martedì 13 novembre 2007

Back to Palmaiola [2]


Seconda Puntata.

Non ci son certo da aspettarsi grandi attracchi, quaggiù. Si scende dove l'acqua è più bassa, levandosi le scarpe e i calzini, e tirandosi su le gambe dei calzoni fin quasi al ginocchio; ma sì, è tutto uguale. Davanti, quel solito, unico sentiero che mena al faro, ripidissimo, mal curato; in cima, la costruzione. Un'occhiata veloce, di quelle che bastano per individuare i pezzi d'intonaco che sono caduti, la finestra sgangherata, l'abbandono che incede.

"Mondo…"

"Dimmela."

"Ma dentro com'è…?"

"T'ho buttato via 've cazzi di libri, no la robba pe' pulì'. Quella ti ci vole. Così ti dai da fa' e 'un penzi. Dammi retta. Pulisci ammodino, bimbo. Ci potresti dové' restà un bella caàta di tempo, stavorta."

"Dici, eh."

"Dé, stamm'a sentì, un bambolino 'un 'zé' più. Foss'in te me la piglierei dimorto 'òmoda."

"Me la piglierò comoda, che ti devo dì."

"Nulla. Tocca a te. Io devo ripartì subito, lo sai. Però ti devo dì' du' 'ose importanti e stamm'attento."

"So' tutt' orecchi più di Dumbo."

"T'avevo detto di du' sorpresine."

"Sì, me l'avevi detto."

"Ecco. Pélla prima, bisogna 'e tu vada in zalaràdio, tanto la 'onosci. Accanto alla radio ti ciò fatto mètte una 'osa nova, basta tu accenda ir generale prima d'entrà ner faro. L'hanno spostato, ora c'è un gabbiotto dell'ène' cor lucchetto. Tè' la 'iave."

"E che roba nova sarebbe?…"

"Lo vedi da solo, sennò 'unn'è una sorpresa. La seònda sorpresa è a giro."

"A giro?"

"A giro. Anco 'vella la vedi da solo. Prima o poi arìva."

"Boh. Vabòno. Allora tu torni 'ndà e io vo su. Chi viene pélle provviste?"

"Du' vorte ar mese, o io o quarcuno dar Cavo. Fatti trovà sempre."

"Boia, chissà 'ndo devo andà'…"

"Appunto. Gullàcche, bimbo. Dove sai te ci so' sigarette pe' un mese, dianablé delle tue, e ti si riportano 'olle provviste. Stammi bene. Io bisogna 'è vada."

Se ne rimonta sul Grinta, Mondo, per tornare in continente. E ora eccomi davvero qui da solo. Back to Palmaiola. Come avevo scritto una volta, quando ne avevo parlato…?

...Così è stato perché, piano piano, tutto è sfumato di nuovo nella realtà; e, fortunatamente, nella realtà di un nuovo amore. Di quelli che, se un giorno dovesse finire, prenderei di nuovo libri, pentole, grammatiche arabe…

Apro il borsone che m'è rimasto. I prodotti, un po’ sciabordati, hanno fatto schiuma nei flaconi; c'è il novissimo Cristolucido® concentrato della Diotallevi SpA di Fucecchio, lo Sgrassamerd®, lo Scarognavetri® della Pol Pot United, i miracolosi stracci Polvotampax®, non manca nulla. E tre o quattro libri e dei quaderni, il corso di bretone che avevo iniziato qualche anno fa lasciandolo a metà, Yezhadur deskrivadurel ar Brezhoneg modern. M'aveva portato un pochino di fortuna; chissà che, ripigliandolo, non ritorni. Lo compongo in una maniera strana; prima a mano, sui quaderni, con una serie complicatissima di rimandi; poi lo assemblo nel file del computer. Già, il computer. Alla fine non me lo sono portato; e tanto, se ben mi ricordo, al faro c'è a malapena la luce elettrica per mandare avanti il fanale e la radio. Vorrà dire che il corso di bretone me lo farò a mano, come si faceva una volta, eroicamente fuori dal tempo; ho quasi un moto d'orgoglio nel pensarlo. Qualche foto, poi, e ho fatto bene a non infilarle in mezzo ai libri che dovevano servirmi per il capolavoro attualmente già nella pancia di qualche tannuta o boga. Meglio così. Forse non sarebbe stato per nulla un capolavoro. Forse non l'avrei nemmeno incominciato.

