Ma andiamo con il famoso minimo d'ordine, certo.
Che cos'è Thapsos? Thapsos saliva su dal profondo, e quelle sillabe, Θαψός che bisognerebbe pronunciare con l'accento sulla “o”, Thapsòs e non Thàpsos, riescono ancora a farmi salire su parecchie cose. Thapsos è il tempo che scorre. Thapsos è una sovrapposizione. Thapsos è anche lo schermo di un computer quando ancora non si sapevano molte cose che sarebbero accadute dopo; ma questo, dicono, è normale. Thapsos è, infine, persino lo stridente stupore di un incontro lontano.
Thapsos è un antichissimo villaggio, situato su un'isola che isola non è più. Col tempo è stata unita alla terraferma da una sottile striscia di terra, formando quella che adesso è nota come “Penisola di Magnisi”, sulla costa a mezza strada tra Augusta e Siracusa. Il villaggio di Thapsos, di cui restano le rovine, è uno dei più importanti siti archeologici protostorici siciliani; risale alla media Età del Bronzo. Per capire meglio l'importanza che avrebbe, gli studiosi parlano addirittura di “Cultura di Thapsos”.
Inserito in ciò che era un ambiente naturale straordinario, Thapsos sarebbe dovuto essere il centro storico-culturale principale di tutta l'area. Ma sono soltanto sassi e rovine, improduttive pietre. Anni fa, l'intera aerea fu sottoposta a una pesantissima industrializzazione: il petrolchimico Montedison di Priolo Gargallo. In pratica, Thapsos e la Penisola di Magnisi si sono venuti a trovare nella zona industriale a nord di Siracusa, tra cemento, acciaio e petrolio. Tra fumi, miasmi e ciminiere. Thapsos è stata ucciso, e solo da poco -sembra- si è ricominciato a “valorizzarlo”; a lungo l'area archeologica non è stata neppure visitabile liberamente. Ma cosa si vorrà “valorizzare” in una situazione del genere, non è chiaro. Siamo nella stessa area, del resto, dove anche un intero paese, Marina di Melilli, fu raso al suolo per far posto all'espansione saturante del polo petrolchimico siracusano.
Si tratta, in pratica, del capitalismo e della sua industria chimica. Si tratta del ricatto del “lavoro”, lavoro che poi, come sempre, è stato eliminato quando il mercato non ha più ritenuto convenienti i prodotti di quella data area. Si tratta della nascita e della morte di una classe operaia. Si tratta, infine, di un'amara vendetta; ora che la chimica agonizza, si torna a cercare di riqualificare la costa per farne delle “località balneari” in mezzo alle ciminiere; e ci si accorge di Thapsos in una terra in cui persino una chiesa è dedicata a “San Giuseppe Operaio”.
Nel 2000, per i “Dischi del Manifesto”, il toscano Riccardo Tesi e la sua Banditaliana (con Maurizio Geri che sono lieto di conoscere di persona) realizzano, a dir poco, un capolavoro assoluto. Un disco che prende nome da Thapsos, e che è aperto proprio dalla canzone, stupenda, che qui si presenta. Il cui testo è stato scritto dal siciliano Carlo Muratori.
E il ricordo che mi assale è un brivido
Dove sei, mi confondo
Un sentiero vedo e un velo candido
Ritorna solo ciò che può
Quel che vale prima o poi quel che merita
Riluce un labbro su di me
Su un tramonto a Thapsos
Che ci insanguina
Dónde estás María
Bianche pietre ora schiacciano l'edera
Dónde estás María, dónde estás
Dónde estás María
Le ringhiere invase da bougainville
Dónde estás María, dónde estás
Batterò pietre e mandorle
Fino a sera questa sera sognerò
Ritorna quando lo vorrai
Quel tramonto resta qua
Abita a Thapsos
Rimane muto senza te
Anche il canto del mio mare
Che ci tumula.
Mi fece conoscere questa canzone, e l'intero album, una persona che, allora, abitò brevemente a casa mia. Pochi mesi. Teneva là anche alcuni dei suoi cd. Volevo molto bene a quella persona, allora; fu amore al primo ascolto anche per quest'album. L'oggettività mi impone di dire anche che quella persona aveva (e, presumibilmente, ha ancora) una singolare capacità nell'individuare fiori nel letame (per dirla con De André) per quanto riguarda le arti musicali e cinematografiche. Arrivai quindi, ad un certo punto, a chiamarmi anche “Thapsos”. Dieci anni fa esatti. Tanto mi ero compenetrato con questa canzone, nella quale c'è un'isola; e quando ci sono di mezzo le isole, io ci sono.
Chiamarmi “Thapsos”? Non sto a raccontare tutta la storia, sarebbe troppo lungo. Eravamo un gruppo di persone che ci eravamo conosciute, tutte, in una Internet che ora fa la stessa impressione dell'Età del Bronzo della penisola di Magnisi. Ci vedevamo, ogni sera, su un “canale IRC”; in epoca di social networks, parlare di un canale IRC potrebbe sembrare davvero tornare alla preistoria delle relazioni in Rete. Ma così è, e nascevano anche allora amori e odi, discussioni e risate, lacrime e ire, momenti di pace e momenti di guerra. Su quel canale IRC entravo con il “nickname” di “Thapsos”; così ho parlato per la prima volta anche con... beh questo non ve lo dico.
Dieci anni dopo, eccomi qua. E vorrei dedicare questa cosa in primo luogo a quella persona che mi vide entrare, una sera, scontrosamente sul canale IRC come “Thapsos”. Vorrei dedicarla a tutti coloro che ancora oggi sono qua. Vorrei dedicarla al tempo che passa, torna, ripassa e ritorna. E vorrei dedicarla ad un sogno che non muore, di cui anche questa è una parte.