "giustizia" francese e contro i magistrati. Ai giurati chiede se davvero si sentono, da gente comune, investiti del potere di giudicare un uomo; solo pochi osano farfugliare qualcosa, e non solo perché sotto tiro. Con tutta probabilità, non avrebbero saputo rispondere neppure in piena libertà. FR3 riprende tutta la requisitoria di Courtois in diretta, e il telegiornale della sera la manda in onda pur con mille precauzioni; nel frattempo, il liceo Jules Verne, che si trova a due passi dal Tribunale, viene evacuato per precauzione.
Il prefetto, ed ex commissario di Polizia, Robert Broussard, e il commissario Ange Mancini, direttore del "RAID", il reparto di pronto intervento, stabiliscono un contatto con Courtois e con gli ostaggi, e fanno installare una linea telefonica. Courtois chiede un'automobile per fuggire assieme ai compagni, e libera poco a poco tutti gli ostaggi (gli studenti per primi). Il 20 dicembre, a mezzogiorno, restano nelle sue mani soltanto quattro magistrati. Alle 15 Courtois esce dal Tribunale ammanettato al presidente della Corte d'Assise (quello che, nella foto, ha un'espressione ebete mentre Abdelkarim Khalki fuma e gli tiene una pistola sul capo); in mano ha una granata senza spoletta e una 357 Magnum, e minaccia di farsi saltare in aria dopo avere sparato al giudice, se i reparti di polizia intervengono. La 357 Magnum la usa comunque, sparando alla telecamera di un giornalista che si era avvicinato un po' troppo. Abdelkarim Khalki, che si è ammanettato non a uno, ma a due magistrati, e Patrick Thiolet aspettano dentro per un po' prima di uscire e di montare in macchina assieme a Courtois.
La fuga dei tre si ferma all'aeroporto di Nantes-Atlantique. I poliziotti del RAID riescono a circondarli, che decidono di arrendersi motivando la loro scelta con il rifiuto di versare del sangue. Georges Courtois è condannato a ulteriori 20 anni di carcere. Fin qui la cronaca di quei giorni.
Georges Courtois, nato il 27 settembre 1947, è un nantese purosangue, e un anarchico proveniente da una famiglia di anarchici. Nato nella Città Negriera (così viene chiamata Nantes, perché era il principale porto francese per la tratta degli schiavi), si è fatto tatuare attorno al collo i marchi del ceppo di ritenzione della ghigliottina, “come il marchio fatto agli schiavi col ferro rovente”; sulla mano, invece, ha tatuati il nome della moglie, Chantal, e dei suoi figli, Chrystel, Cécile e Max. A 14 anni è già in riformatorio a Bordeaux, in una cella dove deve stare coi piedi in 20 centimetri d'acqua. Una misura di punizione estrema, perché si è rifiutato di andare a lavorare in carcere. Dice: “Ho rifiutato di imparare a fare l'idraulico, e è stata la mia prima battaglia. Volevo diventare professore di francese.” Con ostinazione, ottiene una dispensa per andare a studiare al liceo di Talence; ne approfitta per evadere, e se ne va in vacanza a Rochefort-sur-Mer dove è subito beccato dalla polizia: un anno di galera.
