Non ci conosciamo. Ma, stavolta, non è un modo di dire. Non ci conosciamo, perché, a rigore, io esisto e tu no. Esiste, casomai, il tuo autore; un vecchio pingue, intelligente, con delle incredibili pappagorge e un wit più che notevole espresso peraltro, e sempre, con una calma ed una proprietà di linguaggio che, in questo paese, sono merce rarissima.
Esiste però, e infinitamente più della mia di persona reale, la tua immagine collettiva. Grazie ai film, naturalmente. Senza film, se tu fossi rimasto tra le pagine dei libri, ognuno avrebbe avuto un'immagine diversa di te. Tante immagini quanti sono i lettori. Invece, nunc et semper, hai per tutti la faccia di un dato attore, del tutto inseparabile. Succede così. Nero Wolfe, per tutti, avrà in eterno la faccia di Tino Buazzelli. Quando morirà quell'attore, tutti diranno che è morto il commissario Montalbano. Lo scriveranno persino sui giornali. Lo diranno alla televisione. E, più che altro, sarà pensato, come un dato di fatto.
Hai un'immagine, quindi esisti. Hai una faccia, in questo tempo dove le facce sembrano contare anche più del solito. L'immagine è di gran lunga più esistente della realtà. Tocca, allora, relazionarsi a te come a una persona viva, e senza cadere nemmeno nei trucchetti degli autori, ché ne hanno inventati a bizzeffe. Tipo quello del personaggio che scrive al posto dell'autore. Preambolo chiuso, Commissario.
Vorrei porti, allora, una questione.
Mettiamo che, un giorno qualsiasi, bello libero e senza nessuna indagine importante da svolgere, te ne stai camminando per una strada di Vigàta. Sei, magari, appena uscito dalla Trattoria San Calogero dove ti sei sbafato qualche semplice delizia a base di pesce. Te ne cammini verso il molo fumandoti una sigaretta. Ti avvicina un tizio, del tutto ordinario; niente, in lui, risalta. Una faccia comune, un vestito normale, statura media. Un anonimo.
Non ti scanti perché è chiaro che lo sconosciuto non ha cattive intenzioni. Anzi, ti chiama gentilmente. Commissario! Lei è il commissario Montalbano? Ha un accenno di sorriso; e, comunque, potresti facilmente metterlo fuori combattimento in mezzo minuto. E se anche non fosse così facile, sei pur sempre armato anche se non ti piace per niente usare la pistola. Però, come dire, fra averla e non averla c'è una certa differenza, quando si fa il Commissario e ti avvicina uno che non conosci, sia pure apparentemente benintenzionato.
- Commissario, ci pozzu fari una domanda?
- Ma prego! -dici tu, con quell'aria a metà fra il cortese e la presa per il culo.
- Ecco, Commissario, ma a lei...
- Ma a me...
Lo sconosciuto sembra pensarci bene, forse troppo bene. Lo guardi, con quella faccia da attore che ti ritrovi. Mediti, naturalmente, se non sia meglio spedirlo via a base di rottura di cabasisi, oppure con qualche ironia.
- Ecco, ci volevo dire...a lei qualcuno ci ha mai detto che è un poliziotto di merda?
Rimani lì, coi cabasisi e con l'ironia a mezz'aria.
- Mi spiego...non un delinquente, che un delinquente lo capirei se ci desse a lei del poliziotto di merda...dico uno qualsiasi, uno come me, uno che non ha mai fatto del male a nessuno...
- E...e perché lei mi chiede questa cosa?...
- Perché sa, io mi sono fatto certe idee, e secondo me, lei non è altro che un poliziotto di merda. Anzi, addirittura di stramerda.
- Ma...ci ho fatto qualcosa a vossignoria...?
- Nulla! Assolutamente nulla! (Si fa il segno della croce). Però vedo che succedono cose...e mi sono fatto l'idea che la polizia è una gran merda. Che non è per nulla al servizio dei cittadini. E che chi ci continua a star dentro, anche se è la migliore persona di questo mondo (fa il gesto di baciare le mani), è comunque un pezzo di merda. Ci starebbe fuori, sennò! Anzi, non ci sarebbe nemmeno mai entrato! E le volevo dire che sono dei grandissimi stronzi curnuti anche Fazio, Augello e anche quel povero demente di Catarella. Arrivederci, Commissario! Mi scusi per il disturbo!
E se ne va.
