lunedì 1 luglio 2013
Morsi
E' abbastanza curioso come la bloggherìa impegnata, quella che "sostiene", s'indigna e s'ingegna con gran dignità, sia lenta a mettersi in moto; o, forse, gli eventi sono più veloci -sempre- e poi, nonostante la crisi, nei fine settimana d'estate una scappata al mare la si fa pur sempre. Eppure, fino a poco tempo fa piazza Tahrir era praticamente ubiqua; poi c'è stata piazza Taksim, poi c'è stato il Brasile e poi ancora ci sono stati eventi, in tutte le parti del mondo, che non hanno catalizzato molto l'attenzione, che è altamente selettiva. Eppure quel che sta accadendo in queste ore in Egitto meriterebbe più attenzione di qualsiasi altra cosa; capisco, però, che parecchi siano rimasti scottati dalle rivoluzioni nei paesi dove si parla un dialetto arabo. Stavolta, si noti, non uso nessuna virgoletta; perché forse sarebbe il caso, una buona volta, di tornare al significato letterale delle parole. Senza immaginarsi una rivoluzione come qualcosa di circoscritto nel tempo, ma come qualcosa costantemente in atto e in pratica. L'Egitto, a mio parere, ne è un esempio perfetto.
Si è parlato troppo sbrigativamente di "rivoluzione tradita" senza tenere conto di cosa stava maturando in quel paese; e si tratta di qualcosa che, a pensarci bene, non avrebbe dovuto prendere alla sprovvista. In Egitto non si stava "tradendo" un bel nulla; si trattava di un rivolgimento, di un "rigiro" (re-volutio) che stava progredendo nella popolazione. Alla fine, ritengo che si scordi un po' troppo sovente che il rivolgimento di una società non è qualcosa di astratto o, peggio, che possa essere piegato da chiunque, a proprio piacimento e secondo le proprie visioni. Una rivoluzione non si incastra da nessuna parte, e deve essere seguita; possibilmente non tenendo eccessivo conto degli "analisti", e in massima parte di quelli che si propongono come "conoscitori" a vario titolo. Ad esempio, se c'è una cosa che ho appreso definitivamente è diffidare degli "autoctoni" che vivono all'estero e che parlano del proprio paese di origine da una diversa realtà; le baggianate che costoro distribuiscono sono tanto più numerose, quanto più gravi perché chi le ascolta o legge tende a conferire loro una maggiore "autorevolezza" che in realtà non esiste. Ricordano molto il tipico intellettuale siciliano che da cinquecento anni che "non si può capire la Sicilia" o roba del genere.
Insomma, ora che sarebbe possibile seguire i fatti praticamente in diretta (questo non lo dico io: lo dicono tutti quelli della piazza globale made in Twitter®), si cominciano ad avere certe remore. Troppe rivoluzioni che non sono state come si volevano, magari non tenendo eccessivo conto di come le volevano chi le stava facendo non solo nelle "piazze", perché accanto alle piazze ci sono pur sempre strade, viali, vie, vicoli e persino piazzette senza nome in cui ci si rivolta ugualmente. Oppure troppi farfugliamenti di "simbologie", di profondi scavi in società sconosciute fino a due giorni prima, di tentativi di focalizzare l'attenzione sul particulare per sviarla dal generale (tentativi che, nella loro essenza, sono sempre reazionari). Non si sono avute remore all'inizio, quando tutto consigliava una gran prudenza nei giudizi; le si hanno ora che le cose stanno diventando sufficientemente chiare per esprimersi.
In Egitto, ad esempio. Non esistono e non sono mai esistiti "due Egitti": esiste un Egitto solo, che ha fame. Che affoga nel tracollo economico. Che si è sempre ritrovato schiacciato non tanto da un generico "potere", quello dei vari raìs da Sadat a Mubarak, quanto dall'esercito. L'Egitto in blocco si è liberato di Mubarak, ma non si è liberato affatto dall'esercito; e non c'è da credere che sia così facile, anche quando la rivolta sembra generalizzata, sconfiggere un esercito che è il vero potere, sia con Mubarak che con la "democrazia" immediatamente trasformata in dittatura coi Fratelli Musulmani. Ma, in un certo senso, l'ascesa al potere semi-assoluto della Fratellanza Musulmana non è stato affatto uno sbocco irreversibile, ma una fase del rivolgimento totale della società egiziana. Non sono tra quelli che credono che i Fratelli Musulmani, pur tenendo conto dell'immutato strapotere dell'esercito, siano andati al potere con chissà quali "brogli" o irregolarità: sono andati al potere perché sono stati votati dalla maggioranza degli egiziani. Potrà non piacere, ma è terribilmente così.
