venerdì 21 settembre 2012

Il muro di Livorno


Siccome Livorno la conosco parecchio bene, non sono assolutamente prono a nessuna mitologia sul suo conto. Livorno non è fatta solamente di brigate autonome, di vernacolieri, di fantasiose e poetiche scritte sui muri, di beffe con le teste di Modigliani e di "ribelli" più o meno partoriti dall'immaginazione; Livorno ha, invece, la sua cospicua dose di dementi, di stronzi, di fascisti, di razzisti, di palloni gonfiati, di allenatori del Milan, di schermidori carabinieri, di desolanti conformisti, di intolleranti e prepotenti, di giovincelli e giovincelle che vogliono andà in Amèria a fare i cervelli di gallina in fuga. Non so se avete mai conosciuto un tipico ragazzotto livornese tutto sport e muscoloni; conoscerne anche uno solo e sentirlo aprire bocca e ragionare fa immediatamente (e pesantemente) rivalutare i pisani. Se vi recate a Livorno in preda a miti variopinti, in cerca della sospirata oasi in questo rio tempo, vi avverto: rischiate di restare parecchio delusi. Vi credete magari di incontrare dei piericiampi nelle osterie, ed è più probabile che incontriate gente che inveisce a gratis contro i negri e i finocchi davanti a un litro di vino (o di cocacola). Però inveisce in livornese, e allora ridete e andate in sollucchero. Se proprio vi interessa, quindi, Livorno andrebbe cercata altrove; magari per rendersi conto di una non leggera tragicità di quella città, della sua immensa tristezza sotto varie patine, e di certe, vere, follie creative che vengono sempre meno allo scoperto. Non è certo, la mia, la solita tiritera sulla "Livorno che non c'è più"; a dire il vero, non sono sicuro nemmeno che ci sia mai stata. Ed è così che le voglio un bene senza fine, che non verrà mai meno anche se a starci non tornerò mai più; è così che ho imparato a individuare quel che c'è per davvero, che resiste e che non si piega. 

Ieri, per esempio, a Livorno qualcuno ha deciso di ricordare al vasto mondo che esiste una cosina che si chiama Equitalia. Dopo la mandata di pacchi bomba, di irruzioni e di altre azioni dimostrative nei mesi scorsi, la questione Equitalia sembrava essersi un po' assopita; da un lato le levate di scudi da parte delle istituzioni, e dall'altro la solita, immancabile repressione. Nel frattempo, Equitalia ha continuato a fare quel che ha sempre fatto; impeterrita, implacabile, senza tregua. Ieri, a Livorno, la stessa sede di Equitalia che, lo scorso 12 maggio, era stata fatta oggetto di un gravissimo attentato seguito da paure, perquisizioni, indagati, anarcoinsurrezionalisti, denunce e arresti è stata nientepopodimento che murata. In pieno giorno, con tre belle file di mattoni e calcestruzzo portati con un carrello del supermercato, e mentre dentro c'erano ancora alcuni dipendenti, vale a dire i famosi onesti lavoratori le cui famiglie e i cui iPad vengono sostentati mediante lo strozzinaggio quotidiano, scientifico e ragionato per conto dello Stato e delle sue varie amministrazioni.

Ora, è bene che io sia chiaro; anzi, non fraintendibile. Io sostengo che, per ora, contro Equitalia sia stato fatto troppo poco, ivi compresa quest'ultima azione dimostrativa livornese. Sostengo che, prima o poi, Equitalia -prendendo tutte le necessarie precauzioni per non recare alcun danno ad innocenti- dovrebbe essere fatta data alle fiamme. In certi casi, laddove la cosa presenti ampi margini di fattibilità e sicurezza, anche fatta saltare in aria, e non con raudi fischioni. La figura del "suicidato per Equitalia" dovrebbe essere finalmente sostituita con l'Equitalia in macerie; e a chi starà già puntandomi il ditino dicendo che sono un "violento", rispondo che la violenza di tutti i giorni, e di quella dura, magari ce l'avete già nella cassetta della posta o vi sta arrivando a casa portata da qualcuno in motorino. E ve la stanno spedendo non soltanto Monti o Befera, ma anche tutte quelle brave decine di onesti lavoratori il cui salario è prodotto, consapevolmente, da tutto questo. La disoccupazione ne dà parecchi, di bei mestieri; non soltanto quello del carabiniere o del secondino. Dà anche quello, spesso a tempo indeterminato, di vostro assassino per una multa non pagata, per un balzello deciso dal Comune, per un aumento abusivo delle tariffe dell'acqua, per centinaia di altre cose con le quali lo Stato ci uccide. Poi, però, mettono in atto le umanizzazioni, persino il sostegno psicologico; vale a dire, vi roviniamo per sempre però vi aiutiamo ad accettare serenamente di non esistere più per il bene della Patria.

