Lo scorso anno, verso Natale, scrissi un raccontino (ovviamente senza nessuna pretesa; per me la cosa è sempre ben chiara, però sarà sempre meglio ribadirlo) che si rifaceva, appunto, alla famosa “atmosfera natalizia”. Quest'anno, approssimandosi la festività del 25 dicembre, mi son detto: e perché non ripetere la cosa? Magari, chissà, si stabilirà una “tradizione”. Mi vedo già orde di lettori in ansia, ogni anno, per il “tradizionale” raccontino natalizio dell'Asociale (Asocial's Christmas Tale); ma, insomma, eccolo qua. E' diviso in due parti.
I principali quotidiani, sia in aramaico che in greco e latino, non avevano perso certamente l'occasione per stigmatizzare quel bruttissimo episodio che si era verificato pochi giorni prima nel campo profughi di Beth Lehem; uno spiazzo spoglio e privo di ogni servizio, che per di più era stato da tempo assegnato dalla Municipalità locale e dall'amministrazione imperiale romana ad un utilizzo assai sentito da una parte della popolazione, e ferocemente osteggiato da un'altra: la costruzione di una modernissima arena ludi sul modello delle tante presenti in tutte le regioni dell'Impero. Non è però che la parte avversa alla costruzione, composta per lo più da nazionalisti ebrei che si opponevano all'occupazione della Sacra Terra, intendesse riservare quello spazio ad attività sociali o, magari, all'edificazione di abitazioni popolari che potessero risolvere almeno in parte il problema dei larghi strati di popolazione autoctona che erano costretti a risiedere in casupole di fango che quasi si squagliavano alle prime piogge d'autunno; no, il loro fine era quello di erigere un grande tempio alla gloria di Dio, il quale era -inutile dirlo- dalla loro parte. Erano tempi di sommovimento e di grande crisi economica e sociale; l'occupazione romana, nonostante la grande tolleranza religiosa mostrata dagli invasori, aveva relegato la popolazione locale in uno stato subalterno che mal si conciliava con la storica definizione di “popolo eletto”. Inoltre, le condizioni economiche erano assai peggiorate; l'imposizione di tasse e balzelli era diventata capillare, e i pubblicani incaricati della loro riscossione forzata (ad esempio quelli dell'organizzazione Æquimperium) erano ben presto divenuti oggetto di un odio spietato e generalizzato, al pari dei reguli locali, corrotti e collusi con gli occupanti, che menavano una vita lussuosa e dissoluta mentre la gente crepava letteralmente di fame ed era costretta ai lavori più massacranti e umili per guadagnare qualcosa con cui far vivere le famiglie, sovente numerose.
Dalle zone interne, poverissime, masse di diseredati si spostavano verso le aree meno sfortunate; si erano creati dei campi dove questi derelitti, sprovvisti di tutto, si riversavano quotidianamente in cerca di migliori condizioni di vita; andava naturalmente a finire che si ritrovavano a vivere in veri e propri lager. In tali campi, le condizioni igieniche erano spaventose; la promiscuità con gli animali scheletriti che questa gente si portava sovente dietro, gli escrementi e i liquami non smaltiti, lo scarso cibo non lavato e mal cotto, provocavano malattie a non finire ed una mortalità infantile che raggiungeva livelli orrendi. La popolazione locale, del resto appena un po' meno povera, aveva mostrato sempre meno solidarietà; da quando, poi, anch'essa era alle prese con la crisi, si era lasciata facilmente influenzare da ogni sorta di episodio -fomentato in modo perfetto dalla stampa- che aveva ben presto lasciato il posto ad un'avversione totale verso questi diseredati che, ai giorni nostri, senz'altro potrebbe definirsi “razzismo”. In particolare i Galilei erano soggetti alle accuse più feroci; oltre a quella, consueta, di “rubare il lavoro”, c'era quella, oramai divenuta vox populi all'epoca di questa vicenda, di rubare non soltanto il lavoro ma ogni cosa che fosse possibile arraffare. Se qualcuno vedeva un Galileo in giro portava le mani alle tasche o alla borsa, anche se sovente entrambe erano vuote; sempre più episodi, anch'essi “pompati” ad arte dalla stampa, parlavano poi di “bambini rapiti” da cenciose donne galilee, e si erano già verificati i primi tentativi di linciaggio da parte di folle inferocite. Stiamo naturalmente parlando di tempi lontanissimi, e niente potrà mai farci apprezzare abbastanza di vivere in un'epoca come questa, dove tali cose sono scomparse del tutto; ma, in pratica, i pochi che detenevano il potere si erano facilmente accorti che le guerre tra poveri sono il metodo migliore per tenere sotto controllo la popolazione e per poter continuare ad accumulare ricchezze senza problemi. Questa la situazione, quando accadde l'increscioso episodio di Beth Lehem del dicembre di un anno che non sapremmo dirvi con esattezza.
