Siccome in certe sere (e notti) non si ha più la benché minima voglia di questo tempo presente, vado a raccontarvi una poverissima e banalissima storia avvenuta nell'anno 1158 nelle campagne intorno a Volterra. E' una storia in gran parte da immaginare, perché di essa non ci restano che poche frasi spezzettate e disperse in due documenti giudiziari. Se si esclude la controversa Postilla amiatina, probabilmente anteriore, queste poche frasi sono però la più antica testimonianza scritta di un volgare toscano; e siccome è una storia di poveracci, è anche la prima volta che compare per iscritto il verbo "mangiare". Non ho ovviamente nessuna pretesa che interessi a qualcuno; mi va semplicemente di raccontarla.
Le cosiddette Testimonianze di Travale sono state studiate e analizzate da un grande studioso fiorentino, Arrigo Castellani; il quale, pensate un po', per un certo periodo ha insegnato all'Università di Friburgo. Ma le questioni linguistiche più specialistiche non interessano questa storia; la quale risulta da due pergamene scritte da un giudice chiamato Balduino, conservate presso l'Archivio Vescovile di Volterra, e riguardanti una controversia sorta fra il conte Ranieri d'Ugolino Pannocchia (detto semplicemente "Il Pannocchia") e Galgano, vescovo di Volterra. Una questione di proprietà: si tratta infatti dell'appartenenza o meno di certi casolari siti a Travale (che si trova vicino a Massa Marittima, in piene Colline Metallifere) al conte o al vescovo (o meglio, a un suo vassallo di nome Gerfalco). Non si sa esattamente se i casolari fossero o meno abitati; fossero stati abitati, sarebbero appartenuti al vescovo o al conte anche i relativi contadini. Non se ne fa però menzione alcuna.
Comunque sia, la lite va avanti per anni, tra un cavillo e l'altro; finché il giudice Balduino non si risolve, laus Deo, a far la cosa più ovvia: interrogare contadini e guardiani della zona. Il volgo, insomma. La plebe. Ciò comporta una cosa di non poco conto: i servi della gleba, gli zappalaterra, non parlano il latino (peraltro orrendo) in cui vengono redatti tutti i documenti ufficiali. Bisogna dunque trascrivere in qualche modo quel che dicono in volgare; quasi tutti i documenti più antichi dei parlari italiani hanno questa origine, ivi compresi i famosi "Placiti capuani" (Sao ko kelle terre...) degli anni 960 e 961. Vengono dunque invitati a deporre in tribunale, dinanzi al giudice Balduino, sei boni homines et legales (ovvero dei brav'òmini d'età adulta), tutti ingaggiati dal conte Pannocchia e convinti a deporre in suo favore, contro il vescovo. Gli è che, formatosi circa un anno prima un collegio arbitrale, questo aveva emesso un lodo che assegnava i casolari e le terre circostanti al vassallo vescovile Gerfalco; il conte non si rassegna e desidera farlo rivedere.
I sei contadini si presentano, e forse ce li dobbiamo immaginare coi loro soli stracci, con il loro puzzo e con le loro croste mentre entrano nel Palazzo. Oppure, chissà, è solo quello che ho in testa senza nessun fondamento; in ogni caso, uno ad uno sono invitati a parlare per dire la loro, vale a dire quello che il conte Pannocchia ha ordinato loro di dire. Magari ci scappano due sacchi di farina, e due sacchi di farina fanno sempre il loro. Qui cominciano le sei testimonianze di Travale. E' meglio riportarle nell'originale, ché tanto si capisce bene. Dice più d'ogni altra cosa. Qualcuno penserà d'esser di fronte al linguaggio dell'Armata Brancaleone; e non ha torto.
a. Quorum primo Berardinus quondam Tebaldi testatur de curte de Travale esse sicut: territorium mascie de Castagneto tenet de antiquo, quod primo habuit Andreas Starna qui Nappaio vocabatur; de mascia Montanina dicit quod est de curte de Travale antiquum, scilicet eius quod Martinus Cavalieri tenuit.
b. Viventi quondam filius, qui Henrigulus vocatur, dicit quod audivit dicere Berardinum predictum quod isti de Casa Magii, hii sunt li Nappari, fuerunt de la curte de Travale, ut ipse audivit dicere; de la Montanina dicit: "Io de presi pane e vino per li maccioni a Travale"; de illa que est da Casa Magii dicit quod non recepit inde servitium; audivit dicere quod perdonatum fuit.
