sabato 2 giugno 2007

Venticinque aprile


Visto che oggi è il due giugno e sarebbe "festa nazionale" (così ne approfitto per mandare in culo sia le feste che le "nazioni"), e che il venticinque aprile scorso questo blog ancora non esisteva, direi che oggi è il giorno giusto per questa cosa. Un'altra storia dall'Isola d'Elba, la quale ha pur'essa girato un pochino fin da quando è stata scritta e postata per la prima volta sul newsgroup di Guccini, per l'appunto il 25 aprile del 2000. Ha già sette anni e rotti, quindi; e siccome, qui, la voglio riprodurre nella sua prima redazione, tutti i riferimenti cronologici s'intendano riferiti all'anno 2000. Originariamente, per la sua lunghezza, era diviso in due parti; qui è riportato tutto assieme, in un solo post.

Per il resto: è una storia della mia famiglia, del tutto autentica. Una storia accaduta durante la II guerra mondiale. Lo voglio specificare, perché, ovviamente, non è mai mancato qualcuno che mi ha detto o scritto: "Eeeeehhh....ma dai, sembra il film 'Mediterraneo'..." Rispondo una volta per tutte: a parte il fatto che la cosa aveva colpito anche me (tanto da farvi un riferimento diretto nel testo, a quel film), può darsi che Gabriele Salvatores si sia basato su uno dei tanti episodi del genere che durante una guerra accadono. Ne succedono di tutte, durante una guerra; anche di non volerla fare e di ritrovarsi sull'isola giusta.

La foto è stata presa dal molo di Marina di Campo la mattina del 17 giugno 1944.

Oggi è il venticinque aprile, ed è una data importante per mia madre. Prima di tutto, sarebbe stato il suo quarantasettesimo anniversario di matrimonio se, tre anni fa, Sora Morte Corporale non fosse intervenuta; poi, è pure il compleanno di Gàlfe Gustàlfe, dovunque sia o non sia.

(Scusatela se non festeggia troppo la Liberazione; d'altronde, il 25 aprile 1945 l'Isola d'Elba era già stata liberata da quasi un anno, ed in che modo ve lo racconterò più in là).

So che mia madre, oggi, avrà tanti pensieri. Per il suo compagno di una vita, che gira in bicicletta da una nuvola all'altra; e uno anche per un ometto dai capelli biondi e corti, per un invasore, uno. Ecco, uno.

Si chiamava Gustav Galf e non si sa praticamente nulla, a parte che vestiva la divisa della Wehrmacht ed era nato il 25 aprile; questo perché, il 25 aprile 1944, meno di due mesi prima della Liberazione dell'isola, portò a mia madre e alla sua famiglia un chilo e mezzo di pane facendo capire in qualche modo che era il suo bustà, il suo compleanno. Geburtstag.

Sì, lo so. Vi sto per raccontare una storia che puzza di buon samaritano lontano un chilometro. Lo so che Herr Gustav Galf magari era un nazista convinto e che, dopo essersene andato dall'Elba, qualcuno potrebbe avergli detto d'andare a ammazzare donne e bambini a Sant'Anna di Stazzema o a Marzabotto. O, forse, era uno dei milioni di povericristi d'ogni paese mandati a fare la solita guerra di merda; se qualcuno non ci crede, se qualcuno è ancora convinto che i buoni sono tutti dalla parte di chi ha vinto, allora è meglio che non continui a leggere questa cosa.

E so anche che mia madre era altissima. A nove o dieci anni passava di due spanne tutte le sue amichette, e la chiamavano "la tedesca" anche se, poi, era solo castana chiara; tanto bastava in quell'isola di mori. Il 12 settembre 1943 i tedeschi, che già avevano una guarnigione sull'Isola, la presero tutta; il 16 settembre Portoferraio fu bombardata dagli Alleati e qualche giorno dopo un siluro inglese prese in pieno un importante obiettivo militare, ovvero il postale "Andrea Sgarallino" che faceva il servizio passeggeri con Piombino. Quasi quattrocento morti. Uno dei famosi inconvenienti, proprio come il rifugio a Bagdad durante la guerra del Golfo o l'ospizio jugoslavo.

C'è chi nasce nel luogo sbagliato; a volte, nel luogo sbagliato ci si può pure abitare. La famiglia di mia madre viveva in una specie di paradiso terrestre che si chiama Fonza, all'estremità occidentale del golfo di Campo. Prima che fosse tutto venduto a degli industriali di Biella ho fatto in tempo a vedere com'era, più di trent'anni fa.

