Ci avevano provato.
Prima a dire che era stato colpito da un “proiettile di rimbalzo”. Da una pallottola vagante, insomma. Se si potesse fare un elenco delle persone inermi che sono state uccise da “pallottole vaganti” (rimbalzanti, saltellanti, deviate...) della polizie di tutti i paesi, credo che corrisponderebbe più o meno agli abitanti di una città di media grandezza. Se, però, l'elenco fosse ridotto a quello di chi è morto veramente così, non si raggiungerebbero probabilmente nemmeno gli abitanti di un villaggio di montagna. Le “pallottole vaganti” sono come i famosi incendi boschivi per “autocombustione”. Le pallottole, di solito, non vagano affatto. Vengono mirate e sparate.
Poi avevano provato a dire che un gruppetto di ragazzini avevano “assaltato la polizia” e che gli agenti avevano “sparato dei colpi di avvertimento”, tra i quali quello che si era messo a vagare. L' “assalto”, poi, si era trasformato in generici “insulti”; un video ha dimostrato, invece, che non c'era stato proprio nessun attacco. Ora, si può essere anche ragazzini di quindici o sedici anni, ma non per questo si dev'essere per forza dei cretini. Un “assalto” a mani nude nei confronti di agenti di forze speciali antisommossa, armati fino ai denti. Le forze di polizia, invece, prima ti ammazzano e poi cercano (tra le altre cose) di farti passare per idiota.
Poi hanno tirato in ballo lo “stress”. Notoriamente, i poliziotti (specialmente quelli delle forze speciali) sono tutti stressati; ci sarebbe da chiedersi come mai ce li piglino e ce li tengano, visto che il lurido mestiere che hanno scelto non mi sembra un modello di tranquillità. Quantomeno, ci sarebbe da attendersi un po' di nervi saldi e capacità di valutazione delle situazioni; invece no. Sono stressati, e lo stress dev'essere sfogato. C'è chi tira una pedata alla porta, c'è chi fa una scenata a suo cugino, c'è chi si va a fare una nuotata di tre chilometri; il poliziotto speciale, invece, spara pallottole erranti. Magari pigliando pure la mira, che un po' di applicazione fa passare meglio lo stress. Questo lo avevano visto non so quanti testimoni oculari dei metodi antistress dell'Astynomia greca: una bella esecuzione capitale di un pischello riccioluto. Meglio del Prozac.
Poi gli avvocati dei poliziotti hanno tentato la carta della distruzione della vittima. Un “ragazzino ricco e annoiato”, il suo rendimento scolastico, le “cattive frequentazioni”, la sua presenza e le sue amicizie nel quartieraccio di Exarchia, quello degli anarchici. Insomma, ragazzo mio, sei avvertito. Se non provieni da una famiglia povera (quando si è poveri, non ci si annoia), se vai maluccio a scuola, se non frequenti compagni ammodino e selezionati, se non rimani ai Pariolakis di Atene o come si chiameranno, puoi essere tranquillamente abbattuto e te la sei voluta. A questo punto, sembra che la Grecia intera sia insorta. Gli avvocati sono stati zittiti immediatamente, e pesantemente, persino dal ministro dell'interno di allora, esponente di Nea Dimokratia (un partitino che te lo raccomando); zittiti e costretti a chiedere scusa alla famiglia Grigoropoulos.
La scaletta prevedeva a questo punto la carta sentimentale. I due agenti presentati come “affettuosi padri di famiglia”, insomma. Il pallottoliere vagante in persona, Epaminondas Korkoneas, ha tre figli in tenera età; il suo collega, Vassilios Saraliotis, ne ha invece soltanto due. Ammazza quanto figliano 'sti sbirri; poi si lamentano che ricevono stipendi bassi, minchia signor tenente. Viene senz'altro a mente una canzone degli anni '70, Il figlio del poliziotto. C'è poi da specificare che Monsignor Pasolini Pierpaolo ha fatto scuola anche in Grecia: c'è stato infatti chi si è affrettato a dichiarare che i veri “figli del popolo” (αληθινοί γιοι του λαού in versione greca) sono gli agenti di polizia, non i ragazzini, non gli “anarchici”.
Sembra che, però, in Grecia, tutto questo non abbia funzionato. Almeno nel caso di Alexis Grigoropoulos; poi tutto lascia supporre che, per il resto, i poliziotti greci si comportino esattamente come i loro colleghi di tutto il mondo. Con Alexis, però, la devono aver fatta un po' troppo grossa. Anche i loro capi e mandanti si sono accorti che quei due imbecilli, il Korkoneas e il Saraliotis, stavano rischiando di far sollevare il paese intero, perdipiù in una situazioncina armonïosa, placida e soave come quella che già c'era nel paese nel dicembre di tre anni fa. Gli è toccato lasciarli al proprio destino, il quale non era propriamente roseo. Gruppi anarchici ateniesi avevano minacciato, tout court, di ammazzare i due; prudentemente sono stati tenuti in galera. E poi mandati a processo in un buco di cittadina lontana da Atene, Amfissa, perché farli giudicare a Atene sarebbe equivalso a un assalto al tribunale, questo qui sul serio. Al processo di Amfissa sono state prodotte tonnellate di prove (testimoniali e audiovisive) che inchiodavano i due. Se uno straniero avesse visto i muri di Atene quel giorno, avrebbe imparato perlomeno le lettere Ε, Κ Δ, Ι, H e Σ, quelle che servono a formare la parola ΕΚΔΙΚΗΣΗ. Significa “vendetta”. Sapete, i greci non sono particolarmente inclini a “indignarsi” e preferiscono vendicarsi. Fossi la BCE, Sarkozy, Van Rompuy e quant'altri, me li terrei buonini invece di affamarli e di umiliarli. La Merkel e la Germania, poi. C'è caso che qualcuno torni a ricordarsi dell'occupazione nazista e di Kessarianì, mica è stata persa la memoria come qui da noi.