Però si diploma a pieni voti alla maturità letteraria, e comincia ad avere qualche esitazione se continuare o meno la sua già avviata carriera di ladro e rapinatore. Esitazione che cessa all'improvviso quando suo padre, capocantiere edile, a 39 anni muore cadendo da un'impalcatura. Suo padre, sebbene anarchico, è uno di quelli che magnifica le “virtù del lavoro”; e muore lavorando. Dichiara Georges Courtois: “Con quello che è successo a mio padre, ogni velleità lavorativa è andata definitivamente a farsi fottere”. Lo stesso anno, Courtois incontra Chantal, ausiliaria infermiera al reparto grandi ustionati del policlinico di Nantes; riprende a rapinare negozi di lusso e banche, colleziona galere e, nel frattempo, Chantal vive coi figli in una casa popolare nel quartiere di Malakoff. Le dichiarazioni di Courtois non sono fraintendibili: “Entri in una banca e ti pigli trecentomila franchi se ci sono; se non ci sono, te ne vai. Tanto non si diventa mai ricchi. Per diventare ricchi bisogna rapinare con una penna Mont-Blanc, come fa Tapie, invece che con un revolver.” Nel 1973, viene arrestato durante una rapina in un'armeria e condannato a nove anni; rinchiuso nel carcere di Angers, si mette a disegnare col carboncino dei “ritratti di famiglia”, divora le opera di Baudelaire, di Sartre e di Gérard de Nerval e si tiene in cella un gatto, cosa proibitissima dal regolamento carcerario. Al gatto ha dato il nome di “Ergastolo” (Perpète). Un giorno scoppia in carcere una piccola rivolta; le guardie vogliono trasferire Courtois senza il suo gatto perché, secondo loro, “sporca i cellulari”. Courtois, allora, si incazza, lascia andare il gatto e si mette a fare a cazzotti con i poliziotti armati. Uno di loro, visto il gatto che miagola disperato, lo ammazza a revolverate davanti alla porta blindata. Quando racconta queste cose, Courtois, una sigaretta dietro l'altra (fuma tre pacchetti di Gitanes al giorno) si mette a piangere.
Esce nel 1981 dichiarandosi non solo anarchico ma anche “antistronzi” e “antirazzista”; nel 1983 è di nuovo dentro. A 38 anni stringe un'amicizia fortissima con il suo “concellino” Abdelkarim Khalki, di tre anni più giovane. Abdelkarim, di mestiere carpentiere edile, ha rapinato un ufficio postale per coprire uno scoperto bancario di 5000 franchi. Di origine marocchina, era incensurato; e non sopporta di essere stato condannato a cinque anni di prigione; Courtois cerca di consolarlo facendogli presente che lui ha passato 20 dei suoi 38 anni in galera. Presto Courtois dovrà comparire davanti al tribunale di Nantes per una rapina di 18000 franchi al Crédit Agricole di Sucé-sur-Erdre; è in quel periodo che i due si fanno l'idea di prendere in ostaggio i magistrati, i giurati e tutti quanti per “denunciare pubblicamente la giustizia davanti alle televisioni”. Niente di più e niente di meno. Khalki, scontata la pena, esce di prigione e, in venti giorni, riesce ad acquistare bombe a mano, revolver, tre mitra, e a imparare tutto quel che c'è da imparare sulla resistenza palestinese, su Sabra e Chatila e sul gruppo estremista di Abu Nidal. Serve una rivendicazione credibile.
Il processo è fissato per il 18 dicembre 1985. Courtois, rinchiuso nel gabbione assieme al suo complice Patrick Thiolet, comincia a chiedere conto di alcune cose: “Perché sono rimasto due anni senza poter vedere mia moglie e i miei figli?”. Il giudice, Bailhache, risponde di “non saperlo”. Il giorno dopo, il 19 dicembre, Khalki si alza dal pubblico e, con una sigaretta in bocca, si avvicina allo scranno del giudice con una bomba a mano senza spoletta; Courtois, invece, esce dal gabbione con una convincentissima Magnum 357, si avvicina anch'egli al giudice e gli ripete la domanda del giorno prima. Il giudice stavolta risponde: “È una cosa disumana”. “Vedo che la notte le ha portato consiglio”, gli dice allora ironicamente Courtois. Il giudice risponde ancora: “Signor Courtois, ieri non potevo risponderle, ero nelle mie funzioni”. Courtois, che senz'altro ha avuto voglia di ammazzarlo sul posto, ha invece come un'illuminazione. Non si è dimenticato certo del potere terribile che hanno le porte chiuse: “Quelli là, a cui parlo dal 1961 ma che non ti ascoltano mai, ti interrompono e se ne fregano, si sono messi a parlare normalmente quando gli ho messo le mani addosso, quando li ho spogliati dei loro orpelli. Là dentro succede qualcosa di terribile. Quasi non sapevo se, quel giorno, a distanza di pochi minuti, avevo parlato con le stesse persone.”
