mercoledì 19 giugno 2013

Taksim


Oggi ho fatto un salto in piazza Taksim, era quasi vuota. Ma non perché l'ha sgomberata con la forza la polizia; era vuota perché ancora non s'è riempita.

Proprio come tutti i giorni di questa tempesta. Dovevo andare all'ambulatorio comunale di piazza Taksim, sotto i portici fra la farmacia, la bottega del pizzicagnolo e il bar latteria, a ordinare le medicine. E' scoppiato il caldo, quello vero; è andata a finire che, per fare i seicento metri da casa mia alla piazza, ho fatto una camiciolata di sudore. L'ambulatorio, però, era ancora chiuso; ne ho approfittato per un giro.

C'era la solita gente di piazza Taksim, rarefatta e accaldata. Il trippaio che sonnecchiava senza manco un cliente. Due o tre spazzini che ripulivano la tettoia del mercato. Gli sfaccendati davanti al bar dell'Eva, la più bella di piazza Taksim, che giocavano a briscola e ventuno, o leggevano lo Stadio e la Gazzetta dello Sport. Un ragazzo senegalese a sedere appoggiato a una colonnina del portico, che si schiacciava una pennica. E il sottoscritto in attesa dell'apertura dell'ambulatorio, mézzo di sudore, in pantaloncini e con una maglietta arancione col gatto Silvestro che fa il pugno chiuso. Un giorno si riempirà.

Si riempirà, questa piazza Taksim a pochi passi da casa mia, quando si alzeranno i pensionati lasciando le carte da gioco sul tavolo. Quando il trippaio si metterà a distribuire panini a gratis alla gente che arriva a frotte. Quando si sveglierà il ragazzo senegalese con paio di sguardi differenti. Si riempirà come, in dei giorni qualsiasi come questo, si riempiono le piazze di tutto il mondo, dalla Turchia al Brasile. Arriveranno da ogni parte, anche in questa piazza addormentata e calcinata da sole di prima estate.

Si smetterà, allora, di credere nelle loro baggianate. Si smetterà d'andare a dare il voto di protesta a un buffone genovese, o al boy scout della Ruota della Fortuna, o al puttaniere di turno, o al responsabile altrettanto di turno. Si smetterà di leggere i giornalacci del "degrado" e si andrà in dieci, cento, mille, centomila piazze Taksim. E parleranno il presidente, il ministro, il capo della polizia e il vigile urbano, magari proprio quello della squadretta adibita ai pestaggi; e, mentre parleranno, prepareranno già i loro idranti insanguinati, i loro manganelli rinforzati, i loro peperoncini e le loro democrazie. 

Toccherà pigliarli addosso. Al trippaio, agli sfaccendati e alle loro carte da gioco, al senegalese, ai vecchietti che passano, al tipo sudato con la maglietta del gatto Silvestro. Toccherà assaggiare la brutalità e la violenza dei figli dei lavoratori. Toccherà concluderne, come avranno fatto ad esempio quelli nella piazza Taksim di Terni, che parecchi lavoratori avrebbero fatto meglio a farsi una vasectomia prima di mettere al mondo dei figli del genere. Toccherà appallottolare le gazzette di uno sport diventato uno strumento di repressione come gli altri. Toccherà essere sgomberati a Istanbul per riformarsi a Rio de Janeiro, formarsi all'Isolotto per essere sgomberati e ammazzati a Atene, riformarsi ancora chissà dove e piangere lacrime di lacrimogeno, e essere sollevati fino alla luna da getti d'acqua mista a Zyklon B. Toccherà questo ed altro, prima di spazzarli via tutti.

E si riempiranno tutte, le piazze. Quando si capirà, senza ritorno, che piazza Taksim ce la abbiamo a portata di piedi, o a due fermate d'autobus. Che tutte le piazze del mondo sono fatte per questo, e che si parlano, e si rispondono. Che le piazze e le città intere se le sono prese, dappertutto, a base degli stessi ingredienti. Che Erdogan distrugge i quartieri in nome del degrado esattamente come Matteo Renzi, che la distruzione del parco Gezi e quella delle favelas sono figlie delle stesse cose. Che la militarizzazione e la repressione delle piazze la si combatte prendendo e andandoci, e standoci. Alla fine, quei loro maledetti idranti si seccheranno come gli acquedotti privatizzati. Alla fine, il peperoncino quello vero glielo strusceremo sul muso, legioni di habaneros e di diavolicchi calabresi ficcati nello sfintere a quei servi. 

E' aperto l'ambulatorio, finalmente, in piazza Taksim. Ne esco dopo un po', nel bollore estivo. E guardo la piazza, sempre vuota. Chiama e rispondi, anche qui arriverà; e che sia dal gran viale di Istanbul o dal viale delle Magnolie, è lo stesso vento.