venerdì 18 gennaio 2008

Cazzoguardaquéllo


Oggi mi è successa una cosa che non mi accadrà, credo, mai più nella vita. Mai mi era accaduta prima, e la logica ed il buonsenso vogliono che resti un unicum, esattamente come l'amaro della Zwack. Poi, certo, esiste l'imponderabile; esistono il caso, la fortuità, il fato, la botta di culo e tutto quanto; ma oramai sono stato ammaestrato a non essere più tanto fiducioso al riguardo e preferisco glissare con quel rimasuglio di saggezza che mi è rimasto.

Dunque, dicevo. Oggi dovevo andare a pagare delle cose, cose necessarie quanto impalpabili. Cos'è, ad esempio, un diritto di agenzia? Non lo si vede, ma lo si paga, e salato. E una dichiarazione integrativa di successione? Fogli, cifre, calcoli. E un atto con cui una tizia ha certificato che la mia identità le sarebbe "nota" quando non mi ha mai visto prima in vita sua, né io ho visto lei? Si pagano cose strane, a volte; ma si deve –o così almeno pare. Ci sono del resto cose che si pagano ancora più care; certe imprudenze, o certe parole, o certe azioni. Hanno un prezzo che condanna a terminazioni comminate con i ricordi da un lato, e con il martello dell'indifferenza dall'altro. Ma sono, queste, cose che non sono trattate dalle banche.

Le banche trattano soldi. Quelli che oggi ho dovuto ritirare, e in contanti. Non posso emettere assegni per via di un protesto di euro cinquanta, scadente il 19 gennaio del 2009. Niente assegni, niente carta di credito; solo contanti. E così, oggi alle quattordici e venti, mi sono ritrovato con dodicimila euro in contanti nel portafoglio. Così suddivisi: quattromilaottocento per il diritto di agenzia. Quasi duemila per le prestazioni di geometri, amministratori di condominio e altri professionisti. Duemilasettecento per il diritto di agenzia in acquisto. Duemiladuecento per il notaio in acquisto. Totale: undicimila e settecento euro. Trecento me li sono tenuti per me.

Ora, bisognerebbe che vi dicessi cos'è normalmente il mio portafoglio. Ci sono i documenti, la carta di identità, la patente di guida, il tesserino sanitario, qualche altra tessera varia raccattata in giro per la vita; ci sono quintali di scontrini, di foglietti, di petit papiers (quelli che bisognava far parlare secondo Serge Gainsbourg); c'è una pietruzza rossa che resiste ancora a non so più neanche cosa; e dieci euro al massimo. Anche in quest'ultimo periodo in cui mi è andata sicuramente meglio dal punto di vista economico, le abitudini sono rimaste quelle. Memore di quando non c'erano nemmeno i dieci euro, e non per abitudine ma per semplice mancanza. Squattrinato cronico, homo sine pecunia com'ebbi già a dire tempo fa. La necessaria consuetudine di sentirsi ricco in altro e sovente disperato modo, consuetudine che peraltro non vorrei mai perdere; e l'inveterata rinuncia al superfluo di qualsiasi genere. Non fossi un mangiatore praticamente satanico, sarei di costumi decisamente spartani. Non me ne importa un accidente del vestire, delle mode, di niente del genere; ci sono stati periodi in cui ho fatto a meno di tutto.

Alle quattordici e venti di oggi, diciotto gennaio duemilaotto, nello stesso momento in cui quattro anni fa precisi scendevo da un treno alla stazione di Como per andare verso quel che sarebbe stato, il mio portafoglio gridava aiuto. Grondava di denaro. Non si chiudeva. Banconote da cinquecento, da cento, da cinquanta euro. Me lo sono ficcato nella tasca interna d'una giacca comprata circa due secoli fa a Porta Portese, e la giacca ha assunto una forma indefinibile, tipo la faccia del sonno di Salvador Dalí. Mi sono sentito strano. Pur in tutti i miei sconquassi, c'è qualche riccardoventuri che è sempre rimasto quello, ad esempio un ragazzo senza una lira; quella protuberanza nella giacca era inaudita. Scoppiare di soldi, pur sapendo che sarebbero stati spesi in breve tempo.