Courtois obbliga allora il pubblico ministero a chiedere ad alta voce “vent'anni per una rapinetta del cazzo”, parla della “morte sociale” in carcere, chiede un'automobile al RAID, prende il codice penale del giudice Bailhache, ci scrive una dedica e lo regala a una studentessa di legge, manda un “servo” (ovvero un poliziotto) a comprare le sigarette, impone la presenza sotto tiro di una troupe televisiva di FR3 e parla come un forsennato: “Non potevo certo restare impassibile e armato fino ai denti davanti a 34 persone che mi guardavano. Non bisogna mai restare in silenzio.” Parla per trenta ore di fila; poi gli viene detto che fuori c'è una Renault Espace che lo aspetta. Courtois esce ammanettato al giudice Bailhache, Khalki al pubblico ministero; con il responsabile del RAID, il commissario Broussard, ha raggiunto un accordo per far espatriare Khalki con un “decreto di espulsione verso un paese di sua scelta”; sulla base di questo accordo, e per non spargere sangue, si arrende all'aeroporto. Khalki non viene per nulla fatto espatriare; lo stesso commissario Broussard dichiara di “essere stato ingannato come Courtois e Khalki” e che “la Francia non ha tenuto fede alla parola data, e che il marocchino è stato preso per il culo”. Khalki, come Courtois, viene condannato a vent'anni di carcere, con un misterioso supplemento di pena di ulteriori trenta mesi. Courtois si sente colpevole nei suoi confronti, sentendo come un debito d'onore verso una persona che ha sacrificato tutto per amicizia. Ottiene uno sconto di pena ed esce nell'ottobre del 1997 mentre Khalki ancora si trova rinchiuso nel carcere di Arles; comincia scioperi della fame, e concede interviste soltanto a condizione di “poter parlare di Khalki, che dovrebbe essere fatto andare all'estero. Si reinventa come “esperto del mondo carcerario”, scrivendo articoli al vetriolo sulle “merdate della giustizia”; ma dura poco.
Nel febbraio del 2002, completamente ubriaco assieme a due nuovi compagni, tenta una rapina a un piccolo supermarket di Nantes; l'impiegato riesce a metterli in fuga, ma riceve un piccolo colpo con il calcio del fucile che gli spacca l'arcata sopracciliare. Arrestato di nuovo, Courtois si aspetta la pena normale per quel tipo di fatto, da uno a tre anni; il pubblico ministero ne chiede sette, ed il giudice gliene dà dieci. L'avvocato difensore, Trebern, dice esplicitamente che “Courtois continua a pagare i fatti di vent'anni prima.” Si comincia a sentire l'effetto Sarkozy. Al momento attuale, Georges Courtois è sempre in galera.
Nel 1990, in un album dedicato a Nantes “bella e ribelle”, il gruppo dei Tri Yann scrive su di lui e sui fatti del dicembre 1985 una canzone, un gwerz a cappella nella più antica tradizione bretone; i primi due versi riprendono una famosa canzone popolare pure fatta conoscere dai Tri Yann, Dans les prisons de Nantes. Danno alla canzone, provocatoriamente, un titolo in lingua bretone: Gwerz Jorj Courtois. La canzone di Georges Courtois. La canzone è qua sotto, la storia è qua sopra.
c'era un prigioniero
in attesa di sentenza
ma già condannato,
condannato al silenzio
lam delidam delilà,
condannato al silenzio
già da parecchi anni
Una mattina di dicembre
lo portano a giudizio,
c'è un complice in aula
ma quando parla il piemme
lui ordina di far silenzio
lam delidam delilà
ordina di far silenzio
a tutta l'assemblea
Il tribunale di Nantes
all'improvviso è sotto assedio,
l'accusato parlamenta
con i poliziotti,
libera una studentessa
lam delidam delidà
libera una studentessa,
la stampa e i giurati
La brava gente di Francia
lo fa andare in TV,
dicono: bisogna abbatterlo,
impiccarlo, metterlo al rogo
ma per le strade di Nantes
lam delidam delidà
ma per le strade di Nantes
scappa quel ribelle
Ha finito per arrendersi,
sangue non ne ha versato,
ha tentato la fortuna,
voi non l'avreste tentata?
E nell'indifferenza
lam delidam delidà
e nell'indifferenza
Courtois lo han rimesso dentro.