martedì 4 settembre 2012
I miss you baby
Si riferisce a questo.
Dicono fosse al tempo in
cui pareva esserci rivolta
sull'altra sponda del
Mediterraneo;
pareva, oppure c'era,
oppure ancora
c'era e pareva al tempo
stesso,
duecentocinquanta volti
e cinquecento mani
e cinquecento piedi
e cinquecento occhi.
Saliti su quattro cose
nascoste dall'imperfezione lessicale
(parole come “natanti”,
o “imbarcazioni”),
via da ogni cosa, dalla
tirannia come dalla rivolta,
ed è una cosa che avrebbe
dovuto
essere considerata con
maggiore attenzione.
Via dalle assenze e dalle
presenze.
Via dal gelo dell'immobile
e via dal fuoco del cambiamento.
Via e basta;
il solito mare.
Passa per caldo, il
Mediterraneo,
ma è un mare freddo e
tempestoso.
Scappavano e basta.
Noi, per cui la fuga ha
quell'insopportabile
retrogusto di romanticismo
misto a rifiuto esistenziale,
oppure cui attribuiamo
insalate di futuro
condite con l'olio guasto
dell'economia.
Noi che vogliamo sempre
scappare col cervello e le ricerche,
con i laboratori, le
biblioteche, i fondi;
altrove si scappa soltanto
col corpo perché
si percepisce di non aver
più nemmeno quello,
ammazzati sui bordi di
luridi bar con musica a tutto volume
di città e villaggi
oscurati da un vento polveroso.
Odori di pomodori e madri
spossate.
Bibite analcoliche
dolciastre e insetti.
Qualche striscia di costa
a disposizione di noialtri stupefatti,
ed entroterra più
distanti di Plutone.
Si scappa di là perché
non c'è più altro da fare,
si scappa da una pace di
morte come si scappa dalla guerra.
Si scappa dalla
medenocrazia,
dalla dittatura del niente
che attraversa regimi e rovesciamenti.
Si scappa dalla magrezza
scheletrita
o dall'obesità di cibi
spazzatura.
Si scappa da agricolture
di sabbia,
da salse piccanti spalmate
sulla corrosione velenosa,
da deserti che ancor prima
che geografici
sono dentro, interni,
endocrini.
Si scappa per motivi che
noialtri
non possiamo né vogliamo
conoscere,
anche se ci si compiace
nel formulare complesse
ipotesi geopolitiche,
quelle in cui la fame è
spiegata con gli accenti al giusto posto
da chi ha appena letto con
gusto la rubrica gastronomica alternativa.
E, poi, la dittatura della
fame.
A chi scappa di là,
sembra essere riservata
soltanto la fame.
Al massimo, sì, un po' di
guerra
(la guerra aggiunge
sapore).
Milioni di persone non
possono
scappare altro che da
questo;
e si noti questa bizzarra
differenza.
Noialtri abbiamo il
diritto di scappare
per ogni più recondita
insoddisfazione;
si può scappare
(con la massima comodità,
va detto)
da una laurea non messa a
frutto,
da un lavoro andato a
male,
da una situazione
familiare,
da un primo ministro che
non ci piace,
dal disgusto di essere
italiani francesi tedeschi spagnoli inglesi svizzeri,
da rivoluzioni che si
credeva di fare a vent'anni
da errori,
da carceri misurate al
ritmo di repressioni democratiche,
da tutte queste e da mille
altre cose;
basta attraversare un
semplice mare non oceanico
e si può scappare
soltanto per fame e guerra.
Altra possibile causa non
è data.
Non si riconosce nessun
altro motivo plausibile;
se sei tunisino, algerino,
marocchino
devi scappare soltanto
dalla fame e dalla guerra.
Ti consideriamo un essere
elementare
dotato soltanto di bisogni
primari.
Là a quello schifoso bar
coi tuoi amici
non puoi provare
nient'altro che fame;
e che vorrai, pensare a
Kierkegaard o alla borsa di studio?
Non vorrai mica essere in
preda allo spleen baudelairiano?
O, peggio, essere dotato
di disperazioni che non si riducano allo stomaco?