Cosa che è avvenuta, pagando tutto quel che c'era da pagare. A persone sicuramente abituate ad averci i portafogli regolarmente gonfi, con collezioni di carte di credito, con chissà quale altra diavoleria che non mi posso permettere nemmeno ora che ne avrei la possibilità almeno temporanea. Mi sono permesso due lussi: riempire il telefonino con una ricarica monstre da cinquanta euro, e un tassì. Una di quelle cose che Piero Ciampi non s'era mai potuto permettere assieme alla frittata di cipolle, insomma. Ma, prima del tassì, m'è presa la voglia di un caffè; del resto il bar era lì davanti. E ci sono entrato con la mia solita faccia, ché tanto ce l'ho e mi tocca tenermela, e scordandomi in dieci secondi che nel portafoglio avevo tutti quei soldi. Ci avevo, come sempre, dieci euro. Anzi meno. Monetine. Spiccioli. Così ho ordinato il caffè, alla pasticceria "Il bersagliere" del viale Duse, e me lo sono bevuto. Ottimo, peraltro; lo sanno fare proprio bene.

Poi sono andato a pagare alla cassa, e ho dovuto tirar fuori il portafoglio; accanto a me c'erano un ragazzo e una ragazza di una ventina d'anni o giù di lì. Hanno notato il bendiddìo che c'era dentro. E io, che spesso devo cercare gli spiccioli in mezzo ai foglietti, stavo là a pagare cacciando fuori un cinquantone perché di tagli più piccoli non ce ne avevo. Ho percepito degli sguardi di rabbia nei miei confronti; ho sentito un "cazzoguardaquéllo…" da parte del ragazzo. Mi sono sentito irrimediabilmente vecchio, passato, scaduto. E ho avuto un'improvvisa voglia di sbrigarmi a andare a pagare tutto quanto, a svuotarlo quel portafoglio da tutti quei soldi di merda, e di ridiventare alla svelta riccardoventuri; ché sarà fatto sicuramente in modo pessimo, ma è quello lì e altro non gli riesce essere.

Ce ne avrei avuto la voglia di dirglielo, a quel ragazzo; ma tanto a che sarebbe servito. La mia identità non gli era nota.

4 commenti:

Colonnello Walter Kurtz ha detto...

Caro Riccardo, che coincidenza!

Io oggi sono diventato ufficialmente proprietario immobiliare (per la prima volta in vita mia), e anch'io stamattina (qualche ora prima delle tue quattordici punto venti) ho sborsato un bel po' di soldi, tra notaio e spese varie, anche se ho fatto i miei pagamenti par chèque (in Francia paghi in assegno anche la spesa quotidiana, di 10-15€): il tutto non prima di aver messo un centinaio di firme dal notaio.

Non ho mai messo tante firme in vita mia come negli ultimi due mesi, tra agenzia, banca e notaio.

E domani il trasloco.

Ciao.
Kurtz en plein déménagement.

Post scriptum: è sempre un piacere leggerti.

Anonimo ha detto...

dalla mia passata via nel mondo bancario posso portare una certezza: se apri un conto corrente (e quello davvero non lo negano a nessuno) puoi contare su un pezzo di plastica che si chiama bancomat e anche su una carta di debito (se vuoi su circuito Visa), che differisce da una carta di credito per il semplice fatto che i soldi vengono presi dal tuo conto immediatamente (se ci sono, se non ci sono ... niente transazione).

E' in questo modo che le banche si assicurano di fare soldi anche con quelli protestati.

Se senti la mancanza di un pezzo di plastica nel portafoglio, la soluzione e' semplice

Riccardo Venturi ha detto...

Prima di tutto grazie, e poi scusami se approfitto ancora della tua passata esperienza. In pratica, dalla mia banca mi hanno detto che mi "concedono" (ovviamente fino alla scadenza del protesto: gennaio 2009) una carta di credito prepagata da riempire coi soldi nel conto. E' conveniente? Della carta di debito non lo sapevo...oppure in pratica si tratta della stessa cosa della carta prepagata? Grazie ancora!

Anonimo ha detto...

La prepagata e' di certo conveniente per la banca :-)
Sulla prepagata devi caricare esplicitamente dei soldi, per poi poterli usare quando ti servono. Se te la danno del circuito Visa, allora va bene.

La carta di debito e' leggermente diversa, nel senso che pesca direttamente i soldi dal conto corrente, senza necessita' di metterli in parcheggio in precedenza.
Differisce dalla carta di credito perche' non paghi dopo, a scadenza mensile, ma, come per il bancomat, paghi nel preciso momento in cui strisci la carta.

Il grosso vantaggio della prepagata e' che la puoi caricare con i soldi solo quando ti serve, quindi c'e' minor rischio di perderla "piena"