venerdì 24 dicembre 2010

La visita


All'Elba, non so quanti sangue d'anni fa e non mi ricordo dove qualcheduno mi disse, c'era un medico condotto, il dottor P. Non occorrerà dire che cosa comportasse, in quegli anni remoti, fare quel mestiere, ovvero cercare di raccomodare esseri umani che, per un motivo o per un altro, ce la mettevano proprio tutta per scassarsi: chi nei campi, chi allo stabilimento, chi per mare, chi per la vigna in cima a un monte, chi per i muri a secco. C'erano i matti dei paesi, in parecchi casi frutti di incesti; e c'erano i matti per vocazione e per ideale. Erano, questi ultimi, specialmente concentrati in un paio di paesi, forse tre, che avevano tutti a che fare le con le pietre; e non pochi di loro, sempre a proposito dell'intento di scassarsi la vita fin da giovanissimi, oltre a farlo per un'idea che si diceva luminosa, erano costretti anche a farlo in qualche cava di granito. L'Elba è sempre passata per l'isola del ferro, ma c'era anche un bel po' di pietra da cavare anche se non ha mai avuto la roboante nobiltà di quella di Carrara; ad ogni modo, sembra che col granito del Seccheto ci abbiano fatto addirittura un pezzo del Pantheon, a Roma.

Il dottor P. era un uomo già anziano, sessantatré o sessantaquattr'anni; apparteneva a una famiglia di quella specie di mezza borghesia che riusciva a mandare i figli a studiare a Livorno prima, e a Pisa poi, facendo sacrifici non lievi. Ma i figli erano l'avvenire, e l'avvenire par che allora esistesse (ed è curioso che l'avvenire sia sempre stato fatto per epoche in cui non c'era nulla, nemmeno da mangiare; mentre ora, che ci s'ha tutto, solo nominarlo è una bestemmia); così, un giorno, fresco d'abilitazione alla professione medica, il dottor P. era tornato all'Elba, aveva aperto l'ambulatorio in quel posto che non ricordo ed erano stati trentacinqu'anni di mani nella vita altrui. Senza tante storie romantiche e senza “cittadelle” alla Cronin; non era né amato e né odiato, il dottore doveva guarire la gente ed era per quello che era lì. Diversi li aveva guariti o salvati, e c'era della secca gratitudine; diversi non li aveva né guariti e né salvati, e c'era un prosciugato rancore; alcuni li aveva guariti o salvati una volta, e la volta dopo no, e c'era un'asciutta rassegnazione nella quale si ricorreva, ma non sempre, al dottor Dio. E così continuava a andare, anche se il dottor P. meditava di mettersi a riposo; era una persona taciturna così come sua moglie, tanto che si diceva che in trent'anni di matrimonio si fossero scambiati si e no un paio di parole al giorno. Non avevano avuto figli perché non erano arrivati; e lui non parlava molto nemmeno all'ambulatorio, nelle case dei malati o quando lo chiamavano per altri accidenti in quella parte dell'isola che gli competeva. Passava, però, per molto preciso; non indulgeva a chiacchiere inutili e alla gente non dispiaceva affatto. Un suo “ci si fa” era speranza non vana; un suo “non c'è nulla da fare” era sentenza.

Un ventiquattro dicembre a tarda sera, mentre era in casa a tacere con la moglie che preparava una cena niente affatto speciale, il dottor P. sentì bussare alla porta perché i telefoni ancora non c'erano. Sforando la sua quota di parole giornaliere, chiese alla moglie di andare a vedere chi fosse, sentì confabulare e dopo un po' gli si presentò un ragazzo di una ventina d'anni, che conosceva. Era uno dei figli di R.V. (le iniziali, a volte, giocano garbati scherzi), e il dottor P. ebbe voglia di mettersi le mani nei pochi capelli che gli erano restati sul capo.

- Salve, -disse il dottor P. al ragazzo.- Che ha combinato tuo padre stavolta?

- Niente dottore. Si è sentito male. Muore.

- E tu come lo sai che muore?

- Me lo ha detto lui che si sente di morire. Non voleva che venissi. Me lo hanno ordinato mia madre e mia sorella di venire da lei, mio padre non lo sa nemmeno.

