giovedì 19 agosto 2010

Nel frattempo


Nel frattempo, mentre crepava uno stronzo di politicante, le donne continuavano ad essere ammazzate, picchiate, violentate. Come ampiamente previsto, l'indignazione mediatica per il femminicidio è durata lo spazio di tre giorni; giusto il tempo di qualche copia in più e di qualche chiacchiera sotto l'ombrellone tra un Balotelli e una Lady Gaga. Oggi, che grazie a Eugenio Hárhvítr Scalfari abbiamo persino appreso quant'era depresso Cossiga, sono state uccise un paio di donne. La cosa ha cessato rapidamente di fare notizia, e non c'è assolutamente da stupirsene. Per questo ce l'hanno così tanto coi blog e con chi li tiene; un blogger non deve vendere, non obbedisce a un regime concorrenziale, e se ne sta magari alle due e mezzo di mattina a pigiare sulla tastiera perché obbedisce soltanto alla sua coscienza di essere umano e di cittadino. Parola disusata, questa. Parola disprezzata. Parola pericolosa. Fa emergere tutt'altro quadro delle situazioni. C'è Minzolini che mostra della sceltissima gente comune che va a scordogliacchiare per Cossiga (e per farsi riprendere dal TG1 delle 20), e ci sono 9500 blog dove invece ricompaiono nomi come Francesco Lorusso e Giorgiana Masi. La quale, vorrei ricordarlo, era una militante femminista. Mi sono sorpreso, in questi giorni, a pensarla ancora viva; avrebbe avuto 52 anni. Nessuno può dire che cosa avrebbe fatto nella sua vita, ma la avrebbe comunque fatta.

Scalfari Eugenio è stato tanto toccato dalla depressione di Cossiga. Con la massima indifferenza arriva una notizia da un paese vicino a Reggio Emilia. Un'anziana coppia, 71 anni lei, 77 lui. Una casa, un orto. Cose comuni, normali. Una vicina si reca da loro per chiedere se può cogliere qualche ortaggio: altro gesto normale, tranquillo. Trova lei che pende, impiccata con un cavo elettrico, ai sostegni delle tende della sala da pranzo; il marito è poco più in là, morto per terra. Lei gli ha fatto un'iniezione letale. Casa pignorata. Debiti con una banca (di solito si dice sempre "con le banche", con un errato plurale generico; ma non bisognerebbe mai scordare che usualmente la banca con cui si ha un debito è una sola, magari proprio quella che sugli autobus e sui cartelloni fa quelle belle pubblicità con la famiglia sorridente, con la sicurezza, con il conto zero-interessi zero-problemi zero, con i pacchetti investimento). Tutto già pubblicato. Casa già all'asta per una cifra di merda, 129.000 euro a saldo del debito: poi raus. Fuori. Vendita giudiziaria. Tutta una vita al macero; e magari, caro signore che ora porti il mazzolin di fiori a Cossiga per essere intervistato dal tiggì delle venti, in qualche banchetta te lo stanno preparando a te il funerale. E non verrà nessun telegiornale.

Speculatori, aguzzini, disperazione, miseria, fine, vecchiaia, precariato, disoccupazione, assenza di qualsiasi futuro, baratro; scrivono uccide sui pacchetti di sigarette e si preoccupano tanto della nostra salute, quando tale dicitura andrebbe apposta all'ingresso di qualsiasi banca. Una banca è quella cosa che può essere tenuta da uno come Denis Verdini, sarebbe bene tenerlo sempre a mente. Una banca è quella cosa che Roberto Calvi, Michele Sindona, monsignor Marcinkus, eccetera. Ma non solo. Una banca è anche il gentilissimo funzionario che ti blandisce finché sei solvente, e poi con la stessa gentilezza ti ammazza e se ne torna a casa. Siamo soltanto dei numeri nelle loro mani. La nostra vita è in mano loro. Immaginatevi allora, sì, di entrare la mattina a un qualsiasi sportello e leggere la verità: un cartellone con le diciture di legge "Il sistema bancario uccide", oppure "Donna incinta, il mutuo a tasso variabile può nuocere gravemente al tuo bambino", "Il tasso di interesse invecchia la pelle". Io ci metterei anche qualcosa di più esplicito e ad personam, tipo: "Il governatore Draghi danneggia gravemente te e chi ti sta intorno", oppure "Far saltare in aria la tua banca riduce il rischio di suicidio". E, mi raccomando, falla saltare in aria con tutti i suoi burocrati dentro. Non avere nessuna pietà per loro, perché al momento opportuno loro non ne avranno nessuna per te.