giovedì 3 gennaio 2008

Amici (e vari aggettivi possessivi)


All'inizio di Amici miei atto II c'è una famosa scena. Quattro dei cinque amici della prima parte si ritrovano al cimitero presso la tomba del quinto, il Perozzi. Mentre sono là a rimembrare, vedono un vedovo inconsolabile che sta piangendo la moglie defunta; è un giovane Alessandro Haber. Il professor Sassaroli, ovvero Adolfo Celi, lo vede e esclama: "Guarda che bel vedovo!", e gli altri tre amici se lo contendono; ma il Sassaroli, che lo ha visto per primo, si impone sugli altri e si avvicina alla tomba davanti alla quale siede l'uomo in lacrime. L'avrete vista tutti quella scena, e ve la ricorderete senz'altro; il professor Sassaroli, con battute irresistibili, fa credere al vedovo di essere stato l'amante della moglie, e recita la parte talmente bene che il pover'uomo se ne va tirando calci alla lapide e, soprattutto, urlando di puttana e di troia a una povera donna che invece non aveva fatto nulla di male (e che non poteva certo difendersi).

Ora, dico sinceramente che ho riso a crepapelle a quella scena fin dalla prima volta che ho visto il film, non so più nemmeno da quant'anni; e ci rido tuttora, l'ultima volta non più di due settimane fa. L'apoteosi della crudeltà gratuita, la quale crea una comicità assoluta. E' una cosa di una sottigliezza e di una profondità straordinaria, quella scena; per ridere, e per far ridere, si distrugge una persona a caso demolendole il ricordo di un amore. Uccidendola, praticamente; anzi, peggio. Meglio un colpo in testa da parte di un cecchino, mentre si cammina per la strada; anche perché la scena finisce lì. Il vedovo ha esaurito la sua funzione di vittima sacrificale, e casuale. Si è riso, tanto, e senza vergognarsene nemmeno un po'; tanto è finzione. Finzione scenica.

Stasera, però, mi va di intrufolarmi di soppiatto nel film; non mi conosce nessuno, posso passare inosservato. Seguire per un attimo il vedovo mentre esce dal cimitero, completamente stravolto, e avvicinarmi a lui per dirgli due parole di conforto. Per non lasciarlo solo a scomparire dalla pellicola e a farsi dimenticare mentre ancora si sente il fragore delle risate. E' lì, appoggiato al cancello del camposanto; piange, dice un nome, dice "non è possibile", e in mezzo alle lacrime si sentono i peggiori insulti, e dopo i peggiori insulti magari anche qualche parola d'amore, e poi ancora insulti. Come sarà morta? Una malattia grave? Un incidente? Vieni qua, vieni qua, mettiamoci a sedere. Tanto, a noi di nessuno frega nulla. Smettila di piangere per un attimo, e ascoltami.

Prima di tutto stai tranquillo. L'ho visto decine di volte 'sto film, sai. Non è vero nulla, amico. Ti sei solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ci avevano voglia di divertirsi, come sempre, e magari di far fare qualche risata postuma al loro amicone morto; ma nessuno pensa a quella povera donna di sua moglie, catalogata di solito come una mortale e cupa rompicoglioni. Però si provi chi ride tanto, a essere sposata a uno come il Perozzi. Ad ogni modo, amico, non ti devi preoccupare. Tua moglie ti è sempre stata fedele, quel panzone del Sassaroli non ha mai saputo neppure chi fosse. Detto fra noi; non che tu sia una gran bellezza, ma suvvia, andare col Sassaroli, anche se sicuramente ci aveva i soldi; tira via con Tognazzi o con Gastone Moschin; ti concedo anche Renzo Montagnani; ma come hai potuto pensare che sia andata con quel cesso di Adolfo Celi…?

