lunedì 22 luglio 2013

Global saints



Avrà sì e no una ventina d'abitanti, Gàmbaro; probabilmente, d'inverno saranno anche di meno. Fino a ieri pomeriggio non sapevo nemmeno che esistesse, sperso nella Valle del Nure sulla strada che, da Piacenza, porta a Chiavari per il passo dello Zovallo. Si passa prima dal Ponte dell'Olio, poi dalla Bàttla, la Bettola; poi la strada sale e sale, in mezzo a boschi e paesini dai nomi bizzarri tra i quali, però, ho trovato pure un assai familiare Bólgheri. E' un posto incredibilmente bello, coi cartelli che ricordano il numero preciso dei partigiani che vi sono morti tra il '43 e il '45, e che erano, in quelle plaghe, guidati dall'anarchico Canzi; posto sì di partigiani, e di minatori. Anzi, di minatori emigrati in Francia; a partire dalla Bettola, ogni paese è gemellato con Nogent-sur-Marne, dove pare che se ne siano andati tutti o quasi. La Bettola è il paese di Lazzaro (o Lazare) Ponticelli, combattente in due eserciti, morto a centodieci anni suonati e celebre per essere stato l'ultimo poilu rimasto, l'ultimo combattente francese (e forse di tutto il mondo) della Prima guerra mondiale. C'è un paese, le Ferriere, col bar delle Miniere e con in piazza non il monumento ai caduti, ma un carrello da fossa sistemato su un pezzo di rotaia. E boschi, boschi fitti da ogni parte, di quelli da aver paura a ritrovarcisi dopo una cert'ora. Li pigliavano, gli uomini della Valle del Nure, a spezzarsi le ossa nelle miniere francesi; sono i ritals di Nogent di cui narrava un loro figlio, François Cavanna. Per le strade dei paesini si vede ogni tanto, ancora, qualche macchina con targa francese; guerra e miniera, miniera e guerra, e forse non è un caso che Nogent sia sulla Marna. Ci sono soltanto persone anziane in giro, in una domenica d'estate dove si cerca invano un po' di refrigerio; fa un caldo boia anche in quota, e l'unica cosa che si riesce a rinfrescare un po' sono gli occhi nel vedere quelle bellezze. Maledetta Italia del cavolo, che razza di paese; e così, per puro caso e per voglia di fare due passi lasciando la macchina, si arriva a Gàmbaro. Una deviazione sulla strada coi cartelli di legno scritti con la vernice; da una parte a Gàmbaro e dall'altra a Prelo. 

Un paesino, stupendo, e sei o sette vecchi. A un paio, forse marito e moglie, chiediamo se ci sia una panchina dove mettersi a sedere; ci rispondono che ce ne sono addirittura un paio accanto alla chiesa, e poi ci offrono di venire a casa loro a pigliare un caffè. Così, senza esserci mai visti né conosciuti; scherzano con i compaesani dicendo loro d'aver raccolto due pellegrini, così ci chiamano a me e alla Daniela, e la cosa, in quel momento, mi fa un piacere assurdo. Troviamo le panchine addossate alla chiesa; davanti c'è il monument aux morts, ché in questa valle non stona di certo chiamarlo in francese. E si vede che le guerre son riuscite a portarsi via dei ragazzi persino a Gàmbaro.


Mentre la Daniela legge qualcosa, mi stendo sull'altra panchina mettendomi lo zaino a mo' di guanciale, e mi addormento. Io sono uno dalla nanna facile, specialmente all'aperto; in più, mi piace dormirmi posti come questo. Il sonno, anche breve, dev'essere per me come la pisciatina per i cani; ci marco il territorio. E' il segno di riguardo che riservo ai posti che non mi andranno via dalla memoria, quand'anche non dovessi mai più ricapitarci com'è regionevolmente probabile per questo paesino di montagne che, prima o poi, scenderanno al mare e all'universo. Nel sonno mi vedo la Storia che ho in testa, le case di pietra me le raccontano e i minatori, i partigiani e le voci dei vecchi che ciaccolano fuori dalla casa davanti si confondono mentre il braccio destro, che tengo dormendo sul torace, si stampa di strani ghirigori prodotti dal tessuto e dalla cintura sulla pelle. Dopo un po' mi sveglio, sbadiglio, mi stiracchio e mi alzo; all'improvviso, mi ritrovo davanti, minaccioso, qualcuno. Quasi faccio un balzo di paura.


