giovedì 20 giugno 2013

Viglietti



Mentre no Brasil, nonostante uno sguizzero di merda che dice che il pallone è più importante de' poveri (senza conoscere la vera storia del pallone, fatta da poveri), con due o tre maniffe il prezzo de' viglietti di' busse cala, dalle nostre parti dell'Isolotto vi voglio raccontare tre quarti di cosa.

Da quando non ho più la macchina, se rientro a casa dopo le ventuno e cinquantacinque son fettoni. Prima di qualche mese fa, il 9 (linea storica nata con l'Isolotto, e che ha avuto pure il bus Aerfer a due piani), aspettava l'ultima corsa della tranvìa; poi è finito tutto. Il borgomastro ha deciso che la crisi dipendeva da due ore di corsa del nove, e allora ha tagliato tutto in nome del patto di stabilità e della majaladisumà. Al posto del nove ha messo il "Nottetempo": servizio a richiesta chiamando un numero che non risponde mai, e dopo vi spiego perché. Viglietto a quattro euri. 

Risultato: quando torno a casa dopo le ventuno e cinquantacinque, e ci torno sempre dopo perché a cinquant'anni mi potrei anche permettere di non osservare orari da seconda media, piglio la tranvìa e scendo a Batoni. Da Batoni a casa mia sono due chilometri e mezzo. Le soluzioni sono due: o piglio il taksim (taksim! taksim!), o me la fo a fettoni. In pratica, me la fo a fettoni passando dalla stupefacente via del Palazzo dei Diavoli. Alla fine c'è il tabernacolone della madonna; e la madonna a me, en resumidas cuentas, mi sta simpatica. Poi c'è via Cassioli col bar "Oasi" aperto fino a tardi, casomai mi pungesse vaghezza d'un caffeino o d'una techilina liscia del Giuseppe Corvo (quella hanno). Poi la tranquilla e segreta via Segantini con le sue rose. Poi la strada più corta di Firenze, via Passaglia. Poi l'ultimo pezzo della meravigliosa via de' Sabatelli che sbocca in via Pio Fedi. In via Pio Fedi, i' mi' amico pizzaiolo che ha votato per Grillo, che gli piscio sempre nel lavandino e lui s'incazza e dice che sono una bestia ma poi sta zitto perché è alto un metro e 55 e io quasi un par di metri. Poi casa mia, miao miao, miciuuuuuu, e lui arriva nero nero, sinuoso, insondabile e piacevolmente stronzo come san esser istronzi soltanto i gatti.

Divago.

I viglietti bisognerebbe essere in Brasile, la patria do futebol, o Maracanã (l'avrà mai saputo qualcuno che si pronuncia con la nasale finale?), lo sguizzero, le proteste, Cesare Battisti e la compagna Russeffa che para il culo ao capital nel nome d'un gesuccristo che se ne sta lassù sul Corcovado a braccia spalancate, ma non sono spalancate più per i pendolari. E, allora, bisogna scendere nella rua; e i viglietti calano. Qui no. Qui non c'è il Corcovado, c'è l'incrocio con via Lippo Memmi. Cammino nella notte profumata di gelsomini oramai mezzi marci. Fo una pisciata addosso a una Clio. Annuso l'odor di pasta di pane d'un laboratorio. Passo oltre due sedicenni che si baciano intuendo anche something else, che iddio li benedica. Che faticata, ma vado come un treno e le gambe filano; però non sarebbe giusto, ma bisognerebbe instillarci dentro un bicchierino di rebeldía. Va a finire che la rebeldía si mischia all'odore dei gelsomini marcenti, però. 

Eccomi a casa. 

Il numero del "Nottetempo", come mi hanno raccontato, non risponde mai perché c'è un solo operatore e non ce la fa mai a evadere tutte le chiamate. Si chiama, vagamente, truffa.

Nella foto, Daniel Viglietti, un grande artista uruguagio. Casualmente, il suo cognome è uguale a come son chiamati i biglietti negli scritti di Federico Maria Sardelli. Mi fumo un sigaro bevendo un caffè che mi fa venir sonno; la notte comanda. Il gatto nero gira e lancia occhiate d'infinito.