Detto questo, in quel che è successo ieri mi sembra di rivedere un po' della Livorno scevra dalle pastoie "mitologiche", e terribilmente concreta suscitando, nel contempo, allegria. Anche perché non è certamente una cosa priva di rischi; per tre file di mattoni e un po' di calcestruzzo si trova ovunque un Gip pronto ad affibbiarti una sfilza di reati buoni per poco meno che la ghigliottina. Mi vedo già l'interruzione di pubblico servizio, ad esempio; e visto che c'erano dentro gli onesti lavoratori, perché non ipotizzare anche il sequestro di persona? Non si vorrà mica che dei dipendenti stanchi per la quotidiana fatica scavalchino il muro di Livorno, no? Chissà che facce avranno fatto, ricordandosi magari del perché sono lì, e che cosa fanno tutti i giorni. E perché sono odiati da tutti, indistintamente, senza remissione.

Penso con particolare piacere, poi, ad una particolare categoria di dipendenti pubblici, non solo di Equitalia. A tutti gli "anarchici", a quelli che "volevano fare la rivoluzione", ai "reduci" da qualche anno compreso tra il '67 e il '77 che si sono ben sistemati nelle varie agenzie di quello Stato che poi, dalle loro gran pagine Facebook o dai loro blògghi, dicono di voler "distruggere" assieme al "lavoro" e a tutti i pilastri della società capitalista. Ci hanno, questi signori e queste signore, sempre il pretesto bell'e pronto: "non conta il modo in cui si prende soldi per campare" è uno dei più frequenti. Orari comodi, lavoro non propriamente da spaccarsi le ossa, stipendio assicurato; qualcuno dà persino ad intendere di fare l' "infiltrato all'interno del sistema", cosa altamente raccomandabile perché permette di "rendersi meglio conto dei meccanismi"; è difficilmente immaginabile il numero di rivoluzioni quotidiane, di guerredispagna, di situazionismi, di ricordidiqueglianni, di ponderose riflessioni, di copiaincolla, di hansmagnusenzensberger e guydebordi, di interminabili diatribe feisbuccare e di quant'altro proveniente dai computer e dalle reti aziendali. Va da sé che, non di rado, proprio da codesti "anarcostatali" si leggono sorprendenti quanto accorate difese dall'apparato della tassazione e delle entrate, ironie e sarcasmi contro le azioni rivolte ad Equitalia, sdegnose indifferenze e scomuniche. Contro queste persone io mi considero in guerra permanente. Devono scomparire dalla faccia della terra assieme alle loro "storie" di merda, ai loro "sogni", alle loro invettive, alle loro "durezze e purezze" non abbastanza dure e pure per non passare dalla cassa a riscuotere lo stipendio erogato da uno Stato di merda o da un'amministrazione di cravattari.

Cari i miei cocchi, care le mie cocche, siete odiati e odiate anche voi, al pari dei vostri colleghi che magari votano per Pierferdinando Casini. Al pari di quelli che non sopportate. Siete odiati e odiate anche se ve ne state per conto proprio. Anche se, nell'organizzazione aziendale, dite di occuparvi di "tutt'altro". O non siete voi, poi, che cantate "Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti?" Capisco che abbiate una paura fottuta, un giorno, di esplodere assieme a tutti quanti; magari proprio mentre state scrivendo di quel che avete fatto nel '72, o di Severino Di Giovanni mentre "gestite una rete": Serverino Di Giovanni. Quelle tre file di mattoni messe su a Livorno stanno a ricordarvelo, dal ministro fino al direttore di agenzia e all'impiegato qualsiasi. Stanno a ricordarvi che avete il fiato sul collo, indifferentemente da chi siate o siate stati. Il muro di Livorno è il muro che, in una bella giornata di fine settembre, vi fa capire quanto siate soli, separati, disprezzati. E tenetevi tutto questo, maiali.

Ribellarsi per non suicidarsi? Per morire c'è tempo, intanto scegli la lotta!