La povertà, ci piace, a
noialtri,
estenderla ad ogni
molecola d'umanità lontana.
Ci sono anche quelli che
per accidenti del destino
per qualche mese, un anno,
un viaggio
sono venuti a contatto con
quei mondi
e si sentono allora
autorizzati
a fabbricarsi passioni e
autorevolezze
(da usare, naturalmente,
una volta tornati a casa,
per tutta una serie di
polemiche, scomuniche, maledizioni,
canzoni, articoli, blog,
libri ed altri paraphernalia similari.)
E allora la povertà e le
sue fughe
diventano una specie di
salvezza del mondo,
di sistema infallibile per
mettere a tacere avversari evanescenti
e per dimostrare tutta la
nostra
inarrestabile decadenza.
Professoresse di Milano
trasferite al Cairo
che se ne servono per
invettive quotidiane;
“valori dimenticati”
distribuiti a rondemà;
“oasi di pace”,
schieramenti, esposizioni,
appelli, ipotesi,
bombardamenti,
internazionalismi indomiti
dal Quadraro o dal Giambellino.
Intanto, quelli continuano
a scappare.
Naturalmente per fame
e per tutta una, peraltro
ristretta,
serie di necessità cui è
rigorosamente
vietato
allontanarsi da quelle che
abbiamo deciso per loro.
Si tratta dell'ultimo e
più profondo
stadio del colonialismo,
perché lo abbiamo tutti
quanti.
Non ce ne stacchiamo
nemmeno per sbaglio.
Così duecentocinquanta
affamati per forza
arrivano a un molo
notturno o a una spiaggia,
montano sul natante
o sull'imbarcazione
e
scompaiono.
Scompaiono
perché gli affamati,
naturalmente,
non
possono avere un nome;
torme
di Mohamed, di Ibrahim, di Ismail,
e
altro è dire Maometto, Abramo, Ismaele.
Da
una parte i barconi, dall'altra i libri sacri.
Scompaiono.
Possono
essere sbarcati da qualche parte
come
essere in fondo al mare,
anzi
non essere oramai più niente.
Non
sono niente in ogni caso.
Il
loro cervello in fuga può servire al massimo
da
massa di nutrimento per i pesci.
Oppure
sbarcare nella Sicilia meridionale
e
perdersi nelle città e nelle campagne,
tra
rosarni e quarti oggiari qualsiasi,
affiorando
a volte da un coltello, da una panchina assiderata
o
dalla campagna elettorale di un borgomastro.
Epiteti
generici:
i
“disperati”, le “donne incinte” e, naturalmente,
i
bambini.
Non
possono mancare,
ma
regolarmente un paio d'anni dopo,
le
attente inchieste giornalistiche;
scomparsi.
Missing.
I
miss you, baby.
Duecentocinquanta
sparizioni
nelle
civiltà di chi scriveva
che
ogni morte diminuisce;
nei
paesi dove il poeta invita
a
non chiedersi mai per chi suona la campana;
ma
forse anche la campana è scappata altrove.
Si
ignora e basta.
Non
si sa se affonda o sbarca.
Se
sbarca, ci sono dei luoghi
dove
all'improvviso non contano più nemmeno la fame e la guerra,
dove
vengono annullati persino quei due motivi elementari
per
sostituirli con l'ordine la sicurezza e la galera.
E
magari Ibrahim era scappato
perché
era stufo del solito bar
e
voleva vedere Venezia.
E
magari Mohamed
era
scappato
perché
Fatma lo aveva piantato per Ibrahim,
e
delusioni d'amore e fughe
vanno
assieme da sempre.
E
magari volevano vedere Venezia o dimenticare Fatma
con
addosso una gran fame;
e
magari quello che vedi là
è
Ismail o Ibrahim che si mangia un kebab in centro.
E
magari
l'ultimo
pensiero prima di scomparire nel mare nero
è
stato a quelle due righe di Omar Khayyam lette in traduzione;
o
magari a quella canzonetta americana,
che
dice
I
miss you baby
I
miss you baby now
I
miss you baby
where
are you
where
are you now
where
are you.