sabato 3 novembre 2007

Генуезская носталгия


La prima volta che ho scritto questa cosa è stata il 17 maggio del 1999; ma è una di quelle che non sono mai state uguali. Ogni volta che mi è capitato di sbatterla da qualche parte, ci ho cambiato qualcosa; perché certe cose che si scrivono sono mutevoli, come mutevole è il ricordo e come mutevoli sono alcune persone che pure lo hanno popolato. Resta, è vero, il nucleo originario, l' "impianto"; ma o certe cose non erano ancora avvenute, o certe altre non sono più importanti (e forse non lo erano neanche allora), o certe altre ancora semplicemente non mi piacciono più e le ho tolte oppure totalmente riscritte. Questa che segue è probabilmente la versione più cambiata rispetto a quella originale; chissà come sarà, se ci sarà, la prossima. Non si deve, secondo me, avere nessun timore nel mettere mano, quando lo si stimi necessario, a qualcosa che si è già scritto. E' comunque una cosa propria, un compagno di strada d'un lungo viaggio che qualche volta ha pur bisogno di cambiarsi d'abito.

Il titolo, in russo, significa "Nostalgia genovese". Non sono un gran facitore di titoli, e questo ne è un esempio perfetto. Rendendomene conto, a volte cerco di "impreziosirlo" presentandolo in qualche lingua esotica; così facendo, mi accorgo spesso di aver peggiorato la situazione. Ma oramai 'sta cosa, con tutte le sue versioni, si chiama così. Si dovrebbe leggere, all'incirca, "ghinuièskaia nastàlghia".

Dico con la comunanza che un òmo di mare ha verso tutti i luoghi sciabordati da onde salate, che ho avuto la fortuna di vivere un po' a Genova. Ognuno di noi, forse, ha nel proprio destino anche una componente geografica.

Genova è De André. Lo era anche ben prima che avessi la fortuna di abitarci, assieme ad una persona che è del tutto scomparsa dalla mia vita, anche se ogni tanto, fino a qualche anno fa, soleva rientrarvi con alcuni flash improvvisi e distribuiti disorganicamente tra il sogno e la realtà. Un giorno anche quei brevi lampi si sono estinti.

Abitavamo sulla collina di San Fruttuoso, in una strada digradante e tortuosa; una piccola casa ai margini di un giardino pubblico. C'erano veramente delle colonie di gattacci onnipotenti, quei gatti di mare che sono diversi da tutti gli altri; e c'era soprattutto l'autobus che quasi tutti i giorni, per circa un anno e nonostante i miei frequenti ritorni "in giù", mi portava nella melassa umana del centro storico. I vicoli, i carruggi; dire di avervi camminato in compagnia di Fabrizio potrebbe sembrare soltanto inutile retorica. Eppure qualcosa c'era, sia pure, e evidentemente, instillata dall'autosuggestione.

Lo sanno forse solo i genovesi cosa vuol dire canticchiare "Via del Campo" mentre si mette un passo dietro l'altro proprio in via del Campo. Sgomitare per via Pré in qualche sabato puzzolente, andare a prendersi la propria razione di fritto di pesce in Sottoripa e poi farsi di nuovo ingoiare dai vicoli. Quelli dove s'incontravano il tipo strano che per tremila lire ha venduto sua madre a un nano, e il vecchio professore che ogni mese dilapida mezza pensione per farsi dire micio bello e bamboccione.

Ricordo una strada. Si chiama "Vico dell'Amor Perfetto". Poi mi spiegavano che era tutta una mia immagine, che era solo qualcosa che volevo vedere e che non esisteva più. L'amor perfetto, peraltro, altro non è che una pianta; ve n'era, chissà, una a qualche finestra. Entravo nei bar o nella pasticceria Klainguti e mi parlavano della decadenza di Genova, mi sventolavano bandiere d'intolleranza, mi parlavano di sicurezza, di tasse, di disoccupazione, di italiani e di marocchini. Ed io lì, con il mio accento forestiero, a tentare di cogliere inflessioni, parole, occhiate; a cercare i dizionari genovesi per qualche bancarella fra via Soziglia e la Loggia dei Banchi, a misurare via Luccoli fino a Piazza delle Fontane Marose dove qualche volta prendevo l'autobus per andare a Boccadasse, mi sembra il 42.

Decisi di imparare almeno un po' il genovese. Non soltanto assieme a Fabrizio e al suo genovese che i più mi assicurano quasi inventato; non soltanto assieme ai grandi poeti di Genova, al Grillo Cantadö di Firpo, ma soprattutto assieme alle voci della strada. Se non sentivo il dialetto, perché non è più tanto comune sentire quello vero, mi accontentavo di carpire l'inflessione, di qualche parola infilata qua e là. Mi stavo ricreando la mia melassa personale, in tasca al mondo che cambia; i miei luoghi sono un impasto di odori, rumori e sguardi.

È andata a finire che devo avere imparato, sbagliandolo, qualche brandello di genovese che non esiste, e che qualche volta mi sono messo pure, buffamente, a scrivere. Una lingua tutta mia fatta perlopiù di parole e modi dire ripresi da vecchi dizionari ristampati, da lacerti di suoni faucali che ogni tanto tentavo di cogliere dalle telefonate che un mio amico faceva a sua madre; un mio amico che poi se n'è andato a morire alle Maldive su un motorino, durante un tentativo di colpo di stato.