- Ce l'hai il carretto col somaro? Sennò mi tocca tirare fuori il mio.

- Ce l'ho. E ho portato anche una lanterna.

E al dottor P. toccò vestirsi, prendere la borsa, dire alla moglie di mettergli la cena da parte e avviarsi col ragazzo, che si chiamava, forse, Giovanni. C'era da fare un pezzaccio di strada, faceva di quel freddo umido che all'isola era consueto, e durante tutto il tragitto i due non si scambiarono nemmeno mezza parola per sbaglio. Non ce n'era bisogno. Il padre del giovane era una testa matta delle più compiute: cavatore; anarchico; incarcerato; e di nuovo in cava, e di nuovo in galera. Era venuto una volta in visita il Re, qualche anno prima, e lui lo aveva accolto facendo cacare tre cavalli sul percorso del regio corteo; un'altra volta, a un carabiniere che lo stava redarguendo sul porto perché stava appiccicando dei fogli che non contenevano parole di simpatia nei confronti dell'Arma, aveva all'improvviso -appunto- sfilato l'arma e, puntandogliela sotto il naso, lo aveva costretto a tuffarsi in acqua, in divisa, e un ventiquattro di febbraio. Da quando avevano impiantato lo stabilimento, ed erano arrivati operai anche da posti che all'Elba mai si erano sentiti nominare (ce n'era uno di Guardia Sanframondi, un'altro di Castell'Arquato e un altro ancora da Airolo nel Canton Ticino), ogni giorno stazionava nei pressi a cercare di anarchizzare qualcuno; e siccome ai Carpani c'erano anche due o tre osterie, ci riusciva non di rado. Il sindacato anarchico, all'Elba, era diventato il più numeroso; e così R.V. aveva trovato il modo di girare parecchie carceri, di essere guardato a vista e di fare figli; sei un tutto, quattro maschi e due femmine. Uno dei maschi, quand'era bimbetto, lo aveva visto a confabulare con un prete che lo accarezzava paternamente; prima accarezzò lui il prete non paternamente, poi accompagnò paternamente assai il ragazzo a casa a calci in culo dicendogli che se lo vedeva ancora a parlare con quel pretonzolo manfruito di merda, gliene avrebbe fatta passare la voglia definitivamente. Per l'appunto era proprio quel ragazzo che stava accompagnando il dottor P. sul carretto a somaro dal padre presupposto morente. Doveva succedere prima o poi; e anche se il dottor P. non era poi quel che si dice un cristiano praticante e assiduo, non poté fare a meno che il destino stava giocando un tiro mancino a quel senzadio. Crepare la notte di Natale, ma guarda un po'; magari proprio alla mezzanotte, quando si sentono sonare le campane. Sai le bestemmie. E arrivarono alla casa di R.V. e della sua famiglia, un merdaio sulla strada del Viticcio dove d'inverno si bubbolava dal freddo e dove si diceva, con immensa malignità ma forse con qualche cosa di vero, che i fratelli si scaldassero alle sorelle, e anche tra fratelli stessi. C'era un puzzo d'ogni cosa e una sola candela accesa, presumibilmente rubata in chiesa. Il vecchio era sdraiato su un pagliericcio foderato alla meglio, con sopra due coperte lacere e bisunte; la moglie stava al capezzale con aria assente, mentre le due figlie versavano al dottore e al fratello due bicchieri di vino.

- O che succede?, disse il dottor P.

- Succede che moio. A voi chi vi ha chiamato?, disse il vecchio scatarrando paurosamente.

- Ir su' figliolo, e non v'azzardate a dirgli nulla. Di che vi sentite morire?

- D'ogni cosa. Non ce la fo a respirare. Al posto del cuore mi sento il bottino. Non ci ho più voglia di bere.

Fu quell'ultima cosa a far decidere al dottore che forse il vecchio maledetto stava crepando davvero. Doveva avere cominciato a bere come una cisterna a dodici anni, e sebbene sapesse come si preparava un ordigno, non poteva esisterne di più potente di una sua fiatata quando ci si metteva d'impegno. Aveva una barba che ci si poteva arrotare un coltello, poi. Il dottor P. tirò fuori l'arnese di Laënnec, ascoltò un po' dentro quella carcassa e sentì una serie di brontolìi e gorgoglìi che gli fece supporre un edema polmonare in corso; bisognava portarlo all'ospedale, ma l'ospedale aveva il non leggero difetto di non esserci, a Portoferraio. Bisognava aspettare la mattina dopo, e la mattina dopo sarebbe stato troppo tardi. Si fece dare un bicchiere d'acqua, ci sciolse dentro una polverina e gliela dette da bere.

