|
Frantz Fanon. |
Com'erano belli, i
Dannati della terra. Ma quelli lontani, che per trovarli bisognava
fare dei lunghi viaggi per andare, poi, a cacciarsi in guai grossi.
Da quando il Frantz della Martinica, o dell'Algeria, aveva scritto
quel suo famoso saggio pubblicato nel '61 da François Maspero con la
prefazione di Sartre, con un titolo che riprendeva il primo verso
dell'Internazionale di
Pottier (“Debout, les damnés de la terre!”), l'anticolonialismo
era entrato a pie' pari nel bagaglio del Rivoluzionario; e non sto
certo parlando di mezze calzette, ma di Steve Biko, di Ernesto
Guevara, di George Jackson. Il ruolo della classe, razza e
violenza nell'ambito delle lotte di liberazione nazionale, nuovo
modello mondiale, rivoluzione globale, anti-imperialismo; è
difficile immaginare gli anni '60 e '70 senza quel libro che ebbe
influenza sul movimento di liberazione palestinese come sulle
formazioni nordirlandesi, sulle Black Panthers e, praticamente, su
tutti i movimenti che lottavano per l'autodeterminazione, per una
nuova società e contro il razzismo. Roba di quando si voleva
cambiare il mondo; e quando si vuole cambiare il mondo, è bene che
il mondo rimanga lontano. O nelle idee,
se si vuole; e così, si creavano scenari collettivi mentre tutto
il mondo stava esplodendo
dall'Angola alla Palestina e
scoccava l'ora del fucile.
Un impeto di fratellanza e di condivisione pressoché totale con le
lotte di liberazione dei popoli in lotta contro il colonialismo
imperialista; i quali, appunto, lottavano in Angola, in Palestina,
nell'Irlanda del Nord, ovunque. Terre lontane, abitate da gente mai
vista. E chi lo aveva mai visto, un angolano? Di palestinesi, forse
ci sarà stato qualche studente qua e là; e, del resto, l'impulso a
scrivere questa cosa mi è venuto, nel tardo pomeriggio di stasera,
mentre passavo casualmente a piedi davanti al cenacolo di
Sant'Apollonia, nel centro di Firenze, dove hanno resistito al tempo
le scritte degli studenti greci antifascisti tracciate sui muri negli
anni '70, prima della caduta del regime dei Colonnelli. La
Rivoluzione doveva essere nell'aria, e l'aria non è limitata ad un
luogo, a una città, a un puntino nel mondo; l'aria avvolge tutto il
pianeta, e la Terra intera era in collegamento. L'Angola era appena
fuori dal tuo portone, la Palestina sulla strada accanto. Le Pantere
Nere erano in Santa Croce, la Grecia oppressa nel cenacolo, il
Vietnam vittorioso nelle cartelle; giravano le idee, le
teorizzazioni, i metodi, le pratiche adattate alle varie realtà. E i
Dannati della terra stavano dappertutto, soprattutto perché se ne
vedevano pochissimi. Ne arrivava, ogni tanto, qualcuno con viaggi
rocamboleschi; le città erano diverse,
e oggi se ne constata la scomparsa proprio mentre i Dannati della
terra sono, finalmente, arrivati.
|
"La Grecia ai greci - PAS". Firenze, S. Apollonia. |
|
Il
problema è sempre il solito. Erano stati immaginati un po' troppo.
Erano stati nominati Rivoluzionari per natura, fratelli e compagni
per diritto, e trasformati sbrigativamente in popoli
interi. In lotta, chiaramente; a condizione che la lotta fosse a casa
loro, raccontata da libri e reportages, resa universale da film e
canzoni, e vista quasi sempre attraverso dei leader,
o figure carismatiche, o eroi, o martiri, o teoreti. Si arriva,
probabilmente, a provare (forse inconsciamente) un certo senso di
inferiorità collettiva: nessuno parla certamente della lotta di
liberazione del valoroso popolo italiano, o francese. Ci vuole o un
regime oppressivo, e allora è tutto el pueblo de España
che lotta compatto contro Franco, o povo português
che si libera dal fascismo salazarista, o ellinikos laòs
che scrive sui muri di Sant'Apollonia; oppure qualche ignoto negro
colonizzato e sfruttato, prototipo del Dannato della terra che
infiamma le menti ed i cuori. Poi passa il momento. La Rivoluzione
non viene fatta per motivi che non sto a spiegare. Le scritte sui
muri sbiadiscono. Non si muore più ammazzati dalla polizia italiana
mentre si manifesta per l'aggressione all'Angola. Ci si rintana in
filosofie orientali o in eroine, oppure si prendono le armi passando
la vita in anonimi appartamenti aspettando che, una mattina presto,
sfondino la porta i Carabinieri speciali e ti terminino in mutande
nel corridoio, in laghi di sangue. Si va in galera a prendere atto,
quale che sia; un giorno si esce, e si continua a vivere abiurando o
restando fedeli, dissociandosi o tacendo, scrivendo libri o tornando
in galera, morendo o tenendo conferenze. Se non si è, naturalmente,
già morti, generalmente ammazzati. Nel frattempo, mentre accade
tutto questo, i Dannati della terra non cessano ovviamente di essere
tali; e, se si vuole, diventano ancora più Dannati. Ma non gliene
frega più niente a nessuno, dopo un po'. Non si sono liberati un
cazzo; anzi, in parecchi casi sono diventati ancora più schiavi.