E, forse, è stato a suo modo un bene che si sia svolta questa fase. Ora che tutta la spaventosa cialtroneria e inconsistenza della Fratellanza Musulmana è palese, ora che alla presidenza, o regno, c'è il Morsi cui dedico sentitamente l'immagine di un kelb mordace, ora che il disastro economico dell'Egitto è ad un punto di non ritorno, dovrebbero apparire chiare a tutte alcune piccole cose. La prima: i "Fratelli Musulmani" si sono dimostrati degli incapaci assoluti. Come tutti gli incapaci, hanno creduto di spazzolare la loro inconsistenza di presupposte "islamizzazioni", di leggi "coraniche" e di altre stronzate del genere che, peraltro, nel nostro beneamato mondicello si credeva che dovessero per forza funzionare perché "quegli arabi là son tutti culo ritto a pregare" o roba del genere. Toh, non ha funzionato affatto; e non perché ci sia l' "Egitto laico" contrapposto a quello "religioso" o "fondamentalista"; non ha funzionato perché gli egiziani, laici o religiosi che fossero, ci hanno messo presto ad accorgersi che la "Fratellanza Musulmana" è un pantano di idiozie, di incompetenze, di pulsioni totalitarie e di puntelli dell'esercito. Ci son dovuti passare, ed è una cosa abbastanza normale. Ci hanno messo comunque, ad accorgersene, molto meno tempo di noialtri che ci siamo tenuti per cinquant'anni i Fratelli Democristiani e che, attualmente, non abbiamo trovato di meglio che riproporli in cento salse diverse, ma pur sempre loro. E stanno facendo, gli egiziani, una cosa normalissima: a milioni nelle strade, a dar fuoco alle sedi dei "Fratelli Musulmani" e a buttar giù il loro governo di merda.
Fregandosene altamente delle leggi coraniche e di tutto il resto, perché è apparso loro chiaro che si tratta di espedienti che non funzionano più; però, dalle nostre parti, fatichiamo a notarlo. Si preferisce ancora cullarsi nelle "società fondamentaliste" invece di constatare che tali società funzionano in modo perfettamente conseguente agli eventi (cosa che, invece, dalle nostre parti non avviene affatto: si preferisce darsi a Grillo, verrebbe da dire). O che in mezzo alle centinaia di migliaia di egiziani che stanno arrovesciando Morsi e i suoi fratelli ci saranno soltanto "laici", i famosi "anarchici egiziani" che i blogger italiani son famosi per scovarli di sottoterra, gli adepti della "società moderna" e roba del genere? In piazza Tahrir e limitrofi, e nelle altre città egiziane, a roversciare i "Fratelli Musulmani" ci saranno anche tanti e tanti fedeli, anche se a noialtri prende lo sturbo se pensiamo che si possa credere in Allah senza dar più credito a barboni lavarcevelli. Proprio noialtri che ci sorbiamo quotidianamente i panzoni della CEI! L'Egitto, quindi, ci sta insegnando parecchie cose; e non è un caso che tutto stia partendo da là. Ora non si tratterebbe più di "fare il tifo", come spesso è accaduto (si prenda la Siria, per la quale nei mesi scorsi ho assistito, da una parte e dall'altra, ad un vero e proprio tifo calcistico), ma di cominciare a saper riconoscere bene quel che sta accadendo. Direttamente, perché non ci è affatto precluso a condizione che non ci facciamo prendere dall'incontenibile voglia di slogan.
Certo, l'esercito resta sempre lì. Naturalmente presidia il potere, qualunque esso sia, perché ha certezza di essere il potere e di ritenersi l'unica entità in grado di gestirlo. Una fase è in corso, e ripeto che mi appare come una fase perfettamente logica e conseguente. Visto che garba tanto l'espressione: in tutto questo, l'Egitto si sta dimostrando un "paese normale", compresa la normalità di una rivolta. Siamo noialtri del tutto anormali, ficchiamocelo nel capino.
A che cosa porterà questa fase? Sbarazzarsi finalmente dell'esercito? Oppure l'esercito, come è accaduto non si sa quante volte, alla fine soppeserà la situazione e si schiererà con chi fa più comodo in un dato momento, ovviamente allo scopo di mantenere il suo potere? In generale, mi sembra che in Egitto si stia facendo strada in molti la percezione esatta di questa cosa; ma, chiaramente, non basterà. Mi fermo qui perché non amo immaginare troppo in là, rischiando di fare come gli altri e di crearmi scenari ad usum Delphini. Mi limito ad osservare l'Egitto che prende Morsi a morsi, e con lui tutta la costruzione dell' "islamismo", che si rivela finalmente per ciò che è. In un paese normalissimo che non ne può più e prende una strada del tutto normale.