venerdì 4 novembre 2011

Gli esportatori


Quand'ero bambino, già alle scuole elementari c'insegnavano che cosa esportavano i vari paesi. Per esempio, l'Italia esportava vino e olio; c'era poi il famoso mercurio di cui si diceva fossimo tra i primi produttori al mondo (poi si è del tutto esaurito, lasciando col culo per terra i minatori dell'Amiata). La Francia esportava vino ma non olio. L'Argentina esportava carne di manzo, e l'Islanda olio di balena. La Cina non esportava nulla perché non esisteva; la Russia esportava caviale del Volga e rivoluzione. Cose passate. Generi obsoleti. La principale voce di esportazione attuale, come si sa, è invece la democrazia. Tutti quanti, ora, esportiamo democrazia; e dev'essere un genere assai costoso, visto il numero di morti che questa esportazione ha prodotto. Anche i mezzi per l'esportazione sono cambiati parecchio. Prima ti vedevi camion, navi cargo, lunghi treni merci, aeroplani, spedizionieri turchi al valico di Fernetti; l'esportazione della democrazia, invece, si fa sí con gli aerei, ma da guerra. Si fa sí con le navi, ma sempre da guerra. Anche coi camion, ma carichi di missili terra-qualcosa o qualcosa-aria. Si fa con i Marines e con la propaganda. Si fa con le stronzate di Facebook e di Twitter, che rivelano sempre di più la loro natura di armi di distruzione di massa (altro che quelle, inesistenti, di Saddam Hussein), e non soltanto dei cervelli. Per il resto, dicono che i criteri per tale esportazioni siano quelli consueti: come si esporta vino dove mancano le vigne e mercurio dove mancano i termometri, la democrazia si esporta dove non c'è libertà. Da noi, va da sé, la libertà c'è. Ci mancherebbe.

Ad esempio, in Grecia. La Grecia, anzi, nella vulgata generale, sarebbe addirittura la culla della democrazia; si sprecano soloni, pericli e compagnia bella (dimenticando magari che la democrazia ateniese classica riguardava un ristrettissimo numero di cittadini, e soltanto maschi), e si cerca di blandire la storia mentre a un paese intero si ammanniscono colpi mortali. Come culla, insomma, è parecchio smerdata; è un vizio che hanno tutte le culle, ma di solito c'è qualcuno che cambia il pannolino. Qui, invece, si butta via direttamente il bambino con tutta la culla; e con tutta la sua democrazia.

Non appena la Grecia osa indire un referendum (strumento democratico per eccellenza) per decidere se accettare o meno gli aiuti che la condannano alla dipendenza da mani altrui, si scatena il finimondo. Il primo ministro della Culla viene convocato d'urgenza come fosse uno scolaretto indisciplinato, e bacchettato sulle mani dai Maestri. uno con la faccia da stronzo e gli orecchi a sventola e un'altra che sembra la sorella minore di Maga Magò. Sono loro, gli Esportatori; quelli che esportano la democrazia in Libia a fil di spada, però non tollerano che la Culla espleti una elementare funzione democratica dando la parola direttamente al popolo. Guai! La Grecia è una colonia, e deve obbedire. Le misure che stanno portando un paese alla guerra civile e al rischio di un colpo di stato (non si vede come mai, altrimenti, Papandreou si sia affrettato a rimuovere i vertici militari del paese) non possono essere messe in discussione, e men che mai facendo esprimere chi è vittima principale delle medesime. Dietrofront! Niente più referendum, il primo ministro è costretto a obbedire e tanti saluti alla Culla, ai soloni, ai platoni e a tutti quanti. La democrazia, così, si ferma davanti ai soldi. Quando ci sono di mezzo i soldi, non c'è più esportazione; ci sono soltanto diktat. Del resto, la Grecia cosa esportava? Ulive? Isolette da sogno? Tsè. Grecia pappata. Greci democraticamente zitti. Missione compiuta, mentre si può passare all'esportazione in Siria. In Siria ci sono sempre diciotto morti al giorno, né uno di più né uno di meno. Lo dice Twitter, in mezzo all'operazione di Cassano e ai foruncoli di Justin Bieber.