E tu rimani lì, con l'aria inebetita, la sigaretta a mezz'aria a farsi fumare dal vento, e qualche certezza in meno. Ma come! Il Commissario Montalbano, quello che piace a tutti, persino agli anarchici, quello che in gioventù era extraparlamentare e andava alle manifestazioni, quello che ha persino avuto parole di condanna per i fatti di Genova, quello che crede nella Polizia democratica, o nella Polizia giusta, e ne racconta le avventure per mano del suo autore con le pappagorge intelligenti. Quello che sventa i traffici di organi, che aiuta gli immigrati, che scopre il merdaio politico-finanziario, che indaga persino su omicidi di cinquant'anni prima. E quello non ti ha nemmeno dato il tempo di rispondere; si è volatilizzato, lasciandoti lì, sul marciapiede.
E, del resto, il tuo autore progressista ce l'ha messa davvero tutta per farti amare. Guai a chi tocca il commissario Montalbano. Sei l'immagine di ciò che una società vorrebbe dalla Polizia. Ispiri fiducia. Non ti dipinge come un servitore ubbidiente e cieco. Sai trasgredire, dire di no e, all'occorrenza, mandare in culo i superiori. Sei un uomo che invecchia, coi tuoi dubbi, le tue debolezze le tue paure. Avevi quel tuo famoso codice della fedeltà assoluta a quell'ignobile pesce lesso alla genovese chiamato Livia, ma alla fine la hai sanamente cornificata -cornificando ancor più sanamente anche i codici. Puoi addirittura permetterti di essere vagamente di sinistra, anche se proprio comunista, no. Un Commissario comunista sarebbe stato troppo anche per il tuo autore. Meglio qualche vaga sessantottaggine, il senso della giustizia, un bel brodo di disillusioni, e anche uno stipendio decente erogato dallo Stato che ti permette di avere la meravigliosa villetta sul mare con annesse nuotate mattutine. Sì, Montalbano, sei proprio nato per farti volere bene. Hai davvero un tocco magico. Sei riuscito a mettere tutti d'accordo.
Però, devo dirtelo, ci sono delle cose che non mi tornano. Beninteso, non sono io il tipo che ti ha fermato per la strada.
Non mi torna, per esempio, che il tuo autore abbia più volte, interrogato al riguardo, dichiarato di credere nella Polizia. Come fa ancora a crederci? Genova, che pure ti ha fatto condannare, non gli è bastata? E continua a propinarci la tua favola? Destina, poi, l'intero incasso di un suo libro collaterale, dedicato ai pizzini di Provenzano, ai familiari dei poliziotti vittima del dovere. Quando ho letto quella cosa, mi son detto: ecco, lo doveva fare. Temo che il tuo autore, Commissario, abbia una discreta paura che lo prendano per un po' troppo sovversivo, lui che al massimo voterà per il PD. Sia mai che l'incasso di un altro libro sia devoluto, che so io, ai familiari delle vittime di Ustica. O, meglio ancora, a quelli di tutti i cittadini inermi ammazzati dai tuoi colleghi. Alla madre di Francesco Lorusso, alla famiglia di Giorgiana Masi, a quelle delle persone ammazzate dai tuoi colleghi della Uno Bianca (ma lì non s'era a Vigàta, s'era a Bològna). Al fratello di Giancarlo Del Padrone abbattuto sul tetto di un carcere. Ai parenti di Giannino Zibecchi o di Rodolfo Boschi. Ce ne avrebbe di libri da scrivere e da devolvere. Invece, sai cos'altro succede. La tua faccia, ovvero l'attore che la detiene, passa indifferentemente dalla tua persona a leggere un audiolibro scritto dal figlio di un tuo collega, uno che una sera di dicembre a Milàno era in una stanza dove un anarchico precipitò senza una scarpa. Poi quel tuo collega fu ammazzato. L'anarchico non lo ha, invece, ammazzato nessuno; e non ha avuto nessun figlio che scrivesse libri. Tu pensa se il tuo autore, in una tua vicenda, ne avesse fatto cenno. A quell'anarchico e al malore attivo. Poi gli attori sono strana gente: capaci di interpretare, a pagamento, un altro attore fascista e fucilato, in un suo tentativo di riabilitazione, e di leggere il giorno dopo Mio padre è morto a diciott'anni partigiano eliminando però la strofa finale dove spara ai fascisti. Una poesia che è stata resa famosa dall'interpretazione di uno che, poi, si è ritrovato a fare il buon maresciallo Rocca tutto famiglia, buoni sentimenti, cagnolini e cattivoni alla sbarra.