Credo d'essere stato a Genova per un bel po' orientandomi a lume di naso, senza una cartina, senza niente. Eppure non mi perdevo mai, sebbene chi conosca Genova sappia che razza di casbah è il centro. Una cosa del genere m'è successa tanto tempo dopo solo in un'altra città, Praga. Ci trovavamo in via Macaggi, poi, dove lei lavorava, e tornavamo in quella casa piena di giornali vecchi, col letto sfatto e tante cose che non ci dicevamo. Troppe cose. L'esplosione, fortunatamente, avvenne lontano dalla Lanterna, quella che un sindaco non voleva più come simbolo della città.

L'assassino, come si dice, torna sempre sul luogo del delitto. Così, quando mi è capitato di stare per un po' in un posto, mi succede quasi sempre di ritornarci per caso. O con dei pretesti. Per una semplice "gita" assieme a qualche altra persona cui tutto quel che senti è necessariamente estraneo; per un'incombenza qualsiasi; per una Piola, del tutto casualmente organizzata in quel ristorante giordano dove s'andava sempre, nel vico Falamonica, proprio sotto De Ferrari. Consigliando a tutti di prendere lo stesso caffè al cinnamomo, ordinando gli stessi piatti, mettendosi a sedere allo stesso posto. Però nessuno lo sapeva.

O per un'altra Piola, in un posto diverso; o per portarvi in un ospedale un ragazzo ridotto in fin di vita da una stupida partita di calcio; o, infine, per andare a farsi rincorrere da una polizia assassina, ritrovandosi a pensare che cosa sarebbe successo se tu fossi scappato per la strada sbagliata, o se tu fossi andato a dormire nella macelleria messicana. E non ci sono più stato da allora, a Genova. Anni senza mettervi più piede, soltanto passaggi autostradali, dall'alto, cercando una goffa e impraticabile scusa. Ci fermiamo a mangiare qualcosa? Ma no, perché ci dovremmo infilare nella confusione…

Ti me perduniæ o magùn
Ma te penso contr'o sô
E o sò ben, t'ammìi o mä
'n pö ciù a-o largo do dûlù...

3 commenti:

desnos ha detto...

Genova è un dolore
come nn mai
i nuovi padroni si vorrebero fregiare della antica bandiera di liberta che sempre qui ha svantolato superba e fiera

ma nn sono diversi dalla destra peggiore loro
certo nn solo qui
in ogni parte di Italia e d Europa ora c e
il progetto unico
il pensiero unico
quello che difende il leone impagliato e massacra chi nn r d accordo con lui
che buffo anche i nazi avevano un pensiero e progetto unico nn discutibile
ma guarda un po
e noi che invece
pieni come sergenti paracadutisti
dopo un rancio
crediamo per via della ns pancia piena (di merda gentica)
che quel pensiero unico
stia lavorando solo in Asia o in Africa

e qui invece no
qui è buono con noi e con gli immigrati che spero abbiano visto tempi migliori a casa loro

che illusione
vero
gli immigrati nn lo sapevano
di essere degli agenti finali gli ambasciatori
della fina prossima
di una cultura millenaria

e qui i cretini a pancia piena
e pprossimi cancri
aspellarsi le mani a parlare di diritti ma nn capire
e confondendo una deportazione in massa sponsorizzata dall industrie
con una spontanea immigrazione



ecco qui lo scambio di culture
ecco qui il vero motivo per cui
genti fino a ieri
massacrate oggi diventano
la ns_
fortuna
hanno ragione la ns
ma nostra di chi _?
ma del pensiero unico
del mondo unito sotto un unica bandiera
con un unica effige
quello di uno stronzo duro a forma di cazzo
e a tenerla dritta tutte le associazioni
di tutte le mediazioni possibili ed inventabili


Fabrizio da buon genovese nn sarebbe mai stato d accordo con tutto

Riccardo Venturi ha detto...

Scs Desnos

Ma in ql k hai scritto nn si cpsc un kzz.

se mgr lo spieghi meglio frs t pss anke risp

cn afft

rkk

desnos ha detto...

nn foze naziste hanno distrutto la superba città
ma quella Sx
che tanto sbamdiera oggi
l essenza del nulla e dell incapacità
è caro amico
il 'patto industriale'
qui com ein ogni parte del mondo
agisce una forza
come di gravità
che distrugge cio che deve essere distrutto
nn ce scampo caro amico
nn ci sono luogi dove potersi nascondere
Genova un tempo era uno di quelli
ma oggi
è esattamente il contrario
nemmeno fabrizzio oggi sarebbe tollersto da questi ben pensanti
ma da morto si chiude un occhio

il vuoto e nulla piu

ce stata una guerra civile
ha vinto il peggio
ce stata una guerra mondiale ha vinto l orrore
oggi si sta bonificando
il terreno
come nn capire
che il regime che oggi amministra il mondo
è la vera realizzazione del nazismo ?