- Su, bevete questo.

- Che è?

- Qualcosa che vi può fare, forse, arrivare a domattina. Poi si va a Piombino col Santissimo Sacramento.

- Io con quelli lì non vo da nessuna parte.

- E invece bisogna andarci. Preferite la Misericordia?

- Io li ammazzerei a tutti e due. Mi lasciate morire quando voglio io?

- Perché, volete morire?

- Se mi tocca, sì.

- E allora se non volete andare, sapete cosa fo? Io me ne torno a casa e vi lascio crepare, testone che non siete altro.

- Ecco, sarà bene. Io non vi ho fatto mandare a chiamare. La bonanotte.

- La bonanotte a voi, e se ci ripensate sono affari vostri.

- È tutta la vita che sono affari miei; voi andatevene per i vostri.

Il dottor P., in silenzio, s'avviò verso la porta del tugurio assieme al ragazzo che doveva riaccompagnarlo; socchiuso l'uscio, si sentì però un tramestio. In quella casa mancava tutto, ma non un fucile carico; il fratello maggiore lo prese e uscì gridando dei “chi è?” nel buio.

Dopo un po', e dopo qualche non cortese invito a uscir fuori alzando le mani, la lanterna illuminò il viso di un uomo, magrissimo, con una barbaccia lunga e nera e un'inconfondibile montura. A strisce. Disse qualcosa in italiano stentato, ma si capì tutto e subito. Se ne parlava del resto, all'isola, da qualche giorno; dalla prigione di Bastia, in Corsica, erano scappati quattro detenuti che poi si erano impadroniti di una barca da pesca e, non si sa come, erano riusciti a prendere il largo. Era sicuramente uno di quelli, che dovevano essere approdati chissà dove all'Elba; e proprio quella sera era capitato nel posto peggiore e in circostanze pessime. Il dottor P., che si ricordava un po' di francese, gli disse:

- Es-tu un prisonnier?

- Oui. Je ne veux qu'un morceau de pain et un verre d'eau, je n'ai rien mangé depuis trois jours. Puis je me casse. Je ne veux pas vous déranger.

Il dottor P. tradusse tutto al figlio maggiore di R.V., che fece passo per entrare in casa; il dottore lo fermò e gli disse sottovoce:

- Ma dove vai? Piuttosto dì a tuo fratello di andare a chiamare i carabinieri, questo è un evaso, un criminale, hai capito?

- Ha chiesto un pezzo di pane e un bicchier d'acqua, io glieli vo a prendere. I carabinieri andate a chiamarli voi, se volete. Io non ci vo.

Tale padre e tale figlio, e il dottor P. cominciò dentro di sé una litania abbastanza consueta, che recitava qualcosa come accidenti a me e quando sono uscito, anzi no, accidenti a me e quando ho deciso di fare il medico; accidenti a questi stronzi, accidenti a quest'isola di merda, accidenti a ogni cosa e accidenti anche al padreter... si fermò. Non sapeva che fare. Se si fosse saputo che lui, medico condotto e ufficiale pubblico, non era andato a denunciare un ricercato, anzi un evaso di prigione, lo avrebbero preso per un complice; la sua professione, la sua vita, tutto sarebbe finito. Ma davanti a sé aveva anche un essere umano che chiedeva da mangiare e da bere, e quei disgraziati presso i quali aveva dovuto recarsi, con un moribondo in casa, non avevano avuto dubbi. Erano andati a prendergli pane e acqua. E i due figli, il grande e il piccolo, erano tornati con un grosso pezzo di pane, un bicchiere d'acqua, un altro di vino e una coperta. Il dottore tornò dentro.

Vide il vecchio che rantolava; si era fatta levare una delle coperte di dosso. Il dottore disse a una delle figlie:

- Ma siete impazziti? Gli levate una coperta a vostro padre che muore?...

- Ce lo ha detto lui.