E se gli è duro, il sentiero. Me lo faccio con fatica, fermandomi ogni venti metri, senza nessuna indulgenza a cose che pur sarebbero state necessarie per la romantica ambientazione di questa storia, come il rumore del mare, il profumo della macchia, il verso dei gabbiani. Ci ho uno stato d'animo un po' bizzarro, l'unica cosa che avrei voglia di fare –se ne avessi il fiato- sarebbe urlare un cosmico, uno stentoreo, un extrasensoriale

VAFFANCULOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOooooooooooooooooooooo
oooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

….oooo….

…oo…

..o..pure al rumoredelmare, al profumodellamacchia e al versodeigabbiani piccoli e grandi (che in bretone, mi ripasso mentalmente, hanno due nomi distinti: gouelan quelli grossi e labous quelli piccini). Ma passerà domani; domattina mi sveglio, splenderà un bel sole e spalancherò le finestre. Da dominatrice, nel silenzio acuto entrerà la luce; e mi apparirà in tutta la sua magnificenza una coltre di mezzo metro di polvere, che dovrò rimuovere con decisione, tossendo, fumando ogni quarto d'ora (facciamo anche ogni dieci minuti), impiastrandomi come un magnano. Ir bagno. O te l'immagini te in che condizioni sarà ir bagno, dico rivolgendomi con aria sarcastica a un pruno caprino che, gentilmente, annuisce inchinando un paio di spine con fare signorile. Bisogna abituarsi a saper parlare con le piante, in un posto del genere; sono compagne preziose, discrete e molto sagge. Ci si fanno anche dei bei discorsi, anche se c'è pianta e pianta; ci sono ad esempio dei mirti che a volte fanno sputare del sangre.

Così salendo s'arriva al famoso gabbiotto col lucchetto. La chiave. Ecco. Dove cazzo l'ho messa? Ma budellaccia dell'eva impestata…

"Ehi !"

Ma toh. 'Ste piante di Palmaiola. Ora si sono messe pure a parlare e a dire "ehi". Mi volto piano verso il pruno caprino di prima, che però mi guarda con fare interrogativo quasi a dirmi che diavolo voglio, ché lui parla muovendo le sue spine e "ehi" non si permette di dirlo a nessuno.

"Ehi, la chiave! T'è scivolata lì a destra, pirla!"

E infatti è proprio lì, quella majala di chiave, sul ciglio del sentiero, a destra; ai miei piedi, con un sorrisetto a presa di culo, un gatto. Un gattone nero come la pece, con due regolari occhiacci di gatto, un par di baffi che sembrano ondeggiare al triste vento come le cetre alle fronde dei salici, e una coda messa a punto interrogativo che una volta –una volta- sapevo cosa voleva dire nel gergo de' gatti. Assumo un'aria totalmente ebete, e sono bravissimo a farlo. Raccolgo la chiave.

"Stacci attento la prossima volta, neh…"

"E tu chi ccckazzo sei….?"

"Ma come chi ccckazzo sono, baùscia…? Sono la sorpresina a giro, eh eh eh…!"

"Senti, Mondo, falla finita e sorti fuori. E smettila di parlà' milanese. Grazie pe' ir gatto, mi tiene 'ompagnia, ma ora…"

"Uè bellezza. Mondo è ripartito e magari non torna fino a mardzo. Un po' di rispetto se ti parlo, guarda che io sono buona e brava ma su certe cose sono intollerante. Sei avvertito."

"E tu…saresti chi…o saresti cosa…? Un gatto parlante…?"

"Per servirla, signor cuore solitario. Una gatta parlante, e che sa parlare pure benino. Il tuo amico Mondo m'ha fatta venire qui a tenèrti un po' di compagnia, dato che alla tua età…"

"Ehi, ehi, gatta parlante, sta' 'armina. Come sarebbe a dire, alla mia età…?!?

- Sarebbe a dire che, alla tua età, se resti solo più di tre giorni t'impicchi alla prima trave e qui è pericoloso. Se t'impicchi va anche bene, dato che sei un pirla, ma se si spèzza la trave crolla tutto il faro. Quindi sono qui…anch'io, sai, ci avevo bisogno di cambiare aria…"

"Ma tu, signorina, da dove arriveresti…?"

