martedì 14 maggio 2013
Trippa al sugo
I' trippajo di una piazza vicina a casa mia, come gli dico sempre, ce lo deve avere avuto nel dienneà; oppure, come gli dico altrettanto spesso, è born tu bì trippajo. Ce l'ha nel sangue: trippa, lampredotto, centopelle, poppa. Oltre alle preparazioni classiche fiorentine, fa delle "variazioni sul tema" di sua creazione che lo rendono, a mio immodesto parere, uno dei migliori trippai di Firenze. Superiore di due spanne anche a quelli del mercato centrale; in questa piazza di periferia, poi, di turisti non ce ne vengono. Alle dieci e mezzo di stamani, quando ci sono passato, c'era il casino di una bella mattinata di metà maggio; e, naturalmente, già la gente a mangiare lampredotto e dintorni. Bisognerebbe fare un'attenta disamina sul cibo da strada, cosciente che potrebbero capirmi bene soltanto i napoletani, i siciliani e, forse, i romani; però quel che è successo stamani ha a che fare col cibo da strada soltanto come efficace arma di persuasione. Vo a spiegarmi meglio.
Mi sono fermato cinque minuti a fare due chiacchiere col mio amico trippajo, di cui sono molto fiero d'aver tenuto a battesimo il figlio: nel senso che il primo panino col lampredotto preparato dal ragazzo (diciassette anni) l'ho ordinato, a suo tempo, io. E il buon sangue non mentiva. Tra il capannello di mangiatori ho notato una persona mai vista: un tizio molto alto, non certamente un ragazzo, massiccio e con i capelli lunghi raccolti a coda di cavallo. Vicino a lui c'era il classico omino, o umarell, col giubbottino blé ancora chiuso ben bene nonostante la temperatura quasi estiva, che stava discutendo con altre persone. Confesso di nutrire una discreta passione per le discussioni in piazza; sono sempre un indice dei tempi, e attribuisco loro una speciale importanza nella propensione che ho a osservare e registrare il mondo da posizione sotterranea.
Va da sé: la tentazione di ordinare anch'io un panino, o un piatto di trippa al sugo bene incaciata, era forte. Ma mi devo, come è noto, trattenere; la botta che ho avuto due anni fa è stata forte, e ho imparato a resistere. Già in saccoccia avevo i sigari che, a rigore, non dovrei vedere nemmeno col lanternino; nel frattempo la discussione continuava, e l'omino col giubbotto blé aveva attaccato una concione sui recenti fatti di Milano. Quali sono questi recenti fatti? L'immigrato ghanese che, a Milano, è completamente impazzito all'alba, prendendo a picconate dei passanti a casaccio e ammazzandone tre (nonché ferendone gravemente altri). Pazzo furioso, sì, anche se magari la pazzia può essere stata aiutata da certe particolari condizioni di vita che non sto nemmeno a spiegare; e, come è notissimo oramai, la follia va bene soltanto quando produce suicidi o stragi in famiglia. Negli altri casi, invece, produce presidi della Lega oppure ometti coi giubbottini blé.
Animatamente e con aria da concione, il suddetto omino blè-giubbottato esprimeva il suo illuminato pensiero con tanto di dito puntato: "E poi per quello che ha ammazzato quelli là in piazza Dalmazia hanno fatto le manifestazioni! Ha fatto bene, invece, a ammazzarli! Così se ne tornano tutti a casa!". Va fatto presente, peraltro, che la piazza del trippajo è letteralmente piena di senegalesi, un paio dei quali conoscevano pure di persona Diop Mor e Samb Modou. "E gli è ora di finirla con questi!...."; ma non ha fatto i tempo a finire il comizio, l'omino col giubbotto blé. Il tizio mai visto, quello alto coi capelli a coda di cavallo, che fino a quel momento era rimasto zitto a mangiarsi il suo panino (beato lui!), si è alzato in piedi; uno da averci abbastanza poca voglia di farci a manate, garantisco. Si è diretto verso l'omino.