Ecco, bravo, calmati e fatti anche tu una risata. Facciamocela insieme, magari alla facciaccia di tutti gli amici miei, nostri, vostri e loro. Noi che siamo quelli che, a volte, non sanno ridere. Noi che ci pensiamo sempre due e anche tre volte prima di essere gratuitamente degli stronzi, e noi sui quali non sarà mai fatto alcun film. Persone del tutto ordinarie. Persone piene di debolezze, sulle quali giocare è facilissimo. Giocare senza nessuna attenuante. Giocare perché siamo noi, i pezzi di merda. Siamo noi gli imperfetti. Noi quelli senza un minimo di grandezza; perché, insomma, quei quattro amici, cinque nel film precedente, ce l'hanno la loro grandezza. Sono figure, a loro modo, di un grande spessore tragico. Amici miei, nei suoi vari atti, è un film pienamente tragico sotto le apparenze di una commedia; analizza, tra le altre cose, l'amicizia nel suo aspetto più inquietante. Quell'amicizia talmente grande, talmente senza nessun perché, il cui amore dà continuamente un retrogusto amarissimo di odio. Quel risentimento nascosto che fa tirar fuori, in certi frangenti, la dignità assoluta all'anello debole della catena, il conte Mascetti, lo spiantato, il nullatenente. Il discorso del kashmirino di Zanobetti, la nobiltà come unico e inalienabile patrimonio rimasto di fronte agli amici borghesi ben piazzati o addirittura ricchi. L'amicizia e l'affetto che fanno sempre soccorrere, sempre uno per tutti e tutti per uno, ma sempre in posizione subalterna. Quante volte li avrà odiati il conte Mascetti, quei suoi carissimi amici? E, in fondo al film, te lo devo dire, gli prende un ictus. Stanno scherzando su cosa pagherebbero di riscatto, i suoi amici, se fosse per caso rapito. Spietatamente, come avviene sempre fra i più grandi amici, lo prendono per il culo facendogli capire che non sborserebbero una lira; e lui se ne va incazzato nero, sperando che lo richiamino, che gli dicano che è tutta una finta, che farebbero tutto per lui. E così avviene; solo che, nel frattempo, al Mascetti gli è preso un colpo, appena fuori dal giardino dell'Orticoltura. Gli sarebbe preso lo stesso? Ma certo, ma certo. Gli sarebbe preso lo stesso. Una pura casualità, uno scherzo anche questo. Della sorte.

E allora, caro il mio vedovo, non ci preoccupiamo. Ti porto a bere un caffè. Parlami di tua moglie, fammi capire di quanto tu l'abbia amata. Di quanto siate stati felici insieme. Lo so, mica sono cose "da uomini", queste; sono solo cose da esseri umani. Sai cosa? Il successo, la grandezza, la follia, la tragedia, la dignità, la bassezza e tutte queste sublimi cose le lasciamo a quei quattro o cinque amiconi che, per inciso, erano anche cinque grandissimi attori. A noi sono cose che non toccano. A te è toccato fare il vedovo, a me neppure quello. Uno che si è, una serata vagamente di merda, intrufolato di nascosto in un film. Guarda un po' che facce ci abbiamo. Guarda lì che schifezze che siamo; eppure anche noi, a modo nostro, siamo vivi.

2 commenti:

Riccardo Venturi ha detto...

Su una mailing list, oggi, una persona ha fatto un'osservazione sul vedovo della scena iniziale di Amici miei atto II (mi scuso per non fare nomi, ma da oggi ogni riferimento da me fatto qui dentro sarà in forma rigorosamente anonima).

In sintesi: questa persona afferma che, sin dalla prima volta che ha visto il film, ha pensato che il vedovo le corna le avesse davvero.

Non capisco bene il senso di questa cosa, ma sono in un periodo in cui capisco probabilmente ancora meno del solito. Forse il riferimento è alla reazione del vedovo, a sospetti (o a certezze) che magari avrà avuto. Può anche darsi.

Ma non credo sia questo il punto. Corna o non corna, quel che resta è un tizio che piange davanti a una tomba. Davanti a un'assenza. Magari la moglie, certo, avrà avuto amanti a vagoni interi; non significa nulla.

Significa che ti arriva uno che non c'entra nulla, e si mette a giocare con una vita altrui. Comunque sia stata questa vita. Giocare, giocherellare. Così per fare.

Può darsi che io sia rigido su questa cosa, può darsi che difetti di senso dell'umorismo; ma se vedo uno che piange per un suo cazzo di motivo, anche per una moglie che lo ha cornificato a raffica, il mio impulso è quello di andarlo a ascoltare, di cercare di dargli una stronza di mano qualsiasi. Che sia da solo o che sia assieme agli "amici". Sono fatto così, vorrà dire che prima o poi andrò in galera per reato di leso humour.

A me, vedendo la scena del film, è spesso venuta a mente un'altra cosa. Lo slogan Ah ah ah, sarà una risata che vi seppellirà. Esattamente quello. Un tizio qualunque seppellito di risate. Degli amici dell'amico. Di tutta una platea. Seppellito, e persino con la faccia di Alessandro Haber. Mica ci potevano mettere Cary Grant a fare quella particina di pover'uomo.

BlackBlog francosenia ha detto...

Ora che le "feste" son finite, praticamente, e le giornate cominciano a riallungarsi, provo a spiegartela questa cosa.
Cosa cambierebbe al dolore di una perdita, se la "perduta" ti avesse fatto o meno le cosiddette corna?
Cambierebbe solo per il fatto che ti saresti reso conto di non aver perso un bel niente. Dal momento che la persona che credevi di aver perduto, in fondo, non è mai esistita. E allora? Alla fine, il sassaroli gli ha fatto davvero un gran favore all'haber!!!
Per cui, al momento in cui, per qualsiasi motivo realizzi che hai perso tempo dietro a uno/a stronzo/a, sei - come direbbe dylan - "released". La strada per la liberazione è lunga, e passa anche attraverso la risata che li sepellirà, chiunque essi siano. La strada è lunga, e alla fine della strada ci sei solo tu!

salud