giovedì 27 dicembre 2007

Il coltellino svizzero



Della mia attività di volontario sanitario sulle ambulanze del 118 parlo sempre poco, e malvolentieri. Le cose che si vedono sono sembre brutte, spiacevoli, a volte orribili; e c'è sempre qualcuno pronto a ricordarti cose intelligentissime, tipo: Mica te l'ha ordinato il dottore di farlo. In effetti. Però il 26 gennaio dell'anno che viene saranno trent'anni esatti che giro vestito prima di bianco, poi di arancione, e ora di giallo fosforescente. Mi va di farlo, lo farò finché mi andrà al di là delle buffe e pompose "qualifiche" che mi hanno affibbiato mio malgrado, tipo soccorritore di II livello o autista abilitato a ogni tipo di emergenze. Sogno il giorno in cui tale servizio sarà affidato a efficientissimi paramedics stile americano, regolarmente retribuiti e con una vera formazione professionale; nel frattempo si va avanti con questo autentico cazzo di volontariato. Non trattateci sempre a pesci in faccia; qualche volta capita anche a noi di salvare qualche buccia. Stanotte, ad esempio. Dal turno di notte dal quale sono appena tornato.

Ho un coltellino svizzero. Un regalo, persino col mio nome stampigliato sopra. Ho abitato per anni in Svizzera, e volete che non ci abbia il coltellino multiuso; come abitare in Russia e non averci la matrjoska. Comincia qui questa storia di sliding doors, in un qualche posto dove il coltellino mi è stato acquistato, e in un posto che non conoscevo fino a tre ore fa. Vicinissimo a casa. Un palazzo brutto e vecchio, con delle scale buie e le pareti scrostate. Ci abita una vecchia, la signora R.B., di 85 anni.

Poniamo il caso che il coltellino svizzero non mi fosse stato acquistato. Chissà se lo avrei fatto di mia spontanea volontà; forse sì, forse no. C'è quasi tutto, persino lo stuzzicadenti di plastica; e, devo dire, da quando mi è stato regalato, me ne sono davvero servito in ogni occasione. Da affettare il pane a svitare qualcosa, da stappare una bottiglia a limarmi le unghie. Non mi piacciono i soprammobili. Se ho un oggetto, lo uso. Quando vado di turno alle ambulanze, me lo porto quasi sempre dietro, attaccato al moschettone della divisa. A qualcosa potrebbe sempre essere utile; ma ho detto quasi perché ci sono delle volte in cui non me lo porto. Perché mi dimentico di prenderlo, oppure perché, semplicemente, non ne ho voglia. Ieri sera, prima di partire, è stata una di quelle volte in cui me ne sono ricordato. L'ho staccato dalla sua catenella e me lo sono ficcato al moschettone. Avrei potuto benissimo lasciarlo là dov'era.

La signora R.B., di anni 85, che non saprà mai chi sono e neppure di quel coltellino svizzero, alle 3.45 di stanotte si dev'essere alzata per andare in bagno, ed è caduta in terra nell'ingresso. In gergo si chiama TIA, Transitory Ischemic Attack; una volta si diceva, più semplicemente: le è venuto un colpo secco, o qualcosa del genere. I vicini hanno sentito il tonfo, i lamenti e hanno chiamato il 118. Da una parte è arrivata l'Alfa Mike, l'automedica, col medico rianimatore e l'infermiere; e dall'altra sono arrivato io con la Delta 6, l'ambulanza attrezzata. Piccolissimo problema: la porta di casa era chiusa a chiave, e la signora era sola. In questi casi si hanno pochissimi minuti a disposizione. Chiamare i pompieri significa stare lì a grattarsi mentre una persona sta crepando. Inutile tentare di sfondare la porta: un portone di legno massello di quella casa dei primi del '900. Ci avevo il coltellino svizzero. Ho cominciato a sfruconare nella serratura con qualcuno di quegli aggeggi, manco mi ricordo quale. Il cavatappi, l'apriscatole, la lima; si è sentito un clac. La porta si è aperta. La signora era lì davanti stesa in terra.

Ora se ne sta all'ospedale, non in pericolo di vita. Le è stato fatto quel che si doveva fare. Presa, monitorata, i parametri, il pulsiossimetro, la fisiologica. Viva. Qualche minuto di troppo e non lo sarebbe più stata. Sarebbe bastato che, qualche ora prima, avessi deciso di lasciare il coltellino svizzero attaccato alla sua catena appesa allo stesso chiodo del quadretto con scritto: Amo due cose: te e la Fiorentina. Oggetti. Oggettini scemi. Ricordi. Cretinate. Il medico che diceva: Ma guarda te, io credevo che non servissero a una sega, i coltellini svizzeri; e magari è stato anche quello un caso, una punta di lima o di cavatappi che ha beccato il punto giusto all'interno della serratura.

A cosa è in mano la vita umana, a volte. Stanotte mi è successo di averne un po' salvata una. Mi potrebbe venire in mente che qualche volta, senza saperlo, ne avrò magari fatta finire un'altra.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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