venerdì 23 ottobre 2009

Москва находится в Хорватии


Come ho già avuto modo di specificare, tengo in casa mia alcuni libriccini piuttosto curiosi, dai quali mi sforzo a volte di estrapolare una parvenza di storia minore, che poi sarebbe la Storia maggiore vista attraverso piccole essenze di quotidianità passata. Un libro di scuola per le medie, ad esempio; nella fattispecie si tratta di un manualetto scolastico di lingua russa per una classe che, grosso modo, potremmo far corrispondere ad una nostra seconda media. Siamo esattamente nel 1959, nella Repubblica Socialista Jugoslava di Croazia.

Il libriccino in questione si intitola Ruska Vježbenica (qualcosa come “Libro di esercizi russi”), gli autori sono tali R.F. Poljanec e S. Madatova-Poljanec (probabilmente sposo e sposa, con lei di origine russa) e la casa editrice, tanto per ribadire l'uso della pubblicazione, si chiama Školska Knjiga (“Libro Scolastico”). Una cosa che salta senz'altro ai nostri occhi è l'assenza totale del prezzo di vendita: i libri scolastici per la scuola primaria erano infatti forniti gratuitamente a tutti gli alunni dal Ministero dell'Educazione della Repubblica Socialista Jugoslava di Croazia, come specificato in una piccola dicitura in terza di copertina. La stessa dicitura specifica che qualsiasi commercio privato del libro era severamente vietato. La casa editrice aveva ovviamente sede a Zagabria. Non mi ricordo come sono venuto in possesso di questo libriccino, anche se sicuramente dev'essere stato in qualche modo abbastanza pittoresco.

Lo scopo di questo mio post è dimostrare inequivocabilmente che Mosca si trova in Croazia e che la Storia penetra anche nelle pagine gratuite di un libriccino scolastico, peraltro assai ben fatto e che, a condizione di sapersela un po' cavare con il croato, permetterebbe a tutti di impadronirsi dei principi basilari del russo senza alcuna difficoltà. A questo punto, però, è bene fare intervenire brevemente la Storia.

Ci dice, la Storia, che nel 1959 la Jugoslavia di Tito e l'Unione Sovietica erano ai ferri corti. Essendosi liberata praticamente da sola dai nazisti, senza l'intervento dell'Armata Rossa, la Jugoslavia del croato Josip Broz (detto Tito) non aveva accettato di entrare nell'orbita Sovietica. Da qui le reciproche scomuniche, ed anche un discreto numero di jugoslavi filosovietici inviati a fare uno sgradevole soggiorno nella per niente amena isola dalmata di Dugi Otok (“Isola Lunga”). Da qui anche tutta la vicenda del Movimento dei Paesi Non Allineati, fondato con la conferenza di Bandung del 1955, a capo dei quali si pose idealmente proprio la Jugoslavia di Tito; paesi che, in qualche modo, rifiutarono la logica dei due blocchi, la guerra fredda e l'equilibrio basato sulle prove di forza atomiche e “spaziali”.

Tornando alla storia dei libriccini scolastici, c'è da dire che il serbocroato (allora si diceva ancora così, anche se in Serbia si preferiva dire croatoserbo) è una lingua slava. Anche il russo è una lingua slava. A parte il bulgaro e il macedone, che all'interno delle lingue di questo ceppo fanno un po' razza a sé, le lingue slave restanti si somigliano tutte quante; e il russo, storicamente e quantitativamente, è la loro principale. Neppure nella Croazia di Tito, nonostante tutti i problemucci politici, nonostante Milovan Đilas (o Gilas), nonostante l'Isola Lunga e tutto il resto, non si pensò nemmeno un momento di dare l'ostracismo allo studio ed alla conoscenza del russo. Solo che lo si adattò leggermente, diciamo così.

A pagina 7 della Ruska Vježbenica per le scuole medie croate del 1959, lezione n° 1, si vede un'illustrazione con una bella classe jugoslava, il ritratto di Tito, un'improbabile Torre Eiffel, la bandiera Jugoslava e l'insegnante di russo. I classici ragazzi protagonisti del corso si chiamano Ivan e Elena, nomi che possono essere benissimo sia russi che jugoslavi. La prima lezione verte, in russo, sull'importanza dell'amore per la Jugoslavia. A pagina 22 (Lezione n° 4), in russo, assistiamo ad una parata militare dell'Armata Nazionale Jugoslava per le vie di Zagabria; la lezione verte sull'uso dei numerali, e vi si fa cenno che i anche i paesi vicini (Bulgaria, Romania ecc.) sono stati liberati dagli antifascisti; del paese titolare della lingua russa, però, ancora, non si fa alcuna menzione. Seguono alcune lezioni sulla famiglia, sui giochi dei ragazzi, sulle vacanze al mare con scene mediterranee, sulle stagioni e sugli animali; neanche una volta compare la dicitura “Unione Sovietica” o anche “Russia”.

