giovedì 1 novembre 2007

Stasera m'ha aspettato il vento


Cala novembre. Ma stasera, di inquietanti nebbie, come nella vecchia canzone di Guccini che faceva il verso a Cenne e Folgòre, non se ne vedono proprio; tira, anzi, un bel vento. Brioso. Scoppiettante. Neppure freddo. Sono uscito per pochi minuti, prima, e mi ha dato un istante di allegria.

Già lo si sentiva prima di uscire, nell'androne del palazzo; qualche finestra sbattuta, una porta che cigolava nel suo andirivieni. Appena spalancato il portone, una folata ha trasformato quel gesto, talmente usuale da essere automatico, in un ricordo. La genesi dei ricordi è una cosa che, generalmente, sfugge; raramente si ha la percezione precisa che un accadimento possa installarsi nella memoria lunga. Non sto parlando, ovviamente, degli eventi più importanti della propria vita; eventi che, peraltro, a lungo andare possono essere persino dimenticati, o rimossi.

Parlo di insignificanze, di momenti apparentemente banali, di qualunquerie che si succedono in tutti i nostri giorni. Aprire una porta e uscire, ed essere sorpresi da un vento che si vuole inaspettato, sebbene, in realtà, abbia soffiato per tutta la giornata. Capire che quel breve momento si è trasformato in qualcosa che non abbandonerà mai la stanza della memoria, senza che, peraltro, intervenga alcun tipo di decisione.

Essere colti da un attimo, e dallo scatto impercettibile del sovvenimento. Mettere in moto le gambe: si stava uscendo per qualcosa, per comprare le sigarette, per due semplici passi, per incontrare il proprio destino. Una televisione che gracchia il solito fatto saliente è coperta da una raffica d'aria ancor più forte.

E il ricordo appena formato, il ricordo bambino, ne richiama altri; quel pezzo di cartone preso a calci il 24 settembre 1979, a poche ore dal mio sedicesimo compleanno, e trasportato per quasi un chilometro in una sorta di assurda e buffa sfida; persino tornando indietro per un nuovo calcio, se il precedente non aveva sortito l'effetto di far avanzare quell'oggetto.

Non mi ricordo assolutamente per che cosa ero uscito; era un tardo pomeriggio ancora caldo. L'incombenza principale non conta niente; conta soltanto ciò che la mente decide. Decise, allora, per un pezzo di cartone; stasera ha deciso per un soffio di vento nella sera del primo giorno di novembre.

Seduto, qui, mentre scrivo, mi viene da ragionare su una mia bizzarra caratteristica; quella di collegare questi momenti alla data precisa, e di fissarla assieme all'evento. Ma può darsi, in fondo, che sia una cosa più comune di quanto io non creda. Di fronte a cose di questo genere si tende forse a crearsi dei falsi miti su se stessi, a voler essere convinti della propria unicità; quasi mai è così.

E allora è bene attenersi ai fatti. Mi ricordo che, il 18 novembre 1979, raccolsi una foglia che stava cadendo da un albero in via Piagentina. Camminavo per andare, forse, a prendere un autobus; vidi questa foglia che cadeva lentamente, lentamente, piano, descrivendo volute impensabili. Tesi la mano, mettendomi quasi ad inseguirla per farvela atterrare; e la conservai a lungo. E' possibile che, un giorno, il caso mi faccia aprire un libro e che ve la ritrovi.

Sono un po' come Marcovaldo, forse; o, più probabilmente, si tratta di uno dei famosi collegamenti letterari che si mettono in atto, ancora una volta, per credersi unici. In realtà sarei così anche se il Marcovaldo di Italo Calvino non lo avessi mai letto, anche se non sapessi che Italo Calvino sia mai esistito. Semplicemente, sono uno che ricorda e che ai suoi ricordi attacca una data.

Hanno costruito, questi ricordi, quelli pesanti e quelli leggeri, l'edificio della mia vita. Li tengo per il mio maggior tesoro, come riserva cui attingere nei momenti in cui le inquietanti nebbie calano davvero. Ricordi che sono accompagnati da tutta una serie di gesti che, in definitiva, sono dei controlli, uno screening vitale. Controllo di essere vivo, che tutto vada.

Va tutto quanto. Le gambe camminano. La testa è attaccata al collo. Gli occhi vedono. I polmoni respirano. Il cuore batte. La testa ragiona. C'è di che essere soddisfatti. Qualcuno ti starà pensando? Ti starà amando o odiando? Qualcuno starà parlando di te, in quel preciso momento? E tu, a chi o a che cosa stai pensando?

Rendersene conto con onestà. Mi sono colto a pensare al momento in cui, ieri sera, Bobone Vieri ha depositato la palla in rete contro il Napoli. Stavo facendo lo stesso brevissimo tragitto, dalla casa fino al circolo Andreoni. Nulla di più e nulla di meno. Nessuna grande cosa; e, forse, in quell'istante qualcuno o qualcosa ti avrà cominciato a cambiare la vita. Lontano, vicino. Forse addirittura, se volgessi lo sguardo da un'altra parte, potresti vederla; o forse è talmente lontana, oltre il vento, oltre il mare, oltre l'orizzonte. Chi lo sa. Chi vuole saperlo.

Un giorno qualsiasi si uscirà di casa per andare chissà dove; e ti starà aspettando. Pronto ad accoglierti o a cacciarti via, a renderti felice o a farti desiderare di fermarti. Stasera, rendendomi partecipe delle sue discrete particelle di mobilità senza nome, m'ha aspettato il vento.


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