venerdì 30 ottobre 2009

I loro ragazzi


Ora li chiamano i nostri ragazzi. No, io non li voglio, quei "ragazzi". Sono vostri. Sono loro. Miei non sono. E non sono neanche ragazzi. Essere ragazzo è disordine e vita; questi sono ordine e morte.

I loro ragazzi sono quelli di Marcello.


Quelli di Stefano.


Quelli di Federico.

Quelli di Gabriele.
Quelli di Genova.
Quelli della Diaz.
Quelli del vicequestore Perugini.


I loro ragazzi. Quelli che vanno a obbedire per un misero stipendio di merda. Quelli che ci hanno sempre il pretesto della disoccupazione, del popolo, della giovane moglie (sempre incinta quando crepano). Quelli che a volte lo stipendio non è nemmeno poi così di merda, anzi talmente allettante da andare a saltarci in aria per andare a far la guerra a della gente che non l'ha mai fatta a noi.

Quelli che, ai funerali, hanno le lacrime napulitane di quel vegliardo che, un tempo, approvava gli aiuti fraterni. "Partigiano" sì, ma sempre e solo di una cosa: del potere.

Quelli che su Twitter o su Facebook dicono di essere troppo di destra, che sono iscritti al Partito Nazionale Fascista, che scrivono di essere lì a fare la guerra, ma che sui giornali e sulle televisioni di regime diventano "eroi di pace".

Quelli che hanno, sempre ai loro funerali, i figli di due anni col basco rosso che fa tanta audience, tanta vita in diretta, tanto schifo suo malgrado.


(Ché portare un bambino di due anni al funerale del padre sarebbe già un atto inqualificabile di per sé; portarcelo a fare da pupazzetto di regime è ancora più orrendo. E chissà cosa avevano in testa le centinaia di bambini uccisi per la pacificazione e la democratizzazione dell'Iraq o dell'Afghanistan, vale a dire per gli oleodotti, per i gasdotti, per la Raffineriyah, per gli investimenti).

(Ora che ci penso: chissà se il piccolo Simone, quando sarà grande, ce lo ritroveremo sempre col basco rosso della Folgore, in mezzo a tanti altri baschi rossi, a fare una bella foto di gruppo come questa:)


Eccoveli in tutto il loro splendore, i loro ragazzi.

Quelli da cui vanno a frignare i ribelli futuristi di Casapound. Quelli sempre pronti a arrestare i compagni e a proteggere i camerati. Quelli che La Russa. Quelli che, tanto, se la cavano sempre. Quelli che spaccano le rotelle prendendo la mira a due mani. Quelli che fanno gli incidenti con la Focus dello zio, e la Focus non prende fuoco, sennò ci voleva l'estintore. Quelli che ci hanno anche le canzoncine della minchia e del signor tenente, nelle quali non si riesce a capire dove sia il tenente e dove sia la minchia (forse nella testa del suo autore). E le fiction in mezzo a preti e buoni sentimenti.

Guardateli qui, i loro buoni sentimenti. E questa non è una fiction. Non c'è don Matteo. Non c'è il maresciallo Rocca. E nemmeno il commissario Montalbano. Non c'è il Distretto di Polizia. Qui c'è il Distrutto dalla Polizia.

Quelli che no, non verrà il giorno.

Quelli dei "grazie ragazzi" sui muri, per i loro quattrinovembri, per le loro armi, per le loro parate, per i loro ordini, per le loro sicurezze.

Tutti martiri. "Martire" vuol dire "testimone". In qualche caso, infatti, li hanno fatti eliminare come testimoni scomodi.

I loro ragazzi. Sono tutti loro.


Miei, no di sicuro.