Ci si era messo pure il censimento. L'amministrazione imperiale, con la sua organizzazione statale ferrea, desiderava contare quanti disgraziati avesse sotto di sé, obbligando spesso interi villaggi a spostarsi in alcuni punti di raccolta dove degli incaricati dell'ISTAT (Institutum Sæculare Typologicum Ad Tribus, cioè qualcosa come “Istituto Secolare per la Categorizzazione dei Nuclei Familiari”) letteralmente contavano la gente che si presentava, redigendo delle schede che venivano poi fatte avere alla sede centrale di zona (a Damasco, dicono le cronache). Dalle zone più remote della Palestina erano dovuti arrivare coloro che ancora non erano emigrati altrove, e la loro presenza aveva esasperato ancor di più la popolazione locale. “Come se non bastassero i Galilei!”, si diceva in giro; in breve, si era creata un'alleanza apparentemente innaturale tra i fautori dell'occupazione e i nazionalisti, che aveva portato a leggi asperrime sulla migrazione (anche se, spesso, obbligata dal censimento imperiale) come quella, famosa, promossa solidarmente dal tribuno della plebe Gaio Padano Bossio e dallo zelota israelita Awfranq El-Fiin. Inoltre, per evitare che alle masse alloctone impegnate nel censimento (obbligate a tornarsene alla svelta da dove erano venute, una volta espletate le operazioni) si mischiassero clandestini decisi invece a non muoveri, erano stati istituiti i Collectaria Identificationis et Expulsionis (CIE), strutture rigidissime e guardate in armi dove i trasgressori alla legge Bossio-El-Fiin venivano rinchiusi, tenuti in condizioni da galera e infine rimandati indietro in modo coatto. Alcuni giornali erano arrivati a creare la curiosa espressione di Extragerosolimitani, che si era largamente diffusa; nell'accezione comune, significava “esseri umani di serie B”, o “illegali”.
Nel dicembre di quell'anno, la famiglia di Yohsef e Maryam si era dovuta muovere da Nazareth, in Giudea, per quel maledetto censimento; avevano dovuto prendere i loro asini, le poche cose che avevano e qualche granaglia per andarsene al campo profughi di Beth Lehem, che funzionava allora anche da centro di raccolta per il conteggio della popolazione. Inutile dire che le condizioni al suo interno si erano ancora aggravate, con centinaia e centinaia di persone che si erano aggiunte a quelle che già ci vivevano, o sopravvivevano; Maryam, inoltre, era in una situazione davvero spiacevole. Assolutamente dans le pétrin, come avrebbero detto secoli e secoli più tardi i francesi, oppure nella merda, come diciamo ancor oggi noialtri (e forse così si diceva anche in aramaico, nonostante l'espressione non sia attestata dai testi coevi). Era una bellissima fanciulla di sedici anni che, all'età di dodici, era dovuta andare in isposa (ma alcuni maligni dicevano, non senza una punta di ragione, che era stata venduta dalla sua famiglia per pochi denari, alcuni sacchi di farina e una capra) ad un anziano falegname del paese, tale Yohsef, che era rimasto vedovo e che aveva un lavoro. Volente o nolente, la bambina aveva dovuto accettare; le nozze erano state celebrate e, la fatidica prima notte, il vecchio Yohsef doveva avere avuto forse qualche scrupolo nel ritrovarsi nel letto una fanciulla che sarebbe potuta essere tranquillamente la sua nipotina. La aveva fatta quindi addormentare tranquillamente e, come ci informa il cosiddetto Vangelo di Fabrizio, “se n'era partito per dei lavori che lo aspettavano fuori dalla Giudea”. Dovevano essere lavori particolarmente consistenti, dato che rimase lontano quattro anni; nel frattempo, Maryam da bambina s'era fatta ragazza e il vecchio marito non si decideva a tornare; a volte si sorprendeva persino a pensare che fosse morto, ma il peggio doveva arrivare. Successe quando incontrò Gabriele.
