domenica 20 gennaio 2013
Un fiore rosso nella neve
L'ultima volta mi è
successa un mese e mezzo, due mesi fa. Una sera d'autunno che ero
andato a vedere un concerto alla casa del popolo in piazza; suonava e
cantava la nipote della chitarra ammazzafascisti, o se si vuole la
figlia del ristorante di Alice. In piazza non c'è naturalmente verso
di parcheggiarla, la macchina; e, quella sera lì, nemmeno al
belvedere là sotto. Sarà stato sicuramente per la Sarah Guthrie,
senz'altro; peccato, perché due passi da solo al belvedere mi fa
sempre piacere farli. E' probabilmente il più bel panorama di
Firenze che si possa vedere, e poi do sempre un'occhiata a una
panchina in pietra che mi ricorda una fotografia andata persa chissà
dove.
Non resta che andare
verso il cimitero, per una stradina poco più su; prima o poi, anche
inventandoselo, un posto lo si trova. Non c'è assolutamente nessuno,
in quella strada che a un certo punto quasi si perde tra le colline;
il cancello del cimitero è ovviamente chiuso. Per forza. Sono oltre
le nove di una serata d'autunno, e non conosco cimiteri aperti a
quell'ora; però mi fermo due minuti davanti al cancello serrato. Mi
capita sempre quelle poche volte che ci passo, così a pensare. Con
gli anni che passano, poi, mi succede di collegare sempre più spesso
i luoghi ai pensieri; se mi trovo in un dato posto, so già che
penserò a una data cosa.
Infatti, là fermo per
quel breve lasso di tempo, pensavo alla solita cosa. Al fatto che non
sarei entrato nemmeno se il cancello fosse stato spalancato. Al fatto
che il fiore, o il gesto, o qualsiasi altra cosa, era e doveva
restare soltanto quello stare là fermo, senza entrare. Non spingermi
oltre, perché ce n'è voluto di tempo prima di capire che il limite
e la chiarezza sono fratello e sorella. A dire il vero, non pensavo
nemmeno che ci sarei riuscito; invece devo essere davvero cambiato.
Forse per questo avevo anche una specie di sorriso, mentre fumavo
tenendomi una mano in tasca del giubbotto mezzo sdrucito. Più in là
non si va, Riccardo. Il tuo mondo e la tua storia te la costruisci
con quel che sei e quel che vivi. Entri, giustamente, chi appartiene
per sguardi, e per voci, e per azioni.
Così lassù sotto la
neve in un sabato di gennaio. C'era chi ci doveva essere, a quella
fine di una storia. Ma non finisce la storia, e un suo pezzo
infinitesimo riguarda e deve riguardare anche chi non c'era e non ci
doveva essere. Anche me. Nei miei modi, forse strampalati e fuori da
ogni dogma; ma le strade, alla fine, finiscono per incontrarsi.
Allora potranno aprirsi i cancelli, anche a sera tardi, anche
cercando un povero parcheggio per una macchina scassata, in una
strada di collina. E questo, e non altro, reco a chi se ne va; poi
spengo il sigaro e vado, con un miscuglio di solitudine e di folla,
in faccia a quel che sia, con un fiore rosso nella notte o nella
neve.