La condanna a morte ha i suoi riti. Tra di essi rientrano i "diritti" del condannato, a partire dalla famosa ultima sigaretta di fronte al plotone di esecuzione. Credo seriamente che qualche condannato non fumatore abbia cominciato a farlo in extremis. Sono sempre ultimi diritti: non solo l'ultima sigaretta, ma anche l'ultimo pasto e l'ultima dichiarazione. Mangiare e parlare. Attività primarie, certo.
Ma ce ne sono molte altre, di attività primarie. E se a un condannato scappasse da cacare un minuto prima dell'esecuzione? Se gli venisse voglia di farsi una trombata dieci minuti prima della forca, non avrebbe il diritto di farla? Si dice che l'ultimo desiderio del condannato a morte debba essere sempre e comunque rispettato: e se avesse il rispettabilissimo desiderio di ammazzare il boia, del tutto primario? Oppure, senza arrivare a tanto: "Condannato, hai un ultimo desiderio?" "Sì, signor boia, vorrei tirarle una pedata nei coglioni". Insomma, anche questi "ultimi" sacri diritti e desideri sono una finzione. Lo stabiliscono loro, quali debbono essere. Prendono tutte le cose più normali della vita e le trasformano in "diritti" sottoposti a approvazione di legge; così è la galera. In qualsiasi modo se ne esca, vivo o morto. Intanto fuma, mangia e fai blablà. Il resto te lo puoi scordare.
Esistono diversi siti, di una precisione quasi maniacale, in cui sono riportati gli ultimi pasti e le ultime dichiarazioni del condannato. Alcuni sono gestiti direttamente dalle amministrazioni penitenziarie dei vari stati USA. Accanto alla scheda personale (crimine commesso, motivazione e data della condanna, data e ora dell'esecuzione) vi sono, appunto, una casella contenente l'ultimo pasto ed un'altra con l'ultima cosa detta. Sono cose interessanti e, mi sia consentito, spesso umoristiche. C'è chi, come ultimo pasto, si è sbafato un intero fast food o quasi; Timothy McVeigh, l'attentatore di Oklahoma City, chiese due pinte di gelato alla menta e cioccolato "Ben & Jerry". Nell'unico altro caso di esecuzione federale, Victor Feguer chiese un'oliva. Una sola. Non la mangiò neppure, se la mise in tasca e ci andò a morire.
La quotidianità, anche qui. Scorrendo la lista dei final meals si vedono tutte le normalissime porcherie che si mangiano e bevono tutti i giorni. Pizze, hamburgers, patatine, pollo fritto, gelati industriali e quant'altro. Il "diritto" è comunque limitato: generalmente il condannato può ordinare "quello che vuole", ma da un posto vicino al carcere e per un prezzo di trenta dollari al massimo. Insomma, non può farsi mandare blinis strogonoff, ostriche e champagne da Chez Maxim's.
Quando si passa alle ultime dichiarazioni, sembra però che le limitazioni di legge siano assenti. E Patrick Knight ne ha approfittato per riappropriarsi di un diritto che finora non era stato mai contemplato: quello di ridere. Ha commesso un crimine orrendo e lo ha confessato. Ma vuole ridere in faccia al boia. Ha chiesto e ottenuto che gli siano inviate quante più barzellette possibile, per "confortarlo e ridurre un po' la tensione" (parole sue). Nessun pentimento estremo, nessuna petizione, nessuna conversione, nessun appello ai viventi, nessuna richiesta di perdono, nessun messaggio d'amore ai propri cari: barzellette. Risate. Sberleffi. Battute. Dead man laughing.
Non può ovviamente avere un computer in cella; un amico raccoglie quindi tutte le barzellette che vengono inviate su un'apposita pagina MySpace, e le recapita in carcere. Knight le legge e le seleziona tutte; quella che riterrà la migliore, a suo insindacabile giudizio, la leggerà prima che gli vengano fatte le iniezioni letali (che, secondo le più recenti inchieste, provocano un dolore fisico terribile). Sarà, in quel momento, già legato al lettino nella stanza di esecuzione. Magari farà scompisciare dal ridere pure chi premerà il pulsante delle tre siringhe; e nessuna legge può impedirglielo. Non sarà una morte indolore, e non solo per la pena fisica. Dall'altra parte ci saranno i parenti delle vittime di fronte all'assassino che muore ridendo. Lo odieranno ancora di più, quell'uomo che ha ammazzato e torturato i loro cari per rubar loro un'automobile, e che non chiede nessun inutile "perdono". "A questo punto, per essere meno solo, mi auguro che ci siano moltissime persone il giorno della mia esecuzione, e che mi accolgano con grida di odio" (Albert Camus, "Lo straniero").
Ridere. Hanno provato ad impedirglielo, sia i parenti delle vittime, sia lo sceriffo della contea dove è stato commesso il crimine (nel 1991); ma il giudice ha risposto picche. Nulla da fare. Il condannato a morte Patrick Knight può dire quello che vuole. "La sai l'ultima". L'ultima sul serio.
Non crediate che io solidarizzi minimamente con quest'uomo; anche perché della mia solidarietà non saprebbe proprio che cazzo farsene (così come dei lumini fuori dal carcere, delle veglie di preghiera, delle campagne internazionali, degli scioperi della fame di Pannella, delle "moratorie" proposte da stati che comunque ammazzano i propri cittadini in mille altri modi). Sarà legato mani e piedi, ma ha trovato un modo estremo, e persino legale, per legare lui tutti quanti. E sarà forse quella, ancor più della barzelletta, a costituire la sua estrema, fragorosa risata.
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