Gabriele era un giovane di vent'anni di un paese vicino, pescatore di mestiere come pescatore era stato suo padre e pescatori erano tutti i suoi fratelli. Talmente bello, che dai compaesani era stato soprannominato “Arcangelo”, e così gli gridavano le ragazze quando lo incontravano: “Ecco l'Arcangelo Gabriele!” Ragazze sí, ma anche qualche sposa non avrebbe disdegnato qualche segreto incontro con quel bel giovanotto; il quale si vociferava che si desse non poco da fare, tanto che qualche fidanzato e qualche marito gliela aveva giurata sul serio. Proprio per questo motivo, i suoi fratelli maggiori gli avevano consigliato di non farsi vedere più per un po' in paese, dato che c'erano almeno tre o quattro mariti i quali si erano ritrovati all'improvviso muniti di ramificazioni cefaliche e che non avevano preso la cosa molto bene. Anche Gabriele convenne coi fratelli che sí, forse sarebbe stato meglio tagliare la corda prima che costoro passassero alle vie di fatto, e una mattina all'alba prese le sue cose, la sua rete da pesca e il suo asino e se ne andò a Nazareth. “A Nazareth”, pensava durante il viaggio, “ho il mio amico Michele; mi ospiterà lui finché non trovo un posto dove stare per conto mio.” Così andò; a pescare andava tre giorni alla settimana, vendeva i pesci al mercato e qualcosa tirava pur su da mangiare; nelle lunghe ore passate in barca si dilettava dei suoi pensieri in libertà, che a vent'anni spaziano consuetamente per l'universo tutto. “Esistesse qualcuno”, si ritrovava talvolta a fantasticare, “che con un gesto della mano o uno sguardo potesse moltiplicare i pesci! Sai che bellezza: io pesco un pesce, lo porto a questo e, oplà! Lui fa un cenno e i pesci diventano cinque, dieci, cento, mille! Poi si fa a metà, si diventa ricchi tutt'e due e ci si trasferisce a Gerusalemme...ma che dico Gerusalemme! A Roma!” E sorrideva, e pescava; pesci magri, stentati, che sembravano rassomigliare alla gente del posto. Fu di ritorno una sera, mentre tornava dal lago, che incontrò per la prima volta Maryam.
Lei stava tornando a casa dopo essere stata a trovare un'amica, ché naturalmente una ragazza sposata poteva frequentare soltanto altre donne. E non c'era bisogno di ulteriore controllo; se l'avessero vista in giro con un altro uomo, sarebbe stata condannata per sempre. Poiché il diavolo esiste, e spesso e volentieri la sua è una presenza discreta ma utile e doverosa, quella sera non c'era un'anima in giro nemmeno a cercarla col lanternino; nessuno, tranne Maryam e Gabriele che se ne tornava a piedi col cesto dei pesci e la rete sulle spalle. Naturalmente, questo racconto non contempla il modo in cui quei due ragazzi s'incontrarono e si conobbero; possiamo ipotizzare che la cosa avvenne come sarebbe avvenuta al giorno d'oggi fra un qualsiasi ventenne e una qualsiasi sedicenne. Quel che oggigiorno, però, non potrebbe avvenire che molto raramente, è che la ragazza sia già maritata, e per di più con un vecchio; ma forse ci sbagliamo. Ad ogni modo, come si sa, il marito di Maryam era lontano a falegnare, e fra due giovani che si piacciono le cose camminano alla svelta. Gabriele l'Arcangelo non si era mai fatto tanti problemi, anche se stavolta sentiva che la cosa era un po' diversa; per Maryam provava qualcosa di più di un semplice desiderio. Con mille prudenze, due sere dopo si recò a casa di lei, a ora tarda; uno di quei momenti in cui si decidono, lontano, i destini di molte altre persone ignare. Non essendo di Nazareth, Gabriele non era al corrente della particolare situazione di Maryam; lei, certo, gli aveva detto di essere sposata e persino da un po', ma non gli aveva che suo marito, il vecchio Yohsef, se n'era partito due giorni dopo le nozze e chissà dove accidente era in quel momento. Insomma, Maryam non gli aveva detto di essere ancora vergine. Gabriele non sapeva che le amiche, a volte, per prenderla un po' in giro la chiamavano la vergine Maryam. Poiché la lettura di questo racconto è consigliata a un pubblico adùltero, si potrà anche dire che, dopo il primo momento di sorpresa giacché non gli era mai capitato di andare a letto con un'altrui sposa illibata, la cosa non gli era dispiaciuta affatto; e neppure a Maryam, la quale si era liberata alla svelta di quella virtù (al giorno d'oggi si direbbe un valore). Sul resto sarà sorvolato, ma non per fare come la scrittrice Liala le cui grandi storie d'amore aviatorio si fermavano regolarmente sull'uscio della camera da letto; semplicemente perché son cose che è meglio lasciare a quei due, più o meno tutti sappiamo come vanno e che sarebbe inutile lasciare che qualche Iddio o qualche suo adepto intendesse governarle.