All'altro capo del golfo, Capo Poro, c'era la guarnigione dei tedeschi, completa di bunker e batterie antiaeree; ma siccome era una guarnigione mista, tedesca e italiana, sette o otto italiani decisero di usarla un po' contro gli ex alleati. Quella fu la Resistenza, un pugno di ragazzi che non sapevano nemmeno come usare le armi e che, con un colpo di contraerea, centrarono invece il tetto del magazzino dei miei ammazzando cinque o sei colombi in piccionaia. Il mio bisnonno, quanto raccontava questa storia, diceva che non rideva affatto perché due di quei ragazzi furono presi e fucilati, e gli altri furono deportati in Germania e non se ne seppe più niente.

Capo Poro è a strapiombo sul mare. Un posto tuttora quasi inaccessibile; i tedeschi decisero quindi di acquartierarsi altrove, per tener meglio d'occhio tutta la parte occidentale dell'Isola, C'era bisogno di un luogo con una spiaggia e delle case; naturalmente, andarono a parare proprio a Fonza. Da un giorno all'altro, la mia famiglia si ritrovò mezza Wehrmacht in casa.

L'Isola fu occupata in poche ore.

E cominciò pure questa storia. Perché fra i teutonici invasori c'erano anche un paio di SS in rotta di collisione totale sia con il comandante della guarnigione che con il resto della truppa, le quali, sempre come raccontava il mio bisnonno, "stavano dietro più ai maschietti che alle femminucce". Insomma, erano due finocchi (tanto per usare un termine politicamente corretto). Le ragazze di casa potettero stare tranquille, mentre erano i miei zii a doversi preoccupare. Ulisse era un marcantonio, e lo è tuttora a ottant'anni suonati; ogni tanto parla ancora della sua Resistenza, ovvero di quando tirò in testa a uno di quei due un secchio pieno di letame per difendersi dalle sue avances. E questo ci aveva la Lüger in tasca, mica scherzi. Mio zio scappò alla macchia, gli portavano da mangiare di notte; e niente partigiani con cui potersi unire, al massimo c'era qualche cinghiale.

Uno dei soldati germanici, invece, s'innamorò di mia madre. Se ne innamorò come un padre s'innamora di una figlia; perché era un ometto basso, per nulla marziale, già un po' avanti con gli anni. Mia madre aveva dieci anni, aveva gli occhi e i capelli chiari e era, com'è nella tradizione familiare, una diociliberi. Herr Gustav Galf, insomma, diventò una specie di santo protettore; fu immediatamente ribattezzato Gàlfe Gustàlfe, mentre mia madre, che si chiama Luciana, diventò Lùzia.

Qualche anno fa un film di Gabriele Salvatores vinse l'Oscar. Si chiamava "Mediterraneo" e raccontava la storia di un manipolo di soldati italiani su un'isola greca, Kastellórizo, durante la guerra. Lo avrete visto tutti quanti, quel film; strani posti, le isole.

Gàlfe Gustàlfe, seppure un soldato semplice o al massimo un caporale, doveva avere un buon ascendente sui commilitoni e anche sul Comandante, dato che ebbe luogo una strana vicenda, strana perlomeno agli occhi ed agli orecchi di chi la sente per la prima volta. I germanici soldati di quella guarnigione, che pure qualche importanza strategica la doveva avere, si disimpegnarono. Mandarono affanculo la guerra. Si sbracarono, stavano sulla spiaggia pure di dicembre, e a tavola insieme ai miei ce n'erano sempre tre o quattro a turno, comandante compreso.

Le SS ogni tanto comparivano, e allora, in due minuti, ritornavano per finta dei soldati del Führer; sbraitavano qualche cosa nella loro lingua agli schiavi italiani, poi i due manfruiti se ne tornavano via e tutta la truppa si metterva a sganasciarsi dalle risate facendo loro il verso. Mia madre, racconta, voleva sempre che Gàlfe Gustàlfe si mettesse a sculettare, e spesso faceva pure il gesto di mettersi il rossetto mentre gli altri si rotolavano dal ridere. Se lo avessero visto, lo avrebbero, credo, fucilato.

Fonza era un piccolissimo mondo autonomo. C'erano gli animali, gli alberi da frutto e, soprattutto, la vigna e la cantina. La quale era un obiettivo militare ambitissimo dai tedeschi. Briachi fradici fissi, però onesti; a modo loro tentavano di ripagare come potevano. Con le razioni di pane, perché il grano non c'era e comunque non si sapeva come macinarlo; con la carne in scatola, con un po' di birra, e, soprattutto, con dei lavori. Il mio bisnonno racconta d'aver diretto una squadra di tedeschi "prestati" dal Comandante per riparare il tetto del magazzino sfondato dalla contraerea di Capo Poro.

Gàlfe Gustàlfe, nel frattempo, stava a mezze giornate con mia madre (che non aveva un padre, essendo mio nonno caduto in una fornace di ghisa liquida alle acciaierie di Portoferraio, nel 1935) e le insegnava il tedesco. Tuttora è possibile sentire mia madre, quanto racconta questa storia, pronunciare delle parole in quella lingua; e quando il tedesco l'imparato per davvero, mi sono divertito a insegnargliele di nuovo, e quando in uno schlafen riconosceva il suo slàffe, quando in uno Brot riconosceva il suo bròtte, quando in un Wasser riconosceva il suo vàsse si metteva a ridere come una matta, e se c'era mia zia partivano immancabilmente con Gàlfe Gustàlfe, e che fine avrà fatto, e chissà da dove veniva, e chissà se è morto o vivo.