Silenzio o quasi. Cinque anni prima ci si sarebbe indignati e scesi
in piazza per la Sierra Leone o per Timor Est, popoli fratelli e
dannati; cinque anni dopo manco si sa più dove cazzo siano la Sierra
Leone e Timor Est, forse accanto a Timor Ovest ma non è detto. Si
manifestano i rimpianti, le disillusioni e le spietate analisi degli
errori. Ci si continua peraltro a scannare verbalmente, perlopiù tra
fantasmi. Qualcuno decide di fare carriera, non di rado in modo
impensabile; qualcun altro si accontenta di un impiego sicuro, mette
su famiglia, si trasferisce in campagna e scopre una vasta gamma di
belle e interessanti cose, dalla medicina alternativa alla cucina
tradizionale. Ed ecco, un bel giorno, che i Dannati della terra
giocano un tiro mancino. Poiché nessuno o quasi li ha conosciuti,
imbracciano la loro Dannazione e cominciano a arrivare a frotte.
Pigliano
qualsiasi mezzo disponibile: gommoni, motoscafi, aeroplani, piedi, Trabant, camion, torpedoni, cammelli, navi fatiscenti,
barconi, ogni cosa. Visto che le lotte di liberazione
non hanno funzionato, cercano di liberarsi da pessime cose che
-peraltro- sono aumentate: guerre, fame e malnutrizione, malattie,
disoccupazione. Fermi restando la consueta tirannia (sovente in forma di democrazia) e lo sfruttamento; che è aumentato a
dismisura perché il colonialismo diretto delle occupazioni è quasi
scomparso, oramai i loro stati
ce li hanno pressoché tutti, ma è venuto allo scoperto il
colonialismo globale del Mercato, del Sistema capitalista trionfante,
dei modelli culturali. Dalle nostre parti, che son parti di antica
cultura urbana nella quale la solidarietà di classe aveva
avuto elevati momenti tanto da far parlare di “territori liberati”
per alcuni quartieri dei centri storici, siamo presi alla sprovvista.
Anche e soprattutto perché 'sti Dannati della terra non
corrispondono neanche un po' al gran bel libro di Frantz Fanon.
Ci
tocca quindi scoprire in primis che, ai Dannati della terra, non
gliene frega nulla della Rivoluzione e che non sono mica così internazionalisti come dovevano essere, porca paletta. I movimenti di
liberazione non hanno lasciato
traccia alcuna. In generale, i Dannati della terra preferiscono una
qualche forma di essere soprannaturale, sotto varie denominazioni,
che hanno scelto come supremo leader; invadono non solo le periferie,
ma anche i centri dai quali, nel frattempo, gli abitanti autoctoni
vengono coscienziosamente espulsi per far posto ai salottini, alle
banche, ai localini alla moda, ai negozi per turisti, alle pizzerie a
taglio, agli “stilisti”. Le vie un tempo “liberate” dalla
Rivoluzione postuma ventura si trasformano in suk con gran
costernazioni e isterie; e i Dannati della terra smettono di essere
“fratelli”, “compagni” o roba del genere, e diventano più
prosaicamente i Dannati di via Palazzuolo, di via Panicale, o delle
Piagge, o di San Donnino. Le Dannate della terra magari somigliano pure un po' a Angela Davis, però battono a partire da
una cert'ora sul viale Guidoni o nei pressi dell'uscita di
Prato-Calenzano; altri Dannati della terra, provenienti non di rado
da paesi mai presi in considerazione, cominciano a far dannare le
classi medie, i loro
giornali e le questure. Dai valorosi paesi d'un tempo giungono
notizie sconcertanti: i palestinesi non vanno più dietro al compagno
Arafat, ma a dei barboni che li mandano a immolarsi in nome di Allah.
In Iran, la Rivoluzione non la fanno i Mujahedin del Popolo, ma altri
barboni, il solito Allah e i veli che coprono le donne (esseri
notoriamente impuri e diabolici). L'Angola si sfibra in lotte
intestine (naturalmente e prontamente definite “tribali”).
L'Irlanda del Nord tira avanti per un po', poi alla fine si stufa e
tiene un po' di folklore, Shankill Road da una parte e i murales con
Bobby Sands e la Bloody Sunday dall'altra, divenuti ottime
attrazioni turistiche fotografate da ragazzotti di Lodi in posa
davanti alla scritta “You are entering free Derry”. E i vecchi
compagni d'un tempo, oltre ad essere appunto invecchiati, sono sempre
di più in preda a rabbie terribili.
