mercoledì 23 gennaio 2013
La spalla del boia
Non importa dove sia stata scattata questa foto. Se in Iran, o negli Stati Uniti, o in Russia, in Giappone o in un altro degli stati dove viene applicata la pena di morte. E non importa nemmeno che sia stata diffusa da giornali più o meno di regime e asserviti a questo o quel potere. Infine, non importa (e, massimamente, non importa al sottoscritto) di immaginare le consuete ipotesi a base di foto falsificate o a bella posa per screditare questo o quello stato mostrando la sua presupposta ferocia e disumanità; si tratta di due caratteristiche proprie di ogni stato costituito, che prenda due ragazzi e li faccia impiccare per un furto oppure che piazzi bombe nelle stazioni, sui treni o nelle piazze.
Importa vedere quei due ragazzi accompagnati alla morte dai loro carnefici camuffati. Importa vedere il cappio già pronto per l'impiccagione, che si scorge in alto a destra. Importa vedere la faccia disperata del ragazzo in primo piano, tenuto da uno dei due boia. Importa vedere l'altro ragazzo che appoggia, piangendo, la sua testa sulla spalla dell'altro boia, che gli tiene a sua volta una mano sulla spalla, con un gesto che non mi riesce di definire perché sono certo che qualunque cosa dicessi sarebbe sbagliata.
Come ultimo atto di una vita breve, che sta per terminare perché uno stato lo ha deciso a norma di legge (e con l'immancabile beneplacito di Dio), un ragazzo cerca conforto presso la persona che lo sta conducendo a morire. Presso, quindi, colui che rappresenta in quel momento lo stato assassino. Presso la sola persona che, in quel momento, possa farlo: il boia. Non ho assolutamente nessuna indulgenza verso un boia, neppure di fronte ad un'immagine come questa. Che riceva o meno un compenso per la sua attività, si tratta soltanto di qualcuno incaricato di mettere cappi al collo di persone condannate per una qualche legge schifosa, coadiuvata non di rado da un dio altrettanto schifoso nella sua varietà di nomi, di "misericordie", di "perdoni", di tribunali celesti, di paradisi e d'inferni.
Di fronte alla morte, però, si cerca un proprio simile. Uno qualsiasi. Anzi, l'unico possibile. Di fronte ad una morte imposta d'autorità, qualunque cosa si sia fatta. E' lo Stato che decide, lo Stato coi suoi assassini legalizzati e coi suoi meccanismi di sopraffazione e di morte. Allora non ti resta che andare a morire affidandoti al boia stesso, per l'ultimo gesto che ti viene riservato da essere umano; tutto questo lo si può vedere perché avvenuto in un paese che esegue le proprie sentenze capitali all'aperto, in pubblico. Bisognerà però immaginarsi anche quel che avviene nel chiuso di carceri, di caserme o di altre installazioni civili e militari; bisognerà immaginarseli sempre questi gesti. Bisognerà vederle sempre queste facce, e ficcarsele bene nella testa.
Magari prima di aprir bocca a tavola, la sera, con la propria famiglia, invocando "pene di morte" e "muri" commentando la notizia qualsiasi del telegiornale; la pena di morte condita con la pastasciutta. Magari prima di mettere una firma su un foglio, promossa da una qualche congrega organizzata di forcaioli che sarebbe bene chiamare col loro nome di assassini. E, magari, anche prima di pensare che siano cose che avvengano in un cosiddetto "stato canaglia", perché canaglie sono tutti gli stati, indifferentemente.
Ci sarà chi, avendo visto questa foto, avrà pensato senz'altro all' "umanità del boia". Che anche il boia sia un essere umano, non c'è alcun dubbio. E', però, anche assolutamente certo che non sarà mai un'umanità che si spinge oltre; per spingersi oltre bisognerebbe presupporre una ribellione. Bisognerebbe immaginare che il tizio incappucciato, dopo che il ragazzo mandato a morte gli ha appoggiato la mano sulla spalla, lo liberasse, lo facesse scappare via. Impossibile. Lo Stato si rivarrebbe immediatamente su di lui, facendogli fare la stessa fine. Ci sarebbe già pronto un altro boia con la sua spalla. Una spalla di non si nega a nessuno, e nemmeno una corda al collo pochi minuti dopo.