c. Martinus quondam Petri dicit: "Deus scit quod ego certetham aliam non scio nisi per auditam: de casa Magii e de le Castagneta e de la Montanina audivi a patre meo quod erat de la curte di Travale. De curte de Gerfalco dicit quod nescit alios terrifines nisi quos hic audivit palam dicere, nec de la curte di Travale. Nullum invenit qui sibi diceret, ut super anima eius iuraret, terrifines alios.
d. Brunettus quondam Eldithelli dicit quod audivit dicere, e non scit inde nisi per auditam, de Casa Magii et Castagneta e la Montanina quod erat de la curte de Travale.
e. Saracenus quondam Benthuli dicit quod audivit ab avia sua quod Maccingki, li Napparii et Starni et del Rosso da Castagneta et quelli da la Montanina erant de la curte di Travale; dicit quod aliud non scit inde, nec aliud ponit.
f. Pogkino, qui Petrus dicitur, dicit quod ipse stetit cum Gkisolfolo Africinu et ab eo audivit quod Casa Magii erat de la Curte de Travale et fecit ibi servitium, non quod ipse viderit vel sciat; et ab eodem Gkisolfolo audivit quod Malfredus fecit la guaita a Travale. Sero ascendit murum et dixit: "Guaita, guaita male. Non mangiai ma mezopane". Et ob id remissum fuit sibi servitium, et amplius "non tornò mai a far guaita", ut ab aliis audivit, quia veritatem inde nescit.
Primissime testimonianze di un volgare toscano, e una delle rarissime volte in cui i poveri hanno il loro nome. In un certo senso, ed è una cosa che mi sentirete dire ben di rado, bisogna un po' ringraziare giudici e notai. Di solito, di un servo o di un contadino non si faceva il nome neppure quando veniva appeso a un albero; qui abbiamo dei nomi. Cioè delle storie. Cioè un attimo della vita di quella gente lontanissima nel tempo. E ne vien fuori, seguendo un po' l'origine dei loro nomi, un miscuglio etnico assolutamente inarrivabile, un guazzabuglio da dedicare sentitamente ai fautori di purezze varie che non hanno nessun fondamento storico. C'è il Berardino di Tebaldo (o Berardino Tebaldi) che porta nome e patronimico di chiara origine germanica; Ghisolfolo Africino ha un nome tedesco e un soprannome che riporta chiaramente all'Africa (ricordo che siamo in un'epoca in cui il soprannome deve essere giustificato, e se qualcuno vien chiamato Africino dev'essere quantomeno molto scuro di pelle); c'è un Saraceno del quondam Benzolo, che mi puzza d'arabo lontano un miglio; c'è la famiglia dei Nappai, o Nappari; ci sono i latini (Vivenzo, Martino di Pietro, Brunetto); c'è un altro Pietro, soprannominato Pogkino, cioè "pochino", non si sa se per il suo aspetto minuto o perché fosse povero in canna (forse tutte e due le cose); ci sono altri germani (Malfredo, Henrigulus -Enrichetto-); c'è tutto un mondo. Ma forse sto andando troppo oltre.
Tutte queste persone raccontano aneddoti. C'è chi ha sentito dire dal padre che quei casolari erano della corte di Travale; un altro tira in ballo addirittura la nonna ("avia"). E poi, soprattutto, ci son le piccole e grandi ingiustizie ovvio appannaggio de' poveracci. Enrichetto (Henrigulus) dice d'aver portato pane e vino per dei muratori ("maccioni", parola germanica derivata da *makjo, a sua volta dal verbo *makon "fare", quello dell'inglese moderno make e del tedesco machen; da qui anche il francese maçon, tornato in italiano come "massone" per indicare il "libero muratore". Vedete un po' che razza di giri pèsca fanno le parole...) a Travale, servizio per il quale nessuno lo ha pagato (non recepit inde servitium). C'è Malfredo che, davanti al giudice, trova un'occasione unica per sfogarsi. Inviato a far la guardia o la sentinella (guaita, dal fràncone *wahta-, che poi è lo stesso del tedesco Wacht e dell'inglese wake, dal quale deriva anche l'antico verbo italiano guatare che molti credono una storpiatura di "guardare") sempre a Travale, il pover'uomo sale sulle mura lamentandosi di non poter assolvere bene al suo compito (guaita, guaita male) perché durante il giorno non gli avevano dato da mangiare che una mezza pagnotta (non mangiai ma mezo pane, in cui il "ma" ha l'antico senso limitativo che si ritrova ancora, curiosamente, nell'analoga congiunzione inglese but: I didn't eat but half a loaf). Proviamo a immaginarci una bella notte di guardia in mezzo alla campagna, con addosso una fame nera. Mezza pagnotta. E Malfredo sconta quella sua frase: non tornò più a far guaita (in cui "mai" ha ancora il senso etimologico del latino magis) perché remissum fuit sibi servitium. Traduzione in ufficialese del tempo: "Gli fu condonato il servizio". Traduzione effettiva: fu licenziato. Buttato fuori. Cacciato via.