- Non importa che ti dica da dove arrivo. Arrivo da un posto dove noialtri gatti si parla. Non si suole più fare una carezzina a un gatto, quando s'incontra? Un grattino?…"

Ci avrei voglia di fargli, pardon, di farle presente che nello stupore della circostanza m'ero dimenticato di questa elementare norma di educazione nei confronti di un felino. Con espressione sempre più imbecille mi chino a carezzarle la testa e a farle un grattagratta sotto la pancia; ha un pelo morbidissimo, vellutato. Accenno ad un sorriso:

"Signora gatta, mi scuso per averle mancato di rispetto e debbo dirle che ha un bellissimo pelo. Davvero tutti i miei complimenti."

"Eh, costa tenèrselo a posto, il pelo. Io uso solo shampoo Miausch, bisogna che tu lo sappia. E crema per gatti Feliclarins…"

Annuisco compunto. Questa mi sta pigliando per i fondelli. Lo sciampo Miausch e la crema Feliclarins.

"… e il balsamo naturale fatto a mano della Strush alla jojoba, olio di datura stramonium e semi di erba gatta!"

Questo è troppo. La piglio per la coda. Mi becco un graffio che mi convince all'istante della jojoba e pure dell'olio di datura stramonium.

"Uè, non ci provare più."

Per cavarmi fuori dall'impiccio, cerco di cambiare discorso. Sì, è la cosa migliore.

"Ma senta (continuo a darle del lei, non si sa mai), almeno potrei sapere il suo no…?"

"Bella roba, sì, bella roba. Ma guardalo tu il gran sapientone, quello che si vanta di aver letto l'Old Possum's Book of Practical Cats nell'originale, a chiedere il nome a un gatto!"

Ed eccomi servito. Pure The Naming of Cats.

"Mi scu-scu-scu-si ancora. E' vero. Voialtri gatti ci avete il nome ineffabile-effabile-effanineffabile che sapete solo voi, che non direte mai a nessuno e al quale pensate quando sembrate guardare assorti ("Per me Thomas Stearns Eliot dovevano rinchiuderlo al manicomio e buttare via la chiave", mi sorprendo a pensare per un lunghissimo millesimo di secondo). Ma almeno potrei sapere qual è il suo nome con il quale un volgarissimo umano qual sono potrebbe ardire di rivolgersi all'eccellentissima signoria vostra?"

"Pampalea, caro il mio umano. Puoi chiamarmi Pampalea."

"Pampalea. Curioso nome!"

"Ancora una volta mi stupisci. L'esperto conoscitore di settecentoottantadue lingue…dovresti sapere cosa vuol dire, il mio nome! Su che non è difficile!"

E così mi costringe pure a pensare che cosa voglia dire, per non farci la più cacina delle figure; a un tratto, l'illuminazione.

"Pampalea come "Antichissima"…? Παμπάλαια ?"

"Oooh !! Vedi che allora ogni tanto ci arrivi alle cosette! Proprio così, sai. Sono antichissima. E ora, magari, visto che ti avrei fatto ritrovare la chiave, apri il gabbiotto, accendi l'interruttore generale e entriamo nel faro che mi sento la voglia di ciugnare qualcosina…"

Obbedisco all'istante. Qualcosa mi dice che questo soggiorno a Palmaiola non sarà uguale a quello precedente. Qualcos'altro mi dice che quei disgraziati dell'Arrivederci mi devono aver giocato un tiro mancino che ancora non mi riesce comprendere nella sua interezza; ma me li immagino a sghignazzare alle mie spalle. Bella gratitudine! Io mi addanno due mesi a rimetterli tutti assieme, a farli incontrare a Fetovaia, a spedirli in giro per il mondo a divertirsi e a portare scompiglio, e quelli che fanno? Aspettano che, per l'ennesima volta, io mi ritrovi a Palmaiola per farmi 'sto scherzo da prete. La gatta Pampalea. Tiro su l'interruttore generale, e nel crepuscolo il faro s'illumina all'improvviso, gettando un fascio di luce che mi sembra assumere la forma d'un vago, indefinito, allegrissimo male di vivere.

(2. Continua)

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