lunedì 2 agosto 2010

Il muretto


Non è questione, in questi giorni qua, di prendere sonno. Il sonno, se viene, va aspettato con pazienza e rassegnazione; poi arriva, e non importa quante ore duri. Bisogna prendere quel che si riceve, e farne tesoro. Io che sono stato un nemico giurato del sonno, io che dicevo di dormire tre o quattro ore e che mi bastava perché, un giorno, avrei dormito comunque per sempre; ora pagherei per un'ora o due in più. Ma pazienza. Così me ne sono andato cinque minuti qua fuori, con le sigarette e basta, deciso a non allontanarmi affatto da casa. Sono state un paio di belle giornate, ad una distanza che attualmente mi si confà alla perfezione, luminose, piene di musica, assieme ad alcune delle poche persone con cui sto davvero bene assieme. Ad un certo punto mi è sembrato di avere qualche déjà vu, ma è una sensazione che tendo a scacciare. Non esiste nulla di già visto, si vede sempre per la prima volta anche appena fuori di casa. Compreso quel muretto da niente, all'inizio del vialetto d'accesso al parcheggio; lo vedo, da due anni e mezzo a questa parte, almeno dieci volte al giorno. Una volta, seduta su di esso, c'era una persona che conoscevo di vista e che non mi aspettavo proprio di trovare là. Una sorpresa, un saluto, due minuti di parole senza storia ma che, forse, ce l'hanno la storia, e all'insaputa di tutti e due. Magari, una volta o l'altra, quando meno lo si aspetta, busserà discreta alla porta.

È un muretto basso, di mattoni rossi, la cui unica caratteristica (a parte una scritta, oramai sbiadita, inneggiante alla Fiorentina) è quella di essere proprio dell'altezza giusta per mettercisi a sedere. Mi ero detto parecchie volte che avrei dovuto, qualche volta, sedermici per un momento d'una qualsiasi di quelle cose che viaggiano sul confine dei pensieri e della loro assenza, attraversandolo di continuo; poi non ce ne deve essere mai stata l'occasione. Stasera sì. Ho proprio pensato a quel muretto, che sono tutti i posti del mondo dove si desidera mettersi cinque minuti a farsi ingoiare dal mondo, e dalla sua notte, e dal suo accavallarsi di vastità, una dietro all'altra.

C'era proprio tutto quanto, da quella prima sbronza da diciassettenne il giorno prima della strage di Bologna a quel muretto di mattoni rossi appena fuori casa; e poiché me ne stavo, con la sigaretta, su un confine che conoscevo soltanto io, ho cominciato a pensare di essere una specie di tratto d'unione, o di minimo comun denominatore. Impegnato in questo bizzarro cogitìo, e oramai alla seconda sigaretta, mi sono accorto che c'era qualcuno che mi guardava; e non era una presenza ignota o inattesa. Compare sempre, il vecchio, quando meno uno se lo aspetta; allo stesso tempo è una presenza consueta, normale, familiare, con il suo sorriso autentico, bello, mai inutilmente beffardo o sarcastico, con i suoi capelli bianchi, coi suoi occhi chiarissimi di quel paese dove s'impiccano i canali.


Condivide con me, da quando siamo nati in epoche differenti, le iniziali del nome e del cognome; quando mi vede scuote prima la testa, ridacchia per qualche secondo e si mette a sedere, tranquillo. Stanotte, poi, che c'è un muretto di mattoni rossi già bell'e pronto; passa una motocicletta a velocità folle sul rettilineo. Non c'è bisogno di nessuna conversazione, di nessun suono che rompa il silenzio; si accende anche lui una sigaretta, di una marca che non conosco, e ci occupiamo a immaginare le volute di fumo nel buio.

Di fatto non siamo estranei al mondo, ma tutto ci è estraneo si un mondo che si vende invece di donarsi, incluso il riflesso economico a cui talvolta i nostri gesti si piegano.

E allora facciamo finta di guardare ognuno in una diversa direzione, ostentatamente, un po' per gioco e un po' per imbarazzo; mi chiedo ogni volta come mai si rechi da me, ma probabilmente sono io che lo chiamo. È una presenza fisica e non ha niente dell'apparizione, una presenza che viene a precisarmi alcune cose che non devono essere perdute di vista.

È così che l'universo della gioia di vivere precipita nei bassifondi dell'inconscio. Più tardi, gli psicanalisti, scopritori di continenti volontariamente sprofondati, giocheranno ai predatori di relitti e, riportando in superficie oggetti di desiderio e di risentimento, li rivenderanno ai loro proprietari che spesso non sanno più farne uso e conservano la parte migliore per il ricordo.

Sa sempre dove andare a parare, il vecchio, e senza nessun bisogno di parlare. Ha già parlato. Su un muretto, una notte, in cui cinque minuti si stanno dilatando senza oramai più nessun limite. Trenta secondi, trent'anni. Il rullo compressore di strutture tanto inutili quanto distruttive. La morte anticipata quotidianamente nella sua paura. Il vento che ha soffiato da ogni lato portando rose e ragni velenosi. Le facce, le braccia, gli abbracci, gli insulti. Sul muretto, scomparso all'improvviso il buio, ci sono due bambini che pure non si dicono niente; giocano con i loro occhi, chiari e scuri, e s'immaginano un mondo loro, perché loro è la vita e loro è il sogno. E sul muretto, tornato all'improvviso il buio, ci sono due vecchi che sovvertono il normale ordine di guardare indietro; perché si ostinano a cercare di far buon uso di quella gioia di vivere che oramai si nasconde come una cospiratrice.

Oggi importa scoprirsi nell'autenticità della propria esistenza anche se, vissuta male, le fu preferita la minima illusione perché, nella sua brutale sincerità, il desiderio irreprimibile di una vita altra è già quella vita.

Dev'essere giunto il momento di separarci; siamo, io ed il vecchio dagli occhi chiari, due di quelle persone che finiranno le sigarette anche a dieci minuti dalla fine del mondo. Non ci sono saluti di circostanza, non c'è niente; ci alziamo e ce ne andiamo, per rincontrarci forse in un posto meravigliosamente qualsiasi. Del resto, c'incontravamo anche quando non lo conoscevo, anche quando non sapevo minimamente che esistesse.

Lo vedo allontanarsi e svanire, mentre fischietta una canzone che anch'io so. Mi metto a canticchiarla piano piano mentre percorro il vialetto per rientrare in casa; solo allora mi accorgo che ho in mano un libro. Il muretto di mattoni rossi è tornato vuoto nella notte estivamente spettrale; domani accoglierà i suoi baci, le sue attese del taxi, i suoi sacchetti della spesa che qualcuno vi ha posato, accaldato, per tergersi il sudore da una vita di pane, carne, pomodori e merda.