A pagina 40, nel bel mezzo di un dettato incentrato sull'uso del caso preposizionale, il maestro Ivan Petrović (Иван Петрович) -nome che, anch'esso, può essere benissimo sia russo che jugoslavo- tiene agli alunni, in russo, un commosso ricordo del patriota comunista croato Ivo Lola Ribar; gli alunni rispondono in coro, e ovviamente in russo, con grida di “Viva la Jugoslavia socialista!”. A pagina 46 si passa invece agli auguri per il nuovo anno, con un curioso albero di Natale agghindato con il Babbo Natale della Coca-Cola sormontato da una Stella Rossa circondata da bandiere tricolori jugoslave. Attorno, un festoso girotondo di ragazzini e ragazzine croate si fa gli auguri in russo; segue una commovente poesiola su un cagnolino abbandonato che ritrova la strada di casa nella neve.

La lezione successiva (pagina 48) è, in russo, una dettagliata descrizione della città di Zagabria, seguita da alcune lezioni sui successi dello sport jugoslavo dove si spiega il differente uso del genitivo russo rispetto a quello serbocroato. A pagina 60, invece, si ha l'autentica costruzione di un complesso di industria pesante sulle rive della Sava, con gli operai che sgobbano festanti in russo per illustrare l'uso dei verbi impersonali. Segue, a pagina 68, una lezione dedicata interamente all'aratura in russo della pianura danubiana presso Osijek (e presso Vukovar); della Russia ancora nessuna parola. Si raggiunge il clou a pagina 80 (36a Lezione), con la cronaca del 1° maggio per le vie di Zagabria, in russo. Nell'illustrazione, un corteo di lavoratori che procede con un gigantesco striscione che inneggia al primo maggio, al compagno Tito e al popolo lavoratore, in lingua russa (Да здравствует Первое Мая! Да здравствует товарищ Тито! Да здравствует наш трудовой народ!).

Quel che non ti aspetti, avviene a pagina 84. Forse presi da un qualche piccolo scrupolo, il signore e la signora Poljanec decidono -a loro rischio e pericolo- di inserire una lezione (la n° 39) incentrata nientepopodimeno che su Mosca (Москва), periferica cittadina dove, al pari di Zagabria, si parla il russo (ma, probabilmente, in una forma dialettale e del tutto aberrante dal buon uso croato). Nella lezione si danno preziose informazioni su quella lontana e insignificante città, tipo che nel suo centro si trova tale “Cremlino”, una non meglio precisata “Piazza Rossa”, che vi sono dei “larghi viali” e, in ultimo, che vi è nato Aleksandr Sergeevič Puškin e che vi si trova una metropolitana simile a quella di Zagabria. Evidentemente preoccupati per tanto ardire, gli autori dedicano le ultime due lezioni del corso alla eroica biografia del Maresciallo Tito, alla costruzione del socialismo jugoslavo e alla nostra patria Croata. Da specificare però che, nella biografia di Tito, il signore e la signora Poljanec si concedono ancora due righe di trasgressione, nominando tra gli ispiratori di Tito addirittura tale Vladimir Il'ič Ul'janov (generalmente noto come Lenin), capofila di una misteriosa “Rivoluzione d'Ottobre” sulla quale non si fa peraltro alcun'altra menzione. Il tutto, ovviamente, in lingua russa; lecito immaginarsi l'effetto che farebbe, ad esempio, una grammatica norvegese interamente ambientata a Bologna, oppure una grammatica estone anticomunista completamente situata all'interno di una piccola università delo stato dell'Indiana; solo che, debbo dirvelo, quest'ultimo esempio è assolutamente reale. Si tratta del Basic Course in Estonian di Nicholas Poppe, pubblicato nel 1961 dalla Indiana State University di Bloomington (Indiana). Ho pure quello.

Con questo, spero di avere inequivocabilmente dimostrato l'assunto di questo post, vale a dire che, almeno nel 1959, Mosca si trovava in Croazia in qualità di lontana appendice di Zagabria. Ci sarebbe forse da immaginare anche che un imprecisato numero di alunni abbiano appreso più o meno correttamente la lingua russa convinti che si trattasse di una specie di dialetto del croato scritto con l'alfabeto serbo. La Storia, quella con la “S” maiuscola, irrompe dovunque; anche nelle pagine di un libriccino scolastico per le Medie. Ci parla del passato, del presente e del futuro, imperfettivi e perfettivi, durativi e momentanei. Ce ne parla coi suoi contraltari, come la grammatica della vicina lingua slovacca, anno 1955, che inizia con una citazione di Stalin e che procede imperterrita con lo Džugašvili da Gori che spiega anche la declinazione degli aggettivi e l'uso del dativo di possesso (un capitolo indimenticabile, lo giuro). O come la Grammaire Espagnole pubblicata in Francia nel 1937 e contenente esercizi antifranchisti. Posizioni defilate e particolari, ma la Storia parla, e parla in modo crudo. Può anche dirci che Mosca si trova in Croazia, e con tutti i suoi più plausibili motivi.