"Scusi, ma secondo lei allora quello lì ha fatto bene a ammazzarli, quello in piazza Dalmazia?", gli ha detto. "E quello lì a Milano allora ha fatto bene?", ha risposto l'omino. "Quello a Milano era uno completamente impazzito", ha ribattuto il tizio con la coda di cavallo. "E perché, quello di piazza Dalmazia 'unn'era pazzo...?", ha di nuovo controbattuto l'omino. "No!" -ha tuonato l'altro. "Quello di piazza Dalmazia non era pazzo, era un fascista di merda, hai capito? Un fascista di merda di Casapound, un fascista come te, hai capito?" Al che l'omino col giubbottino blé ha cominciato a preoccuparsi, anche vedendo che nessuno stava intervenendo in sua difesa. Né tantomeno io, che guardavo la scena molto interessato. Il destino ha voluto che il trippajo, proprio in quel momento, stesse passando al tizio alto il piatto di trippa al sugo che aveva ordinato: caldo, fumante, con il cacio sopra. Una meraviglia. La trippa alla fiorentina nel suo massimo fulgore; la quale, appunto, è servita all'istante come efficace e fùlgida arma di persuasione in quanto ho visto una manona sollevare il piatto di plastica e spiaccicarlo sul muso, con tutto il suo delizioso contenuto, all'omino col giubbotto blé tifoso del Casseri mentre lo teneva ben saldo pe' i' bàero. "Vai, o mangia la trippina, pezzo di merda!", sentivo dire al tizio alto con la coda di cavallo mentre ribadiva coscienziosamente la trippa sul viso del malcapitato, e mentre deliri di sugo, pezzi di trippa e cacio gli colavano sul giubbottino. E tutti zitti. Dopodiché il tizio alto ha pagato il suo e il piatto di trippa armata, e si è allontanato con calma mentre l'omino pure se ne andava visibilmente tremante e ancor più visibilmente ridotto a un concio di sugo di pomodoro, trippa nel colletto della camicia e cacio parmigiano nei capelli. Uno che ci ripenserà un paio di volte prima di rifarlo; e poiché il fatto è avvenuto in una piazza affollata, chissà che non si possa ritirar fuori il vecchio detto, "Colpirne uno per educarne cento".
Tornando a casa a piedi e ripensando all'episodio testè osservato, mi sono messo a ragionare su cosa potesse effettivamente aver armato di trippa al sugo la mano dello sconosciuto tizio coi capelli a coda di cavallo (il quale, peraltro, parlava con accento strettamente fiorentino). In quella mano che sollevava il piatto pronto a spiaccicarlo sul viso dell'anziano razzistello ci potevano essere tante cose; e non solo piazza Dalmazia. Ci potevano essere, ad esempio, quei tanti bravi nonni di famiglia, tutti casa e nipotini, che al bar dicono che la ragazzina di quattordici anni stuprata dal branco se la è cercata perché portava i jeans a vita bassa. Oppure ci potevano essere quelli che scrivono le letterine alla "Nazione". Ci poteva essere quella comitiva familiare in pizzeria (pure da me vista e sentita venerdì scorso) che, tra un boccone e un bicchier di vino, proponeva di "schiacciare la testa agli zingari"; ci potevano essere le grida di "metteteli al muro" che esprimono alla perfezione ciò che è diventato questo paese non tanto nella sua "classe politica", quanto tra la gente stessa. Il cosiddetto "paese reale", insomma, e nelle sue classi popolari. Questo non è un quartiere di lusso, e bisognerebbe pur cominciare a pensare che l'Alba Dorata può essere davvero il giorno dopo.
Io credo che non bisognerebbe mai "lasciare stare". Che bisognerebbe imparare a controbattere e, possibilmente, in modo persuasivo. Ne ho abbastanza dei "pacificatori" e di quelli del "ma che te ne frega..."; e gli interventi dovrebbero essere non su una generica "politica"con tutto il suo lessico oramai stantio (tipo la "casta" e roba del genere), perché in realtà una "casta" di ometti coi giubbottini blé, che formano l'intelaiatura di una società davvero votata non solo alla follia, ma alla preparazione di un fascismo oramai in fase avanzatissima, ce la abbiamo, e tangibile, sotto gli occhi non appena mettiamo il naso fuori dal portone e ci avviamo verso le normali e banali incombenze quotidiane. E "lasciare stare" dovrebbe essere chiamato col suo nome vero: complicità. Oggi ho visto un tizio alto e coi capelli a coda di cavallo che complice non lo vuole minimamente essere; e il suo piatto di trippa al sugo non è stato spiaccicato solo in faccia all'ometto, al "bravo nonno"tutto nipotini e sangue nelle piazze, ma a un mondo intero che ha da essere arrovesciato. Anche in un piccolo episodio di cui sono stato, casualmente, testimone.
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