Il
fatto è che avevano compiuto un errore, vale a dire quello di
fabbricarsi rivoluzioni altrui (magari a sostegno della propria,
certo) secondo ciò che avevano in testa; lo stesso errore, peraltro,
di chi la Rivoluzione la andava a “esportare”. Rivoluzioni altrui
senza conoscere nulla degli Altri, che comunque manco si vedevano.
Rivoluzioni immaginarie, perché la fantasia è una cosa bellissima,
ma non può andare al potere. La fantasia fa a cazzotti col potere.
La fantasia, casomai, il potere lo dovrebbe distruggere; ma questo,
forse, è un discorso diverso. Bellissime costruzioni che, alla fine,
servono soltanto per il solito rimpianto dei “vent'anni” e per
fabbricare il mito della “generazione”; il risultato è che
questi vecchi compagni, magari ancora scannandosi, insultandosi e
dichiarandosi odi inestinguibili, parlano di “generazioni” più
della Bibbia. E, una volta messi davanti ai Dannati della terra,
quelli veri che sono arrivati a centinaia di migliaia a sconvolgere
tutto quanto, hanno reazioni a volte un po' contraddittorie e
scomposte.
Chi
se li vede nei quartieri popolari a rubare, spacciare e fregarsene di
tutto e di tutti; chi se li vede nei campi di pomodori a prendersi
caporalate e fucilate; chi se li vede unirsi non per rivendicazioni
salariali o politiche, ma per avere una moschea; chi se li vede, una
volta ammazzati in Piazza Dalmazia, preferire una preghiera culo
all'aria allo scontro preconizzato; chi se li vede fare i furbi
individualisti; chi se li vede lontanissimi dai propri ideali d'un
tempo, agli antipodi, e comincia allora a provare rabbie spaventose
perché loro dovevano
essere così, come se li erano immaginati quando lottavano anche per
loro senza che loro
ne sapessero un accidente. Così, a volte, accadono cose curiose: ad
esempio, si sentono parlare compagni e compagne sessantenni con
accenti insoliti. I “fratelli” di un tempo sono diventati
“stranieri” come nelle bocche di leghisti qualsiasi o di
pensionati sull'autobus con la “Nazione” in mano; le “sorelle”
che si stavano “liberando” e che “prendevano coscienza della
loro condizione di donna”, sono diventate stronze succubi e puttane
del maschio come nelle rabbie e negli orgogli dell'Oriana Fallaci.
Pagano caro, questi Dannati e Dannate della terra, non soltanto il loro non aver
corrisposto a ideali e a lotte sconfitte; pagano anche le ultime "speranze", quelle a base di presupposte ribellioni una volta constatato in che razza di posticino e tra che razza di gente sono arrivati. Questi, invece, non si ribellano una sega: lavorano, chiedono soldi fuori dai supermercati, pregano, cascano dalle impalcature senza dir nulla, accalcano le celle, si beccano i gazebi di Borghezio e il Casseri da Cireglio (PT), figliano, fanno qualsiasi cosa ma non scendono in piazza e spaccano ogni cosa. Se ne guardano bene. Arriva l'imam e rimette tutto a posto; sennò arriva la questura e li rispedisce alla loro Dannazione. Pagano tutto questo
come se fosse stata, e fosse tuttora colpa loro, mentre si occupano di cose parecchio
terra-terra: trovare un lavoro, un maledetto documento, soldi da
mandare a casa, “integrazioni”, lingue da imparare, figli che
cambiano pelle e cultura.
E
pagano anche ulteriori idealizzazioni fatte sulla loro pelle.
Riempiono le carceri non per lotte per i diritti e l'emancipazione,
ma per miseri “reati comuni”. Sono guardinghi e stanno per conto
loro, nelle “comunità”. Ogni tanto si trovano un leader che
dialoga con le istituzioni.
Qualcuno ottiene la “cittadinanza”, che però non è del mondo ma
del solito, stupido, concreto Stato. Qualcuno viene suicidato nelle questure;
qualcun altro viene pestato dal forzanovista o dal naziskin mentre i
vecchi compagni ricordano, già, di com'eran belli i Dannati della
terra letti nei libri. Com'era bello George Jackson mentre ora ci
hai, nell'appartamento accanto, tre o quattro di quei negracci
puzzolenti e ladri con la radio che manda musica di merda a volume altissimo. Com'eran belli i Dannati delle giungle, delle
Ande, di Sabra e Chatila, mica come quei dannatissimi Dannati che son
venuti dall'ex grande Unione Sovietica & satelliti ad essere
chiamati porci ucraini, troie moldave, rumeni stupratori e albanesi
assassini; questi, proprio, erano inattesi. E sono addirittura
biondi, almeno in parecchi esemplari. Com'eran belli i Dannati della
terra che ispiravano i Nuclei Armati Proletari, mentre ora ispirano i
Nuclei della Polizia Antidegrado. Com'eran belli i Dannati della
terra che regalavano a tanti giovani ricordi per passare la
vecchiaia, mentre ora vendono paccottiglia in un centro città da cui
la Storia è volata via assieme a libri che non legge più nessuno.