Forse sottolineare questo tipo di "ricorrenze" è una cazzata, un'ingenua bischerata che lascia, ovviamente, il tempo che trova. E' un blog, questo, nato dall'ennessimo ghiribizzo di uno che ci aveva provato altre due volte, prima con un black blog alquanto velleitario (e noiosissimo) interrotto ben presto, e poi con una cosa intitolata ad un luogo caro, forse il più caro di tutti. Si è interrotto anche quello, seppure dopo un po' più di tempo. Due tentativi fondamentalmente morti per la stessa causa: cercare di andare dietro agli altri, di scrivere di cose che altri sanno fare molto meglio. L'avere sempre in testa quel ronzio che dice: Oh, lo fanno loro e allora lo voglio fare anch'io. Così, a un certo punto, mi sono accorto di non essere più capace di andare avanti, di non avere in realtà più un un bel niente da dire. Peggio che mai, a volte, mi sono ritrovato davanti a un dato avvenimento sentendomi come obbligato a parlarne. Bisogna dire! Commentare! Analizzare! Come se il mondo non aspettasse altro che tale Riccardo Venturi si pronunciasse al riguardo, quando invece, il mondo, Riccardo Venturi non sa neppure chi accidenti sia (a parte il capitano dei RIS della fiction televisiva, naturalmente). Da qui il blocco. Totale.
Allora, un giorno questo blog è nato per raccogliere cose già scritte in anni di newsgroups, di mailing list, di forum, persino qualcosa dai vecchi due blog. Per raccogliere storie raccontate, che poi sono le cose che, in tutta onestà, ritengo di saper fare meglio perché trovo piacere nel farle. Per sbloccare un'impasse, insomma; da qui il buffo titolo col gioco di parole sul verbo sbloccare, la parola blog e un vecchio e celebre detto dell'antichità (che poi è stato "rimodellato" in un greco inesistente). Un invito dell'autore a se stesso: ciccio, abbòzzala di scimmiottare e fai solo quel che ti va di fare davvero. Sblòccati; anzi, sblòggati. Sblògga te stesso, appunto.
Le vecchie cose sono state salvate. Ne hanno portate a traino di nuove. Ma sono quasi sempre le solite cose, quelle poche scemenze cui riconosco soltanto la funzione, importante, di tenermi compagnia. Finita l'epoca dei gruppi di discussione più o meno aperti, la rete si è rivolta all'universo molecolare del blog. Non è mia intenzione analizzarne un perché che non saprei del resto minimamente analizzare. E' così e basta. W il blog, lunga vita al blog, e quando anche la sua epoca sarà finita s'inventeranno qualcos'altro. Per l'intanto si va avanti qui, e mi sembra che tutto sommato un risultato sia stato ottenuto: quello di durare un bel po' di più. Addirittura fino a cento.
Un risultato che, va da sé, ha un valore solo personale. Lo sblòggo. L'aver trovato qualcosa su cui farsi venire la voglia di perdere tempo. Tutto qui. Non posso e non voglio rispondere delle poche o pochissime persone che si sono trovate a incrociare per questi lidi. Come c'è scritto sotto la fotografia, l'autore sta bene con poca gente e in pochi posti. Chiunque è il benvenuto, ma non sollecito la sua presenza né intendo chiedergli il motivo di alcunché. Non c'è neanche il contatore di ingressi. Ci sono dei link che rimandano a siti che mi piacciono, a altri blog di amici o di sconosciuti, a altra varia webbaggine che più o meno mi corrisponde. Nulla di nuovo, tutto come ovunque; questo, oggi, per la centesima volta.
Però ci sono le famose coincidenze. Una di queste ha voluto che questo centesimo post cadesse proprio il Quindici. Il 15 dicembre, insomma. Una data che fino allo scorso anno mi è stata molto cara, anzi, più che molto cara. A un certo punto, nella mia vita, proprio quest'anno, c'è stato uno stacco. Un distacco. Una cosa che ha avuto la sua ripercussione anche qui dentro, e non poteva non averla. Alle storie e storielle, alle canzoni, a tutto il resto si è aggiunta una sorta di diario di questo distacco. Non so come l'avranno considerata i tre gatti che leggono 'sto cazzo di blog (quelli che chiamo i miei due milioni di lettori perché quello che diceva di averne venticinque sapeva invece benissimo di averne a migliaia), e non me ne importa manco una sega. Non certamente per mancar loro di rispetto, anche perché, per la maggior parte, si tratta di persone che considero amiche e cui voglio molto bene; ma perché ho smesso definitivamente di scrivere per un pubblico, o meglio, di voler cretinamente credere di farlo. Nessun pubblico, solo me stesso e la mia vita. Non sarà gran ché, ma è tutto quel che ho.
Tra queste persone che seguono l'Ekbloggethi c'è anche la persona con la quale mi trovo a vivere questo distacco. Il 15 dicembre è la data in cui era cominciato il viaggio; e di vero e proprio viaggio, anche fisico, s'è poi trattato. Un'andata e un ritorno. Tutto ha fine, ma niente finisce. Per questo vorrei dirle una cosa semplice: questa data resterà per me importante. Non verrà mai meno. Come altre analoghe del passato e, chissà, come altre che verranno. Non lo so, non si sa. Solo un grazie per avermela fatta vivere, e per tutto quel che è venuto dopo. Compresa la sua fine, in un'altra data. Caso ha voluto che coincidesse con questo centesimo post. Cento e Quindici. Il numero dei pompieri.
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