E andò avanti per qualche mesetto; Gabriele l'Arcangelo si trovava proprio bene a Nazareth, del marito di Maryam non s'aveva notizia e la fame aveva ogni tanto qualche sfamo non cospicuo, ma sufficiente a non morire. I muri delle casupole erano fortunatamente sufficienti a attutire i languori e i sospiri, e un paio d'amiche di Maryam, peraltro invidiandola vista la bellezza del suo drudo, avevano capito benissimo decidendo di tapparsi gli occhi e la bocca. Non c'era, d'altronde, da scherzarci troppo sopra. Ancor meno quando, dopo qualche mese, Maryam, mentre era in casa a fare non si sa cosa, si sentì all'improvviso pigliare da un giramento di testa che quasi la fece cascare in terra, seguito da un forte senso di nausea. Non le ci volle molto a capirne il perché; e non sapeva se essere contenta perché si era innamorata talmente del suo arcangelo da sognarselo persino la notte (o almeno in quelle notti che non passava insieme a lui), o disperata perché era una cosa che non si poteva certo nascondere. Tre giorni dopo, Yohsef tornò. Ancora più vecchio, con un bel gruzzoletto di denaro guadagnato coi suoi lavori, e deciso stavolta ad approfittare dell'ultima occasione della sua vita per giacersi con una donna.
Qualcuno, non si sa chi, era corso ad avvertire Gabriele l'Arcangelo che non si presentasse da Maryam e non ci si facesse trovare insieme neppure per sbaglio; e il ragazzo non l'aveva presa bene. Quello stramaledetto vecchio non era morto e nemmeno si era tirato una martellata sulle dita; incartapecorito e segaligno com'era, sembrava addirittura stare meglio di quand'era partito. La moglie? Una bambina; ma quando se l'era ritrovata davanti, non lo aveva più pensato. E, intanto, Maryam pensava a tutt'altro, e non sapeva come fare quando le prendevano i capogiri e le nausee; il giorno dopo, decise di dirlo a una sua amica cara, forse la sola di cui si potesse fidare, e le spiegò tutto quello che era accaduto; l'amica ascoltò un po' sorridendo e un po' scuotendo la testa, tenendola per mano, e pensando qualche volta che, nonostante tutto, aveva fatto bene. Quando Maryam ebbe finito di raccontare, le disse:
- Ascolta, Maryam, secondo me ora devi fare subito una cosa. Lo so che Yohsef è vecchio e brutto, ma il suo ritorno è stato proprio al momento giusto. Se le nausee ti sono venute da poco, vuol dire che non sei incinta di molto tempo; allora stasera, forse lo capisci da sola che cosa devi...dovresti fare...sei ancora in tempo a rimediare...
- Ma io...con quello lì non ci voglio fare niente...non so nemmeno...se ce la farebbe...
- Vedrai che ce la fa eccome. Yohsef sarà vecchio, ma è ancora robusto; pensa soltanto che se ne è stato a lavorare per anni e anni chissà dove, e che è tornato in buona salute...c'è gente ben più giovane che non se la passa bene come lui! Insomma, Maryam, devi ragionare, è l'unica possibilità che hai se vuoi salvare capra e cavoli, e forse anche la pelle tua e quella di Gabriele. Stanotte, se tuo marito...ti cerca, se vuole accostarsi a te, non devi fare storie. Qualche storia da raccontare poi la inventeremo insieme, se qualcuno si accorgerà che i tempi non quadrano bene. Dammi retta Maryam, non hai altra strada...
- Gabriele non lo vedrò più...
