1a puntata.
La vach', quanta polvere.
Però stavolta mi sono organizzato, perdiana. Sono arrivato al porto di Piombino con un borsone pieno di prodotti per la casa, immaginando cosa si dovesse, in tutti questi anni, essere accumulato sui vetri, sui mobili, sugli strumenti di controllo, sulla radio. Sempre, comunque, costantemente accesa; solo che dovrà essere, forse, riprogrammata. Era rimasta sintonizzata su un canale che non esiste più oramai da anni e anni, o che deve aver trasmesso soltanto articoli del codice civile o roba del genere; bisognerà che orienti altrove l'antenna aerea e il mantova. Dovrò anche potenziarla, perché è possibile che i segnali mi debbano arrivare da molto, molto lontano. La prossima volta che mi capiterà di dover stare un po’ al faro di Palmaiola, lo giuro sul sacro nome di Antognoni, dovrà essere al massimo per una pescivendola di Collesalvetti o per una manicure di Vada.
Al porto, su un moletto laterale quasi dimenticato, riconosco il cabisconqua, il cabinato sconquassato, il vecchio “Grinta”. Nella mia testa uso un linguaggio tutto mio, tutta una serie di acronimi, di parole inventate, di ardite metatesi, di incroci metalinguistici…e mi chiama una voce decisamente familiare:
“Dé caàta, ti pareva che ‘un ci risei ‘òlle tu’ borse! O stavolta che lingua studi? Ir birmano?”.
“Dé, lulì…o ‘un dovevi èsse’ sull’Arrivederci, te…?”
“E se la comandino un po’ quella banda di raccattati, l’Arrivederci…a proposito, ma non avevi cominciato a scrivere il seguito di quel che fanno…?”
“Sì, sì…però…boh, magari ricomincio fra qualche giorno al faro. Di tempo ce ne avrò, mi sa…”
“Te la se’ portata la robba pe’ pulì…ci so’ stato tre giorni fa, con la polvere che c’è ci potresti imbottì' du’ materasse matrimoniali…però t’ho fatto una sorpresina, caàta ar cubo che ‘un se’ artro. Vedrai. Anzi, te n’ho fatte due. Vedrai anche la seconda. Gnamo, monta e guarda d’un volà in mare come t’ha fatto ‘vell’artra vòrta, budellone. E sta' attento alle borse.”
E così rieccomi a bordo del “Grinta”, governato nientepopodimeno che dal comandante Edmondo Dini in persona, detto Mondo, sessant’anni e rotti con du’ bracci che sembrano ancora quercioli e quel paio di baffi che in gioventù devono aver spedito a Palmaiola un bel numero di fidanzati o mariti tanto inconsolabili quanto cornuti. Me ne aveva parlato lui, di quel faro sull’isolotto, evidentemente per esperienza diretta; e così, un giorno, con l'inconsolabilità e le corna d'ordinanza, c’ero arrivato grazie all’avv. Marcello, che da Pescara mi aveva spedito per un po’ a pescare. Un semplice cambio di vocale.
Da allora, avevo deciso che quello fosse il mio posto. Fresco del corso di farista immaginario, mi ero messo appunto a immaginare tutta una serie di cose noiosissime che mi guardavo in realtà bene dal fare; passavo le giornate a grattarmi gli zebedèi, a guardare il mare, a cucinare e a rigrattarmi i cabasisi. Perché, in realtà, la sofferenza –massimamente quella per amore- è noiosissima; la sera, poi, sempre attaccato a quella radio dalla quale provenivano le coordinate delle navi in navigazione, le richieste ai tassì di Genova, la protezione civile, le ambulanze di Livorno…
Una volta, per disperazione, m'ero messo a giocherellare e a fare finte chiamate ai tassì genovesi. Avevo fatto fare a un povero disgraziato una corsa da piazza Caricamento a Voltri, un altro lo avevo spedito in un (peraltro inesistente) vicolo a Boccadasse dandogli l'indirizzo della fidanzata del commissario Montalbano (ce l'avevo a morte con le fidanzate e coi fidanzamenti, in quel periodo, capite). Un'altra volta ancora avevo spedito Zara 11 in un casolare sperduto vicino a Busalla, riuscendo a salvare la vita a una vecchietta sola senza telefono; il tassista era arrivato che questa rantolava, e il Secolo XIX del giorno aveva gridato un po' al miracolo, è un po' al mistero.