Il 10 ottobre 2010, poco più di un anno fa, i due poliziotti assassini sono stati condannati dal tribunale. Epaminondas Korkoneas, stressato ma affettuoso padre di famiglia, all'ergastolo. Vassilios Saraliotis a dieci anni. Praticamente come in Italia, no? Il Korkoneas, oltre ad essere un mentecatto esaltato (così è stato descritto persino dai colleghi), ha avuto pure uno sculo della madonna a nascere in Grecia; se si fosse chiamato Epaminonda Corconea e fosse nato a Pizzo Calabro, a quest'ora sarebbe già stato promosso, definito “eroe”, candidato alle elezioni comunali da un partito “law & order” (tipo quello del tovarišč Gianfranco Fini), avrebbe scritto un libro (o ne sarebbe stato scritto uno su di lui) e avrebbe venduto le sue memorie a “Oggi” o a “Vanity Fair”.
Eppure, in Grecia non si sono mica lasciati abbindolare neppure da questo; lo hanno capito benissimo di essere stati tenuti a bada con lo “zuccherino” della condanna dei due assassini. Hanno compreso alla perfezione che, per un paio che sono stati mandati al gabbio in primo grado, ce ne sono migliaia che fanno il segno di vittoria mentre reprimono selvaggiamente le rivolte quotidiane che si hanno nel paese. Rivolte delle quali continua a sapersi poco o niente. Nel frattempo, la Grecia sembra essere tornata al baratto, alle ricette di guerra e agli espropri. Nell'ottobre del 2010, subito dopo la condanna di Korkoneas e Saraliotis, il presidente dell'Associazione dei Cittadini Ateniesi, Manos Koufoglou, ha dato esatta voce alla situazione, denunciando che non si era proceduto affatto alla soppressione delle Forze Speciali delle quali i due facevano parte, e che le violenze poliziesche continuavano imperterrite.
Fanno tre anni precisi da quando Alexis Grigoropoulos, ragazzino quindicenne ateniese, ha subito la sua condanna a morte. Εκτέλεση, dicevano i cartelli ai suoi funerali. “Esecuzione capitale”. Oggi mi è capitato di sentire alla televisione un corrispondente estero della stampa greca in Italia, tale Deliolades o Deloliades, che raccontava di come, a Atene, è stato ricordato il terzo anniversario dell'assasinio di Alexis: con scontri pesantissimi. Però il corrispondente si è anche affrettato a dire che “con la situazione economica non c'entravano nulla”, e ha informato i telespettatori italiani che si erano verificati “per lo sgradevole incidente di tre anni fa in cui un giovane era rimasto ucciso, nel quartiere anarchico, da un poliziotto poi condannato all'ergastolo”. Il signor Deloliades parla benissimo l'italiano e corrisponderà anche per la sua stampa, però non capisce veramente un cazzo. In Grecia, oggi, non si può staccare più niente da niente. Chi ricorda Alexis e la sua esecuzione scagliandosi contro il braccio armato (e armato fino ai denti) di un sistema di fame che obbedisce come un cagnolino ai diktat dei mercati, delle banche e di un'Europa che sta affogando miseramente, si scaglia oggi (come allora) contro tutto quanto perché non è più disposta a subire niente senza reagire e senza tornare a percorrere le dure strade dello scontro sociale.
E così voglio ricordare anch'io Alexis Grigoropoulos, che oggi sarebbe come tutti gli altri. Un diciottenne impoverito, privo di un futuro, costretto ad assistere alla macellazione del suo paese, pronto a andarsene via. Magari, chissà, oggi sarebbe stato in piazza per ricordare come dev'essere ricordato un ragazzo che fosse stato al suo posto, quel 6 dicembre 2008. Ma il delicato pater familias Korkoneas aveva mirato a lui, e oggi non c'è. Mentre le armate dei morti e i loro “tecnici” cercano di uccidere e seppellire la Grecia. Non ce la faranno.
Ο ΑΛΕΞΗΣ ΖΕΙ, ΟΙ ΝΕΚΡΟΙ ΕΙΣΤΕ ΕΣΕΙΣ
Nella foto. Dicono che greci e turchi siano nemici “storici e mortali”, a base dei loro nazionalismi di merda. L'immagine mostra dei ragazzi turchi con l'effigie di Alexis Grigoropoulos. La dicitura, in lingua turca, significa “Alexis è nostro fratello”. L'ho voluta scegliere come titolo di questo post.