- Ma se non parla più nemmeno...!

- Ce lo ha detto con gli occhi.

- Ma qui si muore di freddo...!

La moglie, che non aveva detto niente fino a quel momento stando al capezzale del marito, alzò la testa e disse piano:

- Qui siamo tutti vivi, e se lui muore non gli servono più le coperte.


Il dottor P. non seppe più da che parte rifarsi; la porta si aprì, e i due figli di R.V. entrarono assieme all'evaso, che stava addentando il pane e bevendo l'acqua e il vino con l'avidità degli affamati e degli assetati veri. Disse qualcosa.

- Je m'en vais. Vous n'avez rien vu. Je ne sais pas où sont mes camarades. Merci.


Il dottore lo guardò per un attimo. Doveva, forse, essere accaduto qualcosa, là dentro. Si alzò e gli disse nel suo francese scolastico d'una scuola perduta negli anni:

- Attendez. Je suis un docteur. Asseyez-vous un moment s'il vous plaît...

- Pourquoi...?

- Vous n'êtes pas en bonne santé. Je vais vous faire une petite visite.

- Merci mais c'est dangereux, m'sieu. Je suis un prisonnier évadé.

- Je le sais. Asseyez-vous.

Il vecchio continuava a rantolare, oramai allo stremo; non una lacrima in quella casa. A sedere su una seggiolaccia di legno, l'evaso si era tolto la divisa da carcerato e si faceva visitare dieci anni di cella, perché la galera è una malattia tremenda. Si vedevano le costole. C'erano delle strane piaghe qua e là, sulla schiena e sulle gambe. Doveva essere stato picchiato parecchie volte. Non doveva avere più di quarant'anni, e il dottor P., terminata la visita, tirò fuori dalla borsa delle pasticche bianche.

- Écoutez. Vous êtes en état de dénutrition grave. Acceptez ce médicament, ça vous fera du bien.

L'evaso prese tre di quelle pasticche e le inghiottì con un po' d'acqua; aveva un'aria strana, forse stupita, forse no. Poi non disse niente. Gli fu data una vecchia camicia d'uno dei figli e un paio di pantaloni da lavoro, di fustagno grezzo; la divisa da carcerato fu messa nel camino spento, e un paio di mani di ragazza provvidero immediatamente a farne due minuti di fuoco acceso. Disse ancora due o tre “merci”, e andò a accarezzare piano la testa del moribondo, che aveva smesso oramai persino di rantolare; poi se ne andò nell'oscurità, prendendo chissà che sentiero.

Altro non si poteva fare.

Il figlio minore di R.V. si offrì di riaccompagnare il dottor P. a casa col carretto; ma il dottore rifiutò. Disse che se la sarebbe fatta a piedi, e del resto c'era abituato da decenni. Il ragazzo non insistette, e il dottore si rinfilò il cappotto, prese la borsa e s'avviò; la sua visita l'aveva fatta, anzi ne aveva fatte due; ora, in quella casa, era attesa a breve un'altra visita.

E passò un venticinque dicembre, il dottor P. a casa, dicendo ancor meno parole del solito. La moglie, che lo conosceva, aveva capito che non era proprio il caso; insieme se ne andarono in paese con l'intenzione di prendere una messa poco convinta, e finirono per non andarci nemmeno. Piuttosto, se ne andarono a fare due passi, a braccetto, per una mezz'ora. Vicino al vecchio mercato, là dove s'apre la spiaggia del Grigolo, il dottor P. fu attirato da un capannello di persone che sembravano ascoltare con attenzione qualcuno che parlava concitato. Senza dir niente alla moglie, si staccò da lei per andare a ascoltare, mosso da chissà quale curiosità; arrivato all'assembramento, si sentì quasi mancare. La moglie, accortasene, andò verso il marito rimanendo di stucco anche lei: in piedi su una cassetta da marinaio c'era R.V., con addosso un pastrano, che stava, in piena salute, arrigando la folla:

Perché non è più accettabile, cittadini, compagni, che i carabinieri ci entrino nelle case alla ricerca di chissà cosa, quando invece in questo giorno che i preti vorrebbero dedicato alla nascita del loro idolo le famiglie sono disturbate da uomini in armi che cercano uomini indifesi condannati alle terribili galere della borghesia! Compagni, è necessario ribellarsi! Ma quale Natale? Con quale faccia ci vengono a parlare di bontà? In questo giorno vi invito a brindare alla salute di quattro uomini braccati, e ad aiutarli se potete! Non lasciamo che cadano nuovamente nelle mani della sbirraglia!

