Che follia l'amore per il lavoro!
Che grande abilità scenica quella del capitale che ha saputo fare amare lo sfruttamento agli sfruttati, la corda agli impiccati e la catena agli schiavi. Questa idealizzazione del lavoro ha ucciso, fino ad oggi, la rivoluzione. Il movimento degli sfruttati è stato corrotto tramite l'immissione della morale borghese della produzione, cioè di qualcosa che non è solo estranea al movimento, ma gli è anche contraria. Non è un caso che la parte a corrompersi per prima sia stata quella sindacale, proprio perchè più vicina alla gestione dello spettacolo produttivo. All'etica produttiva bisogna contrapporre l'estetica del non lavoro. Alla soddisfazione dei bisogni spettacolari, imposti dalla società mercantile, bisogna contrapporre la soddisfazione dei bisogni naturali dell'uomo, rivalutati alla luce del bisogno primario ed essenziale: il bisogno di comunismo. La valutazione quantitativa della pressione che i bisogni esercitano sull'uomo, risulta, in questo modo, capovolta. Il bisogno di comunismo trasforma gli altri bisogni e la loro pressione sull'uomo. La miseria dell'uomo, oggetto di sfruttamento, è stata vista come la base del futuro riscatto. Il cristianesimo e i movimenti rivoluzionari si danno la mano attraverso la storia. Bisogna soffrire per conquistare il paradiso o per acquisire la coscienza di classe che porterà alla rivoluzione. Senza l'etica del lavoro, la nozione marxista di "proletariato" non avrebbe senso. Ma l'etica del lavoro è un prodotto del razionalismo borghese, lo stesso prodotto che ha consentito la conquista del potere da parte della borghesia. Il corporativismo risorge attraverso le maglie dell'internazionalismo proletario. Ognuno lotta all'interno del proprio settore. Al massimo stabilisce contatti (attraverso i sindacati) con i settori similari degli altri paesi. Alla monoliticità delle multinazionali si contrappone la monoliticità delle centrali sindacali internazionali. Facciamo la rivoluzione, ma salviamo la macchina, lo strumento di lavoro, l'oggetto mitico che riproduce la virtù storica della borghesia, diventata adesso patrimonio del proletariato. L'erede dei destini della rivoluzione è il soggetto destinato a diventare consumatore ed attore principale dello spettacolo futuro del capitale. La classe rivoluzionaria, idealizzata a livello di destinataria delle sorti dello scontro di classe, svanisce nell'idealismo della produzione. Quando gli sfruttati vengono rinchiusi all'interno di una classe, si sono già confermati tutti gli elementi dell'illusione spettacolare, gli stessi della classe borghese. Per sfuggire al progetto globalizzante del capitale, gli sfruttati hanno solo la strada che passa per il rifiuto del lavoro, della produzione, dell'economia politica. Ma il rifiuto del lavoro non deve essere confuso con la "mancanza di lavoro" in una società basata sul lavoro. L'emarginato cerca lavoro. Non lo trova. È spinto verso la ghettizzazione. E' criminalizzato. Tutto ciò rientra nella gestione complessiva dello spettacolo produttivo. Occorrono al capitale, sia i produttori sia i non garantiti. Solo che l'equilibrio è instabile. Le contraddizioni esplodono e procurano crisi di vario tipo, all'interno delle quali si gestisce l'intervento rivoluzionario. Quindi, il rifiuto del lavoro, la distruzione del lavoro, è l'affermazione del bisogno del non-lavoro. L'affermazione che l'uomo può autoprodursi e autoggettivarsi attraverso il non-lavoro, attraverso le sollecitazioni di vario genere che il bisogno dei non-lavoro gli procura. Vedendo il concetto di distruzione del lavoro dal punto di vista dell'etica del lavoro, si resta interdetti. Ma come? Tanta gente cerca lavoro, è disoccupata, e si parla di "distruzione del lavoro" ? Il fantasma luddista emerge a spaventare i rivoluzionari-che-si-sono-letti-tutti-i-classici. Lo schema dell'attacco frontale e quantitativo alle forze del capitale deve restare identico. Non importano i fallimenti e le sofferenze del passato, non importano le vergogne e i tradimenti. Ancora avanti, sostenuti dalla fede in in giorno migliore, ancora avanti! Per spaventare i proletari, e spingerli nell'atmosfera stagnante delle organizzazioni di classe (partiti, sindacati e movimenti reggicoda), basta far vedere in che cosa annega oggi il concetto di "tempo libero", di sospensione del lavoro. Lo spettacolo delle organizzazioni burocratiche del tempo libero è fatto apposta per deprimere le immaginazioni più fertili. Ma questo modo d'agire non è altro che copertura ideologica, uno degli strumenti della guerra totale che costituisce la base dello spettacolo complessivo. E' il bisogno di comunismo che trasforma tutto. Attraverso il bisogno di comunismo il bisogno del non-lavoro passa dal momento negativo (contrapposizione al lavoro), al momento positivo: disponibilità completa dell'individuo davanti a se stesso, possibilità totale di esprimersi liberamente, rottura di tutti gli schemi, anche di quelli considerati fondamentali e ineliminabili, come lo schema della produzione. Ma i rivoluzionari sono uomini ligi ed hanno paura di rompere tutti gli schemi, compreso quello della rivoluzione, se questo - in quanto schema - costituisce un ostacolo alla piena realizzazione di quanto il concetto promette. Hanno paura di trovarsi senz'arte nè parte. Avete mai conosciuto un rivoluzionario senza un progetto rivoluzionario? Un progetto ben definito e chiaramente esposto alle masse? Che razza di rivoluzionario è colui il quale pretende di distruggere lo schema, l'involucro, il fondamento della rivoluzione? Colpendo i concetti di quantificazione, di classe, di progetto, di schema, di missione storica, ed altre simili anticaglie, si corre il rischio di non avere nulla da fare, di essere obbligati ad agire, nella realtà, modestamente, come tutti gli altri, come milioni di altri, che la rivoluzione la costruiscono giorno per giorno, senza attendere il segno di una fatale scadenza. E per fare questo ci vuole coraggio. Con gli schemi e i giochetti quantitativi si è nel fittizio, cioè nel progetto illusorio della rivoluzione, ampliamento dello spettacolo del capitale; con l'abolizione dell'etica produttiva si entra direttamente nella realtà rivoluzionaria. Lo stesso parlare di queste cose è difficile. Perché non avrebbe senso parlarne attraverso le pagine di un trattato. Mancherebbe l'obiettivo, chi cercasse di ridurre questi problemi ad un'analisi completa e definitiva. La forma migliore sarebbe il discorso simpatico e leggero, capace di realizzare quella sottile magia dei giochi di parole. Parlare seriamente della gioia è veramente una contraddizione.
Le notti di estate sono pesanti. Nelle
piccole camere si dorme male: è la
Vigilia della Ghigliottina (Zo d'Axa)
Alfredo Maria Bonanno, La gioia armata, IV.