Il 25 aprile 1944 Gàlfe Gustàlfe arrivò con un regalo grandioso: un chilo e mezzo di pane di segale. Erano appena arrivati i rifornimenti, ed il guerriero hitleriano arrivò con quella monumentale forma di pane che fu affettata e mangiata con un po' di lardo di maiale e con della frutta. Fu lì che il Gàlfe cominciò a urlare bustà, bustà facendo capire che era il suo compleanno; poi, racconta mia madre, lui la prese di peso e la mise sul tavolo declamando una poesia in tedesco, mentre gli altri bevevano come spugne e mia nonna si metteva le mani nei capelli.

Ancora adesso, ogni tanto, mia madre mi chiede di dirle qualche poesia in tedesco per vedere se la riconosce. Ci ho provato con Goethe, con Heine, con von Brentano, con Klopstock, con tutti; ma forse era qualche strofa popolare, e pagherei oro per ritrovarla anche perché "Luzia" mi ha assicurato che, se la riconosce, in qualche modo rimonta su un tavolo in culo all'età e alle vene varicose.

E così fu la vita della mia famiglia assieme agli invasori, fino all'alba del 17 giugno 1944.
Quel giorno arrivarono i liberatori.

Pochi giorni prima c'era stato lo sbarco in Normandia. L'operazione Overlord. Il giorno più lungo. All'Elba nessuno ne sapeva un cazzo; quando sentite un elbano parlare dello "Sbarco", è il suo piccolo, terrificante sbarco alleato una mattina di giugno.

Fra tutte le spiagge dell'isola, ovviamente, quale fu quella prescelta per la testa di ponte?
Non sto neanche a dirvelo.
E fu guerra sul serio.

Racconta mio nonno che tutti furono svegliati alle quattro e mezzo di mattina e fatti scendere nella cantina da dei soldati negri che parlavano un po' in francese e un po' in arabo; perché la testa di ponte era stata affidata a delle truppe coloniali marocchine e senegalesi. Nella cantina trovarono già la maggior parte dei tedeschi in canottiera e mutande, tenuti sotto tiro e terrorizzati. Gàlfe Gustàlfe non c'era.

Cominciarono a sbarcare i mezzi anfibi, ed i tedeschi che erano riusciti a sfuggire alla cattura immediata combattevano, appostati sul tetto del magazzino, in casa, dovunque potevano. Alle undici di mattina della casa e del magazzino rimanevano le macerie.

Da lì ci fu lo sbarco definitivo sulla grande spiaggia di Marina di Campo; quella dove molti di voi avranno pur passato una settimana di vacanza, con gli spettacoli in piazza e le partite di beach volley. In un giorno e mezzo l'Isola fu liberata; e il comandante alleato concesse alla truppa di occupazione due giorni di saccheggio libero.
Cosa che fu prontamente eseguita.

Mia madre, mi dice, voleva andare dal suo amico, ma Gàlfe Gustàlfe era stato fatto prigioniero e portato via.

Ha seguitato a cercarlo per anni, e ancora nel 1972 o '73 mi ricordo di una lettera proveniente dall'Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca di Roma nella quale si comunicava che, purtroppo, non era stato possibile reperire con certezza il nominativo perché, tra i soldati vivi o morti identificati ne erano stati individuati diciannove chiamati Gustav Galf e nessuno di essi risultava all'Isola d'Elba fra il 12 settembre 1943 ed il 17 giugno 1944. La lettera avvertiva che il cognome Galf è diffuso nella Pomerania Superiore.

Il venticinque aprile.
Vi sono venuto a raccontare 'sta storia il venticinque aprile.
Mica me lo scordo cosa hanno fatto i tedeschi e i fascisti.
Per un Gàlfe Gustàlfe ce ne sono stati dieci che hanno massacrato gente inerme.
Magari potevano capitare a Fonza, dalla mia famiglia, e quindi non sarei neanche esistito.

Invece ci capitò un soldato, forse proveniente dalla Pomerania Superiore.
Volevo ricordarlo, dovunque sia o non sia.

3 commenti:

Lello Vitello ha detto...

Vabbè, però almeno un motivo per festeggiare il 2 Giugno c'è, sono nato io! :-)

Unknown ha detto...

Come faccio contattarti sono interessato alla storia della di Fonza all'elba Max

Riccardo Venturi ha detto...

Ciao Max puoi contattarmi se vuoi all'indirizzo k.riccardo@gmail.com oppure chiamarmi al numero 339.4723095, a presto! (Riccardo)