Stavolta sarebbe stato molto diverso. Avevo deciso di affrontare la cosa un po' più di petto. Sofferenza? E che sofferenza fosse; m'ero preparato tutto il necessario nutrimento, deciso a scrivere, finalmente, l'immortale capolavoro, quello che finalmente m'avrebbe consegnato alla storia dei remainders. Deciso a mandare finalmente in pensione Gustavo Adolfo Bécquer, la mia opera sarebbe diventata la sommessa bibbia degli sculati in amore, dei crudelment'-piantati, dei derelitti in làgrime; e in uno dei due borsoni m'ero portato tutto l'occorrente per star male. Patire. Gemere nel bujo della solitudine. Così me ne stavo assorto, appena montato sul Grinta, neanche accorgendomi che l'imbarcazione aveva pericolosamente bascullato su un fianco. Mi riscosse la delicata voce di Mondo:
"Budello…dé, ma cosa ciài in quer borsone…? Uranio 'mpoverito…?"
"No…ura che…ciò libri…"
"Libri? Dé famm'un po' vedé…qui sennò artro 'è Parmaiola, qui si va 'n fond'ar mare!…Apri 'n po' ver borsone, te…"
E si fece avanti con fare minaccioso, forte della sua stazza e più che altro di tutta una vita passata in mezzo a certi equipaggini misti il cui membro più innocente s'era fatto sei anni in una galera del Suriname.
"Ti prego, Mondo, TI PREGO! So' libri 'mportanti…"
" 'Mportanti 'sta ceppa di 'azzo! Si va a fondo! Fammi vedé qui…cos'è 'sta roba…? Storia lagrimevole d'un innamorato mandato al gas?…"
"Ma…"
"Ma una sega! A' pesci! "
E la storia lagrimèvole terminò tra i flutti in mezzo al mio disperato "NOOOOOOOOOoooooooo! I' mi' libriniiiii…."
"O quest'artro?… Manuale di patimenti per giòvini lasciati con esercizi pratici di sofferenza?… Via a fa' ir bagno! Bada 'vestooo…La triste vicenda di Guidobaldo e Piergiorgiana…? O cosa sarebbe…?"
" E' la storia di due amanti, lei sposata a un parrucchiere di Campobasso e lui vigile urbano a Termoli…finisce malissimo, con lui che tenta disperato di fare la multa al di lei consorte…"
Mondo restò un attimo col libro in mano, e con un'espressione indefinibile; poi lo depositò in mare con un gesto delicato, senz'altro per una forma di rispetto verso l'infelice amore di quei due disgraziati. Io, oramai rassegnato, me ne stavo a sedere attendendo gl'inevitabili eventi.
"Come sdilinquirsi meglio se lei ti ha lasciato?… Via! Frammenti di un'incazzatura amorosa di Roland Tarthes? 'Ni si fa fa' splàsce! Amori senza fine finiti a puttane? L'epistolario della giovane ragioniera innamorata monacata a forza?…Registro carico e scarico IVA…o questo di cosa parla…?"
"Ah…ecco dov'era finito ché non lo trovavo più dal '95…", dissi non alzando neppure lo sguardo; uno dopo l'altro, tutti i miei strumenti di struggimento, le fonti di quello che sarebbe dovuto essere il mio capolavoro, volarono nel canale di Piombino senza nessuna possibilità d'essere ricuperati. Quand'ebbe terminato, Mondo mi si avvicinò con fare paterno e mi disse:
"Sent'un po', te, fava, ora bisogna 'è ti dìa un par di 'ose."
Gli risposi con un addiacciante silenzio, eloquente quanto un discorso di Mike Bongiorno alla "Ruota della fortuna".
"Te la devi abbozzà. Ogni pòo rieccoti 'vì. Ora pure 'ò libriccini pe' stà male. Ma lo vòi 'apì che così 'un pòi andà avanti, te…? Ora ci penzo io, àrtro che storie. Ma lo vòi 'apì…no, dìo, te ne vai 'n un posto dove si stà meglio der papa e dell'arcivescovo di 'Ostantinopoli mess'inzieme, ciài da mangià, da bé, da fumà, te ne vai a pesca e fondamentalmente 'un fai un cazzo dalla mattina alla sera…"
"Ma quello…"
"Sì, sì, lo so, te 'un t'hà' mai fatto un cazzo dalla mattina alla sera, ma 'nzomma…ma poi te l'ho detto, vedrai 'e sorpresine. E te la do io la storia lagrimevole. A carcinculo ti fo lagrimà' !"
Il Grinta, nel frattempo, liberato dal pesante fardello dei libri sagrificati, aveva riguadagnato il suo assetto; e filava non si sa come, perché comunque sembrava sul punto di affondare anche dieci minuti dopo essere stato varato, verso la sua destinazione. Già si scorgeva Palmaiola nella foschia del crepuscolo; tutto aveva un'aria così familiare e straniata, così prepotentemente solita e inconsueta al tempo stesso.
(1. continua)
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