- Sciocca, ti pare che Yohsef non lo chiameranno presto a fare qualche altro lavoro? E quando ripartirà, tu e il tuo Arcangelo potrete vedervi quanto e quando vorrete...si tratta soltanto di portare un po' di pazienza...
- Ma sí...forse hai ragione...ma vorrei vedere tu al posto mio...
- Cocca di mamma, io al posto tuo ci sarei stata parecchio, ma parecchio volentieri, sai...? Comunque non avere paura, io non tradisco un'amica. Te lo lascio stare, il tuo Arcangelo. E darò un'occhio anche alle altre ragazze del paese; comunque, per un po' è meglio che il tuo...fidanzato non faccia troppo lo scemo...e che tu non gli dica niente che il bambino che porti in grembo è suo. Lo saprai tu e tanto basta.
- E'...è un dono di Dio....
- Ecco brava, proprio un dono di Dio e visto chi è il padre, verrà di sicuro bello come un dio. Un figlio di Dio sul serio, stai tranquilla...e ricorda, se farai le cose ammodino, nessuno saprà niente, e tutto seguirà il suo corso. Ora vattene a casa...e prepara la cena a tuo marito. Mostrati felice...e impaziente che venga l'ora di coricarsi.
Rassicurata dall'amica, Maryam prese la strada di casa; Yohsef era a fare un piccolo lavoro domestico e, quando la vide, le corse incontro e l'abbracciò.
- Dove sei stata, angelo mio...?
- Ero con la mia amica Anna...
- Già, Anna...siete state bambine assieme, mi piace che ancora lo siete. Ne avrete di cose da dirvi...
- Anche tu ne avrai....ancora non mi hai detto dove sei stato, che cosa hai fatto...
- Maryam, non sono stato poi così lontano, sai; solo che ho dovuto lavorare come un mulo, e questo risponde alla tua seconda domanda. Non avrei gran ché da raccontarti; ho lavorato sempre dall'alba al tramonto, in ogni stagione. Ho mangiato quel che mi davano e non ho parlato con quasi nessuno. Non sono tempi belli, e fra poco ci sarà da ripartire...
Gli occhi di Maryam si illuminarono impercettibilmente, ma fu abbastanza pronta da girare la testa da una parte, quasi a simulare un dispiacere che non provava.
- Ripartire, marito mio? Mi lascerai...di nuovo sola? E questa volta dove andrai?
Yohsef sorrise, abbracciandola piano:
- No, angelo mio, stavolta non ti lascerò sola perché partiremo insieme...
- Insieme? Mi porterai con te? E dove? Dovrò stare con te mentre lavori...?
- No, Maryam, niente lavoro stavolta. Non hai saputo del censimento?
- Il...censicosa?....
- Il censimento, Maryam. Le autorità vogliono...sapere chi siamo e quanti siamo. Vogliono contarci, capisci?
- Perché?
- Sono tempi brutti, angelo mio. Il perché non lo so nemmeno io di preciso, ma posso immaginarlo. Tasse. Imposte. Se sanno meglio chi siamo e quanti siamo, possono gravarci ancora di più. Il censimento è obbligatorio e dobbiamo andare a farci conoscere e contare a Beth Lehem.
- Beth Lehem? E dov'è? Quando partiremo? E quando torneremo?
- Beth Lehem è un campo....un campo dove si trova gente più digraziata di noi. E' un campo profughi oltre il fiume Giordano.
- Un campo profughi? Quello dove stanno...i Galilei, Yohsef?
- Sí, i Galilei e tanta altra gente come loro. Dove non hanno nemmeno da mangiare. Dobbiamo andare là.
- Ma Yohsef...sarà pericoloso! Non hai sentito cosa si dice in giro dei Galilei? Che rubano, stuprano, ammazzano....!
- Lo so, angelo mio, lo so. Ma il censimento per noialtri di Nazareth è stato stabilito si tenga a Beth Lehem, e a Beth Lehem dobbiamo andare. Avrei fatto a meno di portarti con me se ci fossi dovuto andare per lavorare o per qualsiasi altra ragione, ma devono contare anche te. Nei giorni a venire dovranno andarci tutta Nazareth e tutti i paesi vicini. E questo è quanto, tesoro; non possiamo opporci. Domattina all'alba prenderemo gli asini e poche cose, e andremo; sarà meglio che tu prepari qualcosa e che andiamo a letto.
(1 - continua)