Il dottor P. sudava freddo. R.V., che stava morendo soltanto poche ore prima, ora era là in mezzo, a tuonare come suo solito, e con la solita pattuglia di gendarmi che gli si stava avvicinando per portarlo via. Senza farsi vedere troppo, sgattaiolò dietro il capannello di gente e fece cenno a R.V. di scendere un momento, facendo capire di non indugiare troppo. La pattuglia sembrava essersi fermata a interrogare dei passanti; e il dottore s'accorse che non soltanto s'era fatta una mattinata piena di sole, ma che faceva persino un caldo bizzarro, anormale per quella stagione, da stare in maniche di camicia. Prese R.V. che era sceso dalla cassetta, e lo tirò via in un cantuccio del vicolo accanto.

- Ma voi non eravate moribondo...? Mi avete preso in giro stanotte...?

- Giuro di no. Stanotte io stavo morendo, dottore.

- E ora...? Non avete l'aria d'un morto!

- E ora non so che dirvi. Io mi sono sentito andare via, poi stamani mi sono risvegliato e ho capito subito di non essere all'inferno. Magari. Ero in casa mia, che è ben peggio! E non mi sono mai sentito meglio negli ultimi vent'anni, dottore. Davvero. Piuttosto, se vi capita di rifarmi un salto a casa date un'occhiata a mia moglie; stamani, quando mi sono alzato, a quella poveretta è preso un coccolone e s'è messa a gridare al miracolo. Glielo do io il miracolo, a quella! Ora stai a vedere che mi diventa un avanzo di sagrestia! Maledetti preti!

E, su quell'urlo, tornò a rivolgersi agli astanti mentre i due carabinieri scuotevano la testa; il dottore aveva un'aria stralunata, mentre la moglie gli si avvicinava per dirgli qualcosa.

- Ascolta Romualdo...i carabinieri vogliono farti delle domande...

Il dottor P. si sentì morire; sicuramente era trapelato qualcosa della visita della sera prima, e quelli oramai già sapevano che aveva curato un criminale evaso da un carcere còrso. Pallidissimo, il dottore andò dai carabinieri.

- Dottore, scusi se vi disturbiamo...

- Ma prego...a vostra disposizione...

- Avrete sentito parlare dei quattro evasi da Bastia...

- Certamente...

- Poiché voi siete sempre in giro anche a ore tarde...vi è capitato di vedere questo? Gli altri tre li abbiamo ripresi, ma questo manca all'appello...

Con una singolare decisione, il dottore prese il foglio portogli da uno dei carabinieri, e riconobbe immediatamente la persona che vi era raffigurata in fotografia.

- Mi dispiace, ma non l'ho proprio visto...

- Eppure sappiamo che ieri sera siete stato chiamato per una visita sul tardi...e anzi sappiamo anche da chi siete andato...

- Stava davvero male, ma si vede che l'ho curato bene. Oggi mi sembra bello arzillo!

- Voi siete un bravo medico davvero...ce l'hanno detto anche a noi che stava male, quel bell'elemento...e ora eccolo qua! Ma tanto è inutile, tre li abbiamo già ripresi...

- E quell'altro?

- Sembra essere svanito nel nulla, ma non andrà lontano. Volete dargli ancora un'occhiata?

- Ma certo. Si sa come si chiama?

- C'è scritto sul foglio...

E il dottor P. lesse le note informative redatte dai Regi Carabinieri su indicazione della Gendarmeria francese. J.C., 33 anni, nato a Maisondupain, dipartimento del Gard. Ladro di professione, specializzato in furti ai danni di chiese e templi. Simpatizzante anarchico a detta di alcuni suoi compagni. Condannato a 23 anni di carcere per rapine e percosse; vive da anni assieme a un'adultera con cui ha avuto una figlia. Rinchiuso da anni dieci nel carcere di Bastia. Evaso in data 19 dicembre 19.., ricercato su mandato internazionale.