Deve proprio credere nello Stato, il tuo autore. Quello Stato che si arresta a vicenda, che si avvelena reciprocamente, che si ammazza e si riammazza. Ché anche tu, caro Montalbano, volente o nolente sei un suo servitore. Certo, umano e persino troppo umano. Paure e debolezze. Incubi e incertezze. Disillusioni e invecchiamenti. Ma mai una carogneria di quelle grosse. Mai una giornata di ordine pubblico, mai un comando antisommossa: o che in quel cazzo di Vigàta, tutta buone trattorie, non ci sarà mai stata una manifestazione studentesca? Una dimostrazione di disoccupati repressa pesantemente? Un derby Vigàta-Montelusa dove un altro commissario viene fatto fuori in modo poco chiaro? L'avresti arrestato, tu, l'ultras sacrificale che poi non c'entrava per niente? L'avresti coperto Augello, se si fosse venuto a sapere che col suo Defender aveva beccato in pieno il commissario, spedendolo all'altro mondo? Un bel casino. La scelta tra continuare a fare il Montalbano, oppure vomitare, andarsene, denunciare.
Ché sarebbe interessante vedere un Montalbano schifato buttar via tessera e ogni cosa, rinunciare al suo stipendio sicuro di statale e fare il protagonista di un romanzo da ex poliziotto che ha smesso di crederci, nello Stato. Scoprire che, magari, Fazio è un torturatore di detenuti, che Mimì Augello in quei giorni di luglio non era affatto dietro a qualche gonnella ma a Bolzaneto, e che persino Catarella, dietro l'aria da finto idiota, era uno spedito là a sorvegliarti e riferire.
Ma non si può. Queste sono cose troppo reali.
Per questo ho smesso di comprare e leggere i tuoi romanzi. Mi appassionavano troppo, per la miseria. Cominciavo anch'io, sotto sotto, a sperare che da qualche parte esistesse un Montalbano, con le sue battute fulminanti e con quell'eroismo da antieroe. Ci hanno pensato centinaia di fantasmi, di persone che erano vere, a farmi risvegliare. A non credere più nelle storie e nelle storielle di chicchessia. Non rinnego certo di averti letto, e con piacere. Non lo rinnego, ma c'è troppo sangue che è scorso, e che continua a scorrere, per mano di persone che fanno parte della tua istituzione e del tuo Stato. E, a quanto mi risulta, tu e il tuo autore non avete fatto nulla per impedirlo. Ci sono i questori rompicoglioni cui fare il muso duro, nel tuo mondo; non ci sono gli altri poliziotti assassini. Non c'è il questore Guida. Non c'è Perugini che massacra di botte un ragazzino di quindici anni. Troppe assenze, Montalbano.
Mi hanno detto che il tuo autore, saggio e previdente per la sua grave età, ha già scritto la tua ultima storia, depositandola presso l'editore. Morte dovesse sopraggiungere, il tuo ultimo capitolo è bell'è scritto. Nessuno sa come andrà a finire. Se con un cupo e quieto pensionamento o con un colpo di pistola. Pare che la storia si chiami Riccardino. Proprio così. S'ignora chi sia questo Riccardino, ma ho qualche inquietudine. Non vorrei che, finalmente, tu sposassi quella querula deficiente di Livia e che tu la mettessi incinta in extremis, chiamando Riccardino vostro figlio. Ho già dovuto sopportare un Riccardo Venturi carabiniere, e chiamarmi come il figlio di Montalbano sarebbe troppo.
E lo capisco bene quel tizio che, in mezzo di strada, ti ha dato del poliziotto di merda.
Forse avrà letto di certe pallottole vaganti, di certe cadute dalle scale, di certe morti naturali certificate da medici che non assomigliavano manco un po' al dottor Pasquano.
Vorreste, tu e il tuo autore, farci vedere come dovrebbe essere la Polizia. Solo che la Polizia non può esserlo. Mai. E lo sapete benissimo.
E allora, se sei davvero Montalbano, torna a casa. Fatti una bella pasta 'ncasciata, o una nuotata lunga lunga. Poi vai in ufficio e dai le dimissioni.
Sennò ci prendi tutti per il culo.