lunedì 7 novembre 2011

I devastatori


La strada, mi hanno detto, s'interrompe definitivamente a Procchio. Oltre non si va; ci sono allagamenti e frane. A Procchio, negli ultimi decenni, c'è stato lo sviluppo; un suo esempio si vede nella foto sopra. Sembra un ospedale, e se lo fosse si potrebbe almeno dire che è qualcosa di utile per la comunità; invece è il Residence Napoleon, un mostro costruito alla fine degli anni '60 in mezzo al bosco, alla macchia mediterranea. Sbancando, sterrando, deforestando, dissestando. Oggi, a Procchio, che io mi ricordo ancora come un bivio e dieci case, c'è tutta l'industria del turismo e del divertimento; e hanno costruito, costruito, costruito. Hanno devastato. In mezzo a Procchio, le fondamenta di un altro ecomostro (che doveva essere un centro residenziale e commerciale) sbrecciate, arrugginite, circondate da anni da un'orrenda rete arancione di recinzione provvisoria; ci finirono in galera maggiorenti vari, e c'era dentro fino al collo anche il "ministro" Altero Matteoli. Il quale, all'epoca, era ministro dell'ambiente. Anche quel rudere è andato sott'acqua, oggi. La banda dei devastatori a pieno regime.

Genova. Dino Campana le dedicò una poesia in cui la sua notte Tirrena era una infinita occhiuta devastazione; ma, a Genova e in tutta la Liguria, la vera devastazione non è dovuta né alla notte e né al Tirreno. È dovuta al gangsterismo istituzionale e affaristico a qualsiasi livello. Una città che si è ritrovata autostrade sul balcone di casa, raffinerie di petrolio in mezzo ai condomini, casermoni dentro ai torrenti e ogni altra sorta di orrore territoriale. Niente è risparmiato in questo paese. Né l'isola nel mare, né la grande città. Né la montagna, né la pianura. Grandi e piccole opere e infrastrutture, tutte regolarmente essenziali, tutte per lo sviluppo economico; di fronte a quale sviluppo economico siamo di fronte, lo si vede attualmente benissimo. Devastazione e soldi. Devastazione e comitati d'affari. Devastazione e politicanti, dal piccolo sindaco con la sua minuscola giunta fino al potente ministro con la sua potente congrega di banditi. Dalle villette e seconde case a schiera in riva al fosso degli Alzi fino al ponte sullo Stretto; dalle TAV al canale di Saviano. Hanno devastato tutto, e lo hanno fatto in nome del niente. Un paese dove prospera soltanto il business del disastro, gestito peraltro da chi lo ha disastrato anche economicamente e moralmente.

Belìn! Ci stanno devastando Genova questi bastardi!, si sentiva e si leggeva nel luglio del 2001 dalle radio e dalla Rete. Ma non si riferivano, questi bravi cittadini, alla devastazione della loro città che era stata compiuta scientificamente per decenni. Non si riferivano al Bisagno che va fuori ogni anno alla prima pioggia torrenziale. Non si riferivano ai torrenti interrati e ricoperti di cemento, non si riferivano alle Lavatrici, non si riferivano all'urbanizzazione selvaggia di aree su cui sarebbe stato criminale costruire persino una stalla. Si riferivano ai black bloc, ai teppisti che si limitavano a distruggere vetrine del cazzo e automobili. E come gioivano gracchiando ("Uno a zero!") alla morte di Carlo Giuliani. Perché va così: per la devastazione di due vetrine, di un bancomat e di qualche macchina si invocano leggi speciali, giri di vite, forche, patiboli e si montano su campagne di pubblica delazione organizzata. Per la devastazione vera, invece, quella di città, di isole, di un paese intero, si invita al silenzio composto, alla preghiera e a considerare la tragica fatalità. Si mettono in risalto gli atti di eroismo (siamo o non siamo un paese d'eroi?) e si contano i morti delle alluvioni. Però, al momento dove sarebbe opportuno farlo, nessuno si pone mai la domanda chi l'abbia devastata davvero, Genova. O chi abbia devastato Roma a partire dal primo dopoguerra. Secondo parecchi elbani, il Parco Nazionale avrebbe distrutto l'isola, e ci fu persino chi minacciò (e forse eseguì) incendi boschivi dimostrativi; chi l'ha distrutta l'Isola? Chi ha trasformato questo paese in un luogo dove una povera donna può morire nella sua cucina, in un metro e mezzo d'acqua straripato da un fosso insignificante?

Per me, quella persona erano dei ricordi. Non saranno stati importanti. Non saranno stati profondi. Ma era un essere umano che mi chiedeva come stavo, se la incontravo (e saranno stati anni e anni che non lo facevo). Era un nome che ogni tanto ritornava nei fatterelli raccontati nel portico di casa, lo stesso portico che, ora, può non esistere più. Stasera ho sentito il suo nome ai telegiornali nazionali. L'ho letto persino sulle agenzie di stampa russe. Me la ricordo una volta a Galenzana, che faceva il bagno insieme a me e alla mia famiglia; sembra che anche Galenzana non esista più o quasi.

Non doveva esserci. Non doveva esserci il nome di nessuna delle migliaia di morti che i devastatori hanno prodotto.