giovedì 10 novembre 2011

Una tranquilla alba di regime


Ieri sera mi ero persino preparato, girando la sedia verso il televisore e lasciandomi un goccio di vino dalla cena (che da qualche tempo è forzatamente frugale). C'era, su La 7, il film sul Che Guevara con Benicio Del Toro, che era già stato rimandato la settimana scorsa perché c'era da seguire la drammatica situazione; e me lo volevo proprio riguardare. Risultato: lo hanno rimandato anche ieri sera. Al suo posto, si indovini che cosa: un film-documentario su Berlusconi. Così mi sono moderatamente incazzato, ho spento ogni cosa e dopo un po' me ne sono andato a letto col gatto che già dormiva dopo aver passato tutta la giornata, finalmente bella, a zampettare e vagare per il vicinato. Ultimamente il gatto della vicina gli sta dando proficue lezioni di arrampicata sugli alberi nel giardino di fronte, e la sera è stanco morto. Essendo andato a letto presto, è andata a finire che mi sono svegliato prima dell'alba; è ancora buio pesto, il gatto si è svegliato pure lui e è già in giro per l'Isolotto, e ora mi metto il caffè sul fuoco. Fra un po toccherà alle caramelline del mattino: Plavix, Triatec, Metoprololo e Metformina per il diabete. Oggi niente riabilitazione al day hospital (chissà perché non si può dire ospedale diurno, quando in Islanda, dove gli ospedali funzionano senz'altro meglio che qui, si dice tranquillamente dagssjúkrahús); iermattina, invece, mi sono fatto la consueta seduta di pallosissima cyclette e gli esercizi riabilitativi. Però mi ero portato un libro, che leggevo pedalando: l'Omaggio alla Catalogna di George Orwell. Quando la giovane dottoressa mi ha chiesto incuriosita che cos'era e le ho risposto che era "un libro sulla guerra di Spagna", mi ha risposto meravigliata che non sapeva che in Spagna c'era stata la guerra. Ho continuato a leggere. Ero arrivato al maggio '37 a Barcellona e alla centrale telefonica. Accanto a me facevano pedalare un'anziana signora che andava come un treno, e nel frattempo saliva lo spread e si preparavano le larghe intese.

Ora sí, me lo vo proprio a preparare 'sto benedetto caffè. Senza zucchero. Un amico mi ha portato la stevia rebaudiana, una piantina che cresce in Paraguay e le cui foglie sono più dolci del miele; è inutile, berlo amaro proprio non mi riesce, e l'aspartame è un troiaio anche più del saccarosio. Il gatto è passato nel cortile a velocità supersonica; sabato sera ha fatto fuori il primo piccione della sua vita e ne ha portato la salma in casa. Ben altri predatori stanno agendo in queste ore; ed è sempre buio fitto. Però si cominciano a sentire le prime macchine che passano per via dell'Argingrosso; i primi disgraziati che vanno a lavorare. Alle fermate dell'autobus in via di privatizzazione ci sarà già qualcuno che aspetta; e, uno di questi giorni, l'omaggio alla catalogna lo farò senz'altro anch'io, comprandomene un mezzo chilo al mercato qui in piazza e facendomelo saltare in padella con olio e limone. A una cert'ora dovrà svegliarsi anche Giorgio Napolitano, che sicuramente sta ancora dormendo perché è grave d'età e non gli fa bene svegliarsi alle quattro e mezzo di mattina anche se ci ha da fare il governo di salvezza nazionale. Un altro ragazzo, a Roma, sta invece passando la sua prima notte in galera domestica perché aveva un concetto parecchio diverso delle cose; e non è escluso che, in qualche galera propriamente detta, qualcun altro si stia preparando una corda e che abbia deciso che non vale più la pena che sorga il sole.

A giorno fatto, poi, non si sfugge. Toccherà affrontare tutta una serie di cose. Si va avanti con le incombenze quotidiane sapendo che ci massacreranno. Che sia Berlusconi o che siano i salvatori nazionali, i parlamenti, le banche dall'agenzia della Cassa di Risparmio in via Cecioni fino a quella centrale & europea. Quando sento parlare di macelleria sociale, chissà perché, mi viene a mente uno spaccio popolare di carne, una cooperativa di allevatori o qualcosa del genere; come la cantina sociale, insomma. Siamo, infatti, in mano a dei briachi per i quali non sono mai previsti i controlli con l'etilometro. Bevo il caffè con la stevia rimbaudiana (mi viene di chiamarla così, riportando tutto al ragazzino di Charleville), e passata la prima mandata di passaggi automobilistici in direzione dello sgobbo, è tornato un silenzio profondo nell'oscurità di novembre. Sul letto, il vecchio maglione liso che serve al gatto per rinvoltolarsi; sta crescendo a vista d'occhio, gli piace la carne cruda e sono ragionevolmente certo che, lui, la macelleria sociale saprebbe bene come affrontarla. Magari assieme al suo amico di pelo qui accanto, che è diventato maestoso; si farebbero immediatamente delle larghe intese per papparsi ogni cosa.

Tra non molto verrà l'alba. Ieri, su YouTube, ho visto dei filmati girati a Marina di Campo; è distrutta. Accanto al Bar Capriccio, dove da ragazzino c'era il muretto della compagnia estiva (l'Ornella e la Silvia di Torino, Roberto di Napoli, i tre empolesi, la Caterina di Vimercate con il suo clamoroso costume leopardato, la Claudia che si mise con Roberto il 20 luglio 1978 facendomi passare le pene dell'inferno), c'è una voragine. E' crollato il muretto, e è crollata anche la spiaggia. Chissà che non ritrovino i boccali di birra che quel pazzo dello Stauffenberg si divertiva a seppellire dopo esserseli tracannati; che cognome, eh. Era nientepopodimeno che il bisnipote dell'attentatore a Hitler. Si sono verificate delle larghe intese tra lo scirocco e il dissesto idrogeologico, e è tutto andato. Se ne dovrebbero andare via tutti. Dovremmo mettere ogni cosa a ferro e fuoco. Dovremmo ribellarci; ecco le solite frasi che, puntuali come la morte, mi si affacciano in mente. Non sono granché originali, lo so; ma neanche quel che ci tocca vivere, a pensarci bene, è originale. È, anzi, terribilmente ordinario, banale, piatto. Una quieta disperazione che sa scagliarsi soltanto verso quei pochi che hanno la capacità e il coraggio di mescolare rabbia e fuoco.