Opporcaputtanadellèva. Non me n'ero accorto. E' lì davanti a me, col suo sottanone di bronzo e il cordiglio. A braccia spalancate, come a dirmi: Pensavi forse di scapparmi? Impossibile. Non si scappa a Padre Pio. Ha preso possesso anche di Gàmbaro.

Qualche giorno fa parlavo di santi. La circostanza era, invero, parecchio buffa; però, devo confessare che sono un appassionato di santi e sante. A casa di mia madre ho ancora un enorme martirologio scritto in tedesco, lasciatomi molti anni fa in eredità da una contessa prussiana (non sto scherzando, credetemi; era Frau Gräfin Waldtraut Von Rosenow, ove Waldtraut significa "sposa del bosco", il secondo elemento è quello che ha dato luogo all'antica parola italiana drudo). Trovandomi in un posto come Gàmbaro, mi vien fatto di pensare a quale santo di campi, di boschi e di miniere avranno adorato ne' secoli quei montanari, affidandogli amori e guarigioni, miracoli ignorati già nel paese accanto e prodigi lontani dalla storia: qualche santo che, ne sono sicuro, andava a lavorare insieme loro nelle viscere della terra, e che dev'essere pure emigrato assieme a loro a Nogent-sur-Marne in mezzo ai ritals di cui l'ateo Cavanna della Val di Nure, nelle prime pagine di un suo libro, raccontava ai francesi le variopinte e bellissime bestemmie. E' per questo che a me, in Fontesanta, non dà nessuna noia ma tutt'altro la statuina della Madonna sistemata sul rifugio, alla quale quei comunisti col fucile in spalla a diciott'anni avranno pur rivolto qualche occhiata; la compagna Madonna vegliava, a modo suo. E così qualche compagno santo della Valle del Nure, al quale pure l'anarchico Canzi, sulla cui tomba in Peli di Coli è cresciuto un velenosissimo e bellissimo aconito, avrà dato rispetto; e, del resto, su in Peli di Coli il parroco, l'anno scorso, dette il sagrato agli anarchici che festeggiavano e cantavano, e poi se ne scese a valle per certi affari suoi.

Cazzo se mi garbavano quei santi là, San Gariboldo o Santa Pampalea, santa Libertaria o san Cacamosche; santi, spesso, inventati. Oppure, ma è la stessa cosa, santi della porta accanto, con le scarpacce grosse, dalla sbronza facile. San Mamiliano che si faceva squartare da vivo mentre i santilariesi si contendevano le reliquie. Ce n'era uno per ogni paesino di questa terra, e anche Gàmbaro avrà avuto il suo o la sua; finché non sono arrivati i Global Saints e si son pappati ogni cosa. Santi standard, a norma UE, regolati per legge, imposti dalla propaganda. Con le loro schiere di VIP o presunti tali. Anche Dio, Gesù e la Madonna cedono il passo, relegati in una specie di serie B dalla quale s'ignora se si risolleveranno mentre san Medjugorje e San Padre Pio fanno come il Barcellona e il Bayern Monaco.  

Ed eccomelo, quindi, di fronte a me. Ma ve lo immaginate, il Forgione in Val di Nure? Ha ammazzato tutti. Passi per Gàmbaro, ti svegli e te lo ritrovi davanti; quasi ti aspetteresti che ci avesse, che so io, addosso il marchio della Nestlé o del McDonald's. In effetti, somiglia pure abbastanza a Ronald McDonald, non so se qualcuno ci ha mai fatto caso. E così, pure addosso alla chiesina di Gambaro ci hanno messo il McPio a braccia spalancate, pronto a miracolare pure me e farmi chiedere un Pioburger con patatine. E mi piglia uno sconforto terrificante; rimpiango una madonnina adorante, un gesubbambino al quale battere una pacca sulle spalle e dirgli, Oh, bella fiha, bene ci si sta quassù eh! Nulla da fare. I Global Saints hanno vinto. Le loro armate sono penetrate fino a Gàmbaro, mentre i vecchi santi sfrattati vagano per i boschi come fantasmi. O, chissà, come partigiani, preparandosi alla guerriglia. Di tempo per organizzarsi ne hanno, del resto; e me lo auguro. Sogno il giorno in cui appenderanno un Forgione di bronzo per i piedi a piazzale Loreto, e i santi minatori ripiglieranno possesso delle loro terre millenarie. Sarà, perdio, un gran giorno.