domenica 17 marzo 2013

Sedici marzo



Se vado ad una manifestazione (ma credo che, per quella che si è svolta ieri a Milano per il decimo anniversario dell'assassinio di Davide "Dax" Cesare da parte di tre fascisti, il termine sia quantomeno riduttivo), usualmente non mi piace eseguire né dei resoconti, né dei racconti. Non c'è nulla da rendicontare o da raccontare, anche se durante un corteo militante di cose, piccole e grandi, ne accadono a decine, a centinaia. Anzi, mi spingerei a dire che, se eravamo in diecimila come s'è scritto da più parti (anche, in alcuni casi, nei media di regime), le cose accadute sono pari a ciascuno dei partecipanti, ad ognuno dei compagni e delle compagne che, da tutto il Paese, sono saliti a Milano per farsi nove chilometri di marcia niente affatto tranquilla e indolore. Anche per questo non racconto nulla; tra i lettori più o meno "assidui" di questo blog ce ne sono infatti alcuni cui piace molto stampare alcuni articoli per depositarli sulla scrivania di qualche "grande capo", come ho avuto modo di constatare direttamente a partire da qualche tempo fa. 

Sedici marzo. Compagni ammazzati / I morti sul lavoro / Che cazzo ce ne frega / A noi di Aldo Moro. Qualcuno si è ricordato anche ieri di questa data, urlando questo slogan durante il corteo. Ero dietro allo striscione di Firenze Antifascista, mentre proprio a Firenze sfilavano in pompa magna certi repressori togati che rappresentano alla perfezione lo "spirito" di quella sottomarca di "sinistra" tutta magistrati e "legalità" che fa benissimo, direi, a confondersi con i Mandaingalera, in modo da poter tirare fuori le loro bandierine e i loro tricolori. A Milano c'era invece non soltanto chi fa antifascismo, ma chi sa erigere ancora una barricata invalicabile davanti a lorsignori e alla loro amata "legalità" di assassini. Ci sarà perdonato se ancora, in modo ostinato e, più che altro, non più supportato da alcun "clima favorevole" (a parte quello atmosferico, che ieri a Milano ha consegnato una giornata di sole e quasi primaverile), non ci limitiamo a presenziare ai funerali dei compagni ma cerchiamo di tenere presente che di compagni ne vengono ammazzati tuttora. Tutto questo riconoscendo, ovviamente, che parecchi di coloro che nel mese di gennaio sono andati a Coviolo davanti alla bara di Prospero Gallinari erano anche ieri a Milano in mezzo a tutti, per Dax ucciso a 26 anni a un angolo di strada. Oserei dire che tra i presenti, anzi, c'era anche Prospero. Come vederlo. Come sentirlo.


Passando davanti a quell'angolo di strada, in via Brioschi, m'è venuto da pensare ai luoghi in cui ti può cogliere la morte fascista. Un posto anonimo nella Metropoli, nulla di simbolico nemmeno a cercarlo, un marciapiede da borse della spesa o da bar per un caffè fatto male. Si sentiva parlare di "neofascisti", ma a me quel prefisso, "neo-" non è mai piaciuto. Se significa "nuovo" vorrebbe indicare uno stacco che, in realtà, non c'è e non ci può essere. Sono sempre quelli e sono sempre loro, né vecchi e né nuovi. Sono quelli di sempre, coi loro "tricolori" di merda che, peraltro, condividono sempre di più con chi li ha così ben foraggiati, propagandati e fatti sentire liberi di agire. E così si prosegue nell'azione, quotidiana, senza sosta, senza tregua anche quando non appare. Quello di ieri non è stato uno di quei cortei "allegri e colorati" che piacciono tanto a quelli che, poi, esplicano mirabilmente la loro "allegria" nella delazione, nella menzogna e nel collaborazionismo fattivo con lo Stato e con la sua polizia. Quelli è bene che vadano a sfilare coi donciotti e coi Casellon de' Caselloni. Non era allegro il corteo, e si toccava la tensione; la quale ha avuto modo di essere tradotta in un linguaggio che bisognerebbe ricominciare a usare quotidianamente, con tutta la sua grammatica e la sua sintassi. L'ho sentito ben parlato, ieri, quel linguaggio a Milano; e lo deve aver capito abbastanza bene anche il borgomastro Pisapia, che fa una rima sempre migliore con "ipocrisia". Niente di cui stupirsi, quando si fa capire con le buone o con le cattive che un compagno ammazzato continua a vivere soltanto a condizione di continuare la lotta. Nella Metropoli come ovunque. Chi dice "Dax vive" deve sapere bene che cosa significa, altrimenti rischia solo di fare uno sterile esercizio retorico. Chiudo qui. Si va avanti, con le immagini di ieri negli occhi, con una Milano restituita, e con una data parecchio importante.