venerdì 21 settembre 2012
Una vignetta
Ho dirazzato. Nel senso che mio padre era parecchio bravo con matite, penne e disegni; io, invece, saprei a malapena disegnare la casina con l'albero e il comignolo che fuma. A dire il vero, nella mia vita mi è mancata ben di più la mia altrettanto grande incapacità musicale; però, stasera, avrei voluto saper disegnare un po'. Per fare una vignetta su me stesso.
Mi sarei raffigurato esattamente come mi si vede nella foto sopra, scattatami esattamente un anno fa nel reparto di terapia intensiva, sezione "San Luca", del policlinico di Careggi (Firenze). Con tutti gli elettrodi, i sondini, le agocannule, l'apparecchio della pressione fisso al braccio e gnudo come un verme (però penso francamente di essere un po' meno affascinante di Kate Middleton).
Da mio padre ho dirazzato sí quanto al disegno, ma non per la passione per l'enigmistica: parole crociate, rebus, sciarade, tutto quanto. Me l'ha attaccata lui fin da quando ero bambino. Si noti, al mio fianco sul tavolinetto, tutto l'armamentario che mi porto sempre dietro, ivi compreso nelle terapie intensive: astuccio con penne, gomme, bianchetto e matite e paccata di Settimane Enigmistiche. E non ho tema alcuna di dire che sono, in questo campo, pressoché imbattibile.
Nella vignetta mi si sarebbe visto, quindi, in compagnia della Nera Signora, proprio lì nel reparto dove ero ricoverato. Le avrei sventolato sul naso (naso si fa per dire) un Bartezzaghi appena risolto in cinque minuti o giù di lì, con arietta a presa di culo.
Lei, invece, sarebbe stata raffigurata parecchio incazzata mentre butta per l'aria la sua copia della rivista con lo stesso schema ancora mezzo vuoto, esce dalla stanza e mi urla: La prossima volta però porto la scacchiera, stronzo!
E così è passato un anno. Senz'altro, prima o poi tornerà e bisognerà pur farla quella partita a scacchi; e non ci sarà storia. Non mi ricordo nemmeno come si muovono i pezzi, e se l'alfiere va a destra o a sinistra del cavallo. Però, intanto, un anno fa la Signora non sapeva come si chiamava il grande gastronomo francese di 14 lettere, e il fiume del Galluzzo di tre. Per non parlare del rebus stereoscopico; e bòrda in culo!