E tutto, così, ruota attorno alla fame. Al mangiare. Non per niente, come ho detto all'inizio, nelle testimonianze di Travale si ha la primissima attestazione del verbo "mangiare". Si tratta di un francesismo che un po' alla volta deve aver soppiantato il più antico manicare (con le varianti rizotoniche mandùca, manùca), ancora testimoniato dal termine manicaretto e dal rumeno -lingua sorella!- mâncare (infinito lungo sostantivato; quello breve verbale è a mânca.)
Non si sa come sia andata a finire la questione. Secondo la pergamena conservata a Volterra (XII dec.6 n.16 Arch. Ep. Volat.),edita la prima volta da uno studioso russo trapiantato in Italia, Fëdor Schneider ("Regestum Volaterranum", 1907, n° 186), dopo le sei testimonianze registrate ne sarebbero dovute seguire altre sei di altri boni homines et legales di Fosini, altra campagna nelle vicinanze. Ma il tutto si interrompe. Forse è andato perso. Forse non c'è mai stato. Si faccia un rapido calcolo: fanno ottocentoquarantanove anni fa.
Usavo, e uso ancora, passare da Colle Val d'Elsa e Volterra per andare da Firenze all'Isola d'Elba. E' una strada che, per me, ha un significato che va ben al di là d'un semplice percorso. E' entrare nel cuore della Toscana, della mia terra. E' entrare nelle sue viscere più antiche. E' entrare dentro me stesso, dentro quel che sono e che sarò sempre. Fanno vent'anni o quasi che, una volta, andando da solo all'Elba a bordo di una 127 amaranto già decrepita allora, una mattina d'autunno, mi ritrovai a pensare alle testimonianze di Travale, che avevo studiato da non molto per l'esame di storia della lingua italiana sostenuto proprio con il professor Castellani. Siccome avevo tempo e non mi aspettava nessuno, decisi di fare una lunga e sconclusionata deviazione, prendendo una strada deserta per Massa Marittima. Fino a Travale, che peraltro non avevo mai visto.
Mi fermai là per un quarto d'ora, scendendo dalla macchina. Non c'era assolutamente nessuno. Non sorridete troppo se vi dico che mi posi a cercar di sentire, dal fondo della terra, delle voci remote. Credetti forse di sentire un guaita, guaita male; ma era soltanto il vento.
3 commenti:
Con piacere ho letto il commento sul documento della carta di Travale. Io sono nato a Travale ed ogni anno l'episodio in argomento viene rappresentato da un gruppo storico locale.Alcune Precisazioni: Gerfalco non era un vassallo ma è un paese vicino a Travale comune di Montieri Provincia di Grosseto. La disputa fra i due fratelli Pannocchieschi non era per terre nei pressi di Volterra ma Fra Travale e Gerfalco, tantoche esiste ancora il toponimo Castagneta. Saluti Bernardino Marconi
Io ti ringrazio infinitamente, Bernardino, per queste tue precisazioni. Davvero di cuore. Mi piacerebbe sapere quando esattamente, nel corso dell'anno, si svolge la rappresentazione dell'episodio a Travale; verrei senz'altro a vederla, e a sentire ancora una volta quelle parole nel vento.
Avo cura di avvertirti sulla data della rappresentazione delle Testimonianze di Travale che noi chiamiamo "Rappresentazione della Guaita". Satà nel mese di Agosto con data da stabilire di volta in volta.
(Non so se il messaggio in argomento inviato in precedenza è andato a